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Due anni dopo, le confidenze di Roselyne, la sorella di padre Hamel

ROSELYNE HAMEL

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Agnès Pinard Legry - pubblicato il 01/08/18

Mentre in Francia si è recentemente commemorato il secondo anniversario della morte di padre Jacques Hamel, Roselyne Hamel, la sorella di Jacques, si è raccontata ad Aleteia in merito al martirio di suo fratello, al suo processo di beatificazione e, per così dire, alla sua eredità.

Il 26 luglio 2016 padre Jacques Hamel veniva assassinato nella sua chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray, in Senna Marittima, da due giovani terroristi che si richiamavano allo Stato Islamico. Uomo discreto ma dotato di un forte carattere, padre Hamel esercitò fedelmente il proprio ministero fino al dono della vita, proprio mentre celebrava messa. Due anni dopo il dramma, Roselyne Hamel, 78 anni, si è raccontata ad Aleteia sull’impatto che ha avuto l’assassinio del fratello su di lei, sulla sua famiglia, ma anche «per i quattro angoli di Francia e del mondo». La donna torna anche sul processo di beatificazione del fratello, aperto il 13 aprile 2017 (meno di un anno dopo l’assassinio, N.d.R.), così come pure su quello che lascia e sui frutti che una siffatta scomparsa può portare.




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Agnès Pinard Legry: Sono due anni dal compimento del dramma… Che cosa le affiora dal cuore?

Roselyne Hamel: L’annuncio che mi fu fatto il 26 luglio 2016, brutalmente, dopo due ore di attesa. Pensavo che tutte le persone rinchiuse in chiesa ne sarebbero uscite indenni. Ho veramente creduto fino alla fine che Jacques mi avrebbe raggiunta. In capo a quelle due ore di silenzio, invece, mi hanno annunciato che una persona era stata ferita e che un’altra era morta… e che si trattava di mio fratello. Quell’istante mi turba, mi perseguita, soprattutto quando ne riemerge il ricordo. Ho coscienza che un simile omaggio deve essergli reso, non si può sfilarvi accanto: se la sua morte è stata sconvolgente per me, per la nostra famiglia, per i suoi nipoti e le sue nipoti, essa è stata tale ovunque in Francia e fino ai quattro angoli della terra. Anche se si tratta di un momento particolarmente doloroso non si può passare sotto silenzio un tale avvenimento, è troppo importante. Troppo, troppo importante.




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A. P.L.: Ha avuto la sensazione di essere spossessata di suo fratello oppure, al contrario, di essere accompagnata da tutte le persone che sono state toccate e ispirate dalla testimonianza di padre Hamel?

R. H.: Da principio il sentimento di spossessamento era fortissimo: non comprendevo che i media di tutta la Francia, e poi rapidamente di tutti i Paesi, venissero a cercarmi. Numerose persone mi hanno resa partecipe della loro pena e del loro dolore nell’apprendere dell’atto terroristico. Ha toccato così tante persone! Ci abbiamo messo qualche giorno… diciamo qualche settimana… a farci il callo: che cosa succede? È nostro fratello, nostro zio, il nostro lutto! Ci è stato portato via e dobbiamo condividerlo? Per un anno non sono riuscita a elaborare il mio lutto. Mi ricordo dei suoi funerali: la cattedrale di Rouen era piena e sul sagrato c’era ancora una marea di persone! Avevo certamente quella sensazione di spossessamento, ma vedendo tutte quelle persone ho pure saputo che qualcosa di straordinario era accaduto nel cuore e nello spirito dei credenti e dei non credenti. Ed è stato sgranando ogni giorno questa riflessione che sono riuscita a elaborare il mio lutto.




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A. P.L.: Spesso si parla di padre Hamel come di un uomo discreto. Una tale mobilitazione l’ha sorpresa?

R. H.: Jacques era effettivamente uomo di grande discrezione, ma poiché la sua morte è stata un trauma per migliaia di persone la mobilitazione non mi ha sorpresa. Mio fratello era molto a disagio quando riceveva complimenti, ma devo dire che una tale riconoscenza – di quel che era e delle circostanze della sua morte – mi solleva. Credo che tutti siamo stati sollevati dalla sua testimonianza.




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A. P.L.: Come vede il suo processo di beatificazione?

R. H.: È una cosa così estranea alla quotidianità della nostra vita, della vita di mio fratello prima dell’avvenimento, che ci sentiamo completamente fuori luogo. Il processo di beatificazione è una cosa più grande di me e talvolta è una cosa pesante da portare: le persone hanno un altro sguardo su di noi, mentre noi – la sua famiglia – non siamo cambiati! Noi siamo persone semplici. A parte questo, chiaramente sono confortata da tutto ciò: parlare di fierezza sarebbe fuori luogo, ma sono molto toccata. Quando mi si chiede di spostarmi in un’altra regione per parlare di mio fratello sono sempre sorpresa: le persone sembrano accordarmi così tanta importanza! E io invece non ho fatto niente, è Jacques che ha subito. Io sono qui unicamente per testimoniare della sua vita. Mi dicono spesso: «Attraverso lei ho l’impressione di entrare in contatto con lui». Ma mi pongo la domanda: ne sono degna?




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A. P.L.: Quando il Papa dichiara di star pregando perché padre Hamel diventi santo, che cosa le suscita questo?

R. H.: Sono parole molto forti. Io penso che la morte di mio fratello, così come pure questo processo di beatificazione, sia una chiamata necessaria per risvegliare la fede dei credenti, la speranza dei non credenti, e per invitare ciascuno a vivere meglio insieme. Penso che aprendo il processo di beatificazione Papa Francesco desideri risvegliare la fede. Mio fratello terminava spesso le omelie dicendo: «Cerchiamo di essere artigiani di pace, il mondo ha tanto bisogno di speranza». È proprio di questo che si tratta.




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A. P.L.: Per caso ha avuto l’impressione di aver scoperto – sull’onda della morte di suo fratello e dello choc da ciò provocato – delle nuove sfaccettature della sua personalità?

R. H.: Sì, certo! Per noi Jacques era un uomo tra gli uomini, molto semplice nelle cose della vita ed esigente solamente in ciò che riguardava il suo sacerdozio. I miei figli e io stessa lo conoscevamo soprattutto nel quadro di una vita famigliare. Leggendo le testimonianze e incontrando quelli che lo frequentavano regolarmente nel contesto della sua missione lo abbiamo scoperto molto appassionato. E allora m’è riaffiorato alla memoria un ricordo. Una volta eravamo in vacanza da me, mi ricordo di avergli proposto di guardare il film di Mel Gibson La Passione. Lo abbiamo quindi guardato e… me ne stavo pentendo! Mano a mano che il film andava avanti Jacques diventava sempre più pallido, come se soffrisse con Cristo. Per me non era un’impressione, era una cosa reale. Mio fratello era talmente magro che potevo notarlo: ogni volta che Cristo riceveva un colpo avevo l’impressione che lui lo sentisse nella sua carne. E così pure i suoi ultimi dieci anni: quando assistevo alla sua messa e lo guardavo celebrare l’eucaristia ero impressionata – era impregnato della passione di Cristo. Abitando a Nord non lo vedevo tutti i giorni, ma quando assistevo alle sue messe lo vedevo trasumanare.


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A. P.L.: Da due anni a questa parte è cambiato qualcosa nel suo rapporto con la fede e con Dio?

R. H.: Se nulla è cambiato nella mia fede, per molto tempo ho cercato di fare i conti con Dio. Rispettosamente, ma ho cercato di farli. La sofferenza e l’impossibilità di comprendere erano così grandi che c’è voluto del tempo perché l’accettazione si consolidasse. Jacques era discreto e faceva così tanto bene! Ormai ogni volta che vado a dare testimonianza di mio fratello dico a Dio che mi fido di lui e che se Jacques è lì con lui ha delle grazie da accordare col Suo aiuto. Jacques parlava molto di Charles de Foucauld, per lui era un modello. Purtroppo la sua salute non gli aveva permesso di essere missionario. Mio fratello era stato a Biskra, in Algeria (dove Charles de Foucauld ha vissuto una parte della sua vita, N.d.R.) mentre avvenivano i moti. Mentre con la sua unità attraversava un’oasi tutti sono stati uccisi a parte lui. E non comprendeva perché fosse stato risparmiato. Gli avevo allora risposto che doveva essere destinato ad altro, a un’altra missione. Oggi gli risponderei che ha ricevuto la risposta al suo “Perché non io?”. La sua missione è il risveglio di tutte le persone che erano presenti a migliaia ai suoi funerali sul sagrato della cattedrale. Come diceva Jacques, il mondo ha tanto bisogno di speranza.




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[Traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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