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Famiglia felice, mamma felice! Non è così a tutte le latitudini?

AFRICAN MOM AND SON

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Breviarium - pubblicato il 31/07/18

Si conclude il racconto dell'esperienza da volontaria in Angola tra le donne e le bambine della missione: anche le mâes sono preoccupate per i loro figli adolescenti. Ma sono pazienti e piene di speranza

di Claudia Cassano

Le bambine e le ragazze della casa famiglia

C’è un proverbio africano che dice: «Se vuoi educare un uomo, educa un bambino. Se vuoi educare un villaggio, educa una donna». Vivere qui nella missione significa anche condividere spazi e tempi con le bambine e le ragazze della casa famiglia. Sono 17, dai 9 ai 21 anni, ma per la malnutrizione in cui sono vissute finora sembrano più piccole, come del resto tutti i bambini qui. Alcune di loro sono orfane di entrambi i genitori, altre solo di uno, ma l’altro non è in grado di prendersi cura di loro per ragioni di salute. Altre hanno una famiglia, ma vivono in villaggi molto lontani, qualcuna anche a più di due ore di distanza a piedi dalla scuola e per questo le suore le ospitano in casa, offrendo loro la possibilità di avere una vita dignitosa e di studiare. Ma allo stesso tempo qui possono mantenere le loro tradizioni e abitudini, continuano per esempio a cucinare i loro piatti tipici, come il funje, che assomiglia vagamente a una nostra polenta, fatto di farina di mais e maioca e per tritare le verdure le pestano con un lungo bastone di legno dentro un vaso dello stesso materiale. Non è stato difficile conquistarci a vicenda, tra donne ci si intende e quando ci si mettono di mezzo romanticismo, ricerca della bellezza e vanità, il gioco è fatto. Quando posso, con loro faccio i compiti, guardo i cartoni animati e quelle terribili telenovelas brasiliane dove tutti piangono sempre, mi dedico a un po’ di sano spetteguless e da quando hanno scoperto come funziona il mio cellulare mi chiedono in continuazione di fotografarle mentre si mettono in posizioni da fotomodelle per poi riguardarsi mille volte. Ogni fine settimana si riuniscono tutte nel jango, il patio in bamboo che sta nel giardino della casa e qui inizia un pazientissimo lavoro che dura ore e ore per domare i loro capelli ricci e crespi e pettinarli con acconciature fatte di tante treccine legate da nastrini colorati. Il tutto per essere pronte per la grande messa della domenica. Ovviamente non ho resistito e me le sono fatte fare anch’io e stamattina sono andata a messa pettinata come loro e con un panno tutto colorato come gonna.




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Mamme-bambine: una tradizione delle zone rurali difficile da estirpare

Le sento spesso cantare, ridere, litigare tra loro, le vedo abbracciarsi e aiutarsi a vicenda, rincorrersi, giocare come tutte le bambine. Quelle fino a 13 anni sono le più vivaci, bambine appunto. Eppure potrebbero ritrovarsi con una gravidanza da un giorno all’altro, perché questa è la tradizione, soprattutto nelle zone rurali – questo e unicamente questo il ruolo di una donna: fare figli ed educarli, e quelle tra loro che si ritrovano ad essere mamme-bambine devono naturalmente rinunciare a studiare per occuparsi dei figli e quindi ritornano nei villaggi. Una volta lì, molte si riadattano alla vita rurale, vanno a prendere l’acqua al fiume, cucinano, fanno altri figli, la loro opinione non è tenuta in considerazione, non hanno alcuna influenza sulle decisioni della famiglia e della comunità e devono accettare che il marito possa avere più mogli – sì, anche se sono cristiane. Alcune magari ritornano con un livello di istruzione maggiore e questo da una generazione all’altra può trasmettere il valore dell’educazione e della cultura, ma è un processo molto lento che si scontra con le aspettative della comunità. Qualcuna invece resta affascinata da quello che conosce e decide, quando ne ha la possibilità, di continuare a studiare, rimandare di qualche anno la maternità, sognando di poter contribuire a fare qualcosa di più grande per la sua gente e per il suo paese, come diventare insegnante.

L’adolescenza dei figli preoccupa i genitori di tutte le culture

Da quando nella missione si è sparsa la voce che c’è una psicologa italiana a fare la volontaria, sono in molti a cercarmi per farmi domande e chiedermi di organizzare incontri di formazione o di confronto. Oggi pomeriggio, ad esempio, ho incontrato un gruppo di donne per parlare delle loro relazioni con i figli adolescenti, una preoccupazione che a quanto pare accomuna i genitori di tutte le culture. Le donne che hanno partecipato all’incontro fanno parte dell’associazione ProMaica, Promozione della donna angolana cattolica, che con il suo lavoro sensibilizza e sostiene lo sviluppo della donna. Che belle le mâes (madri, in portoghese Ndr)! Si fanno chilometri per partecipare a questi incontri e ai momenti di preghiera. Alcune sono analfabete e hanno tanta voglia di imparare per poter leggere la Bibbia. Abbiamo parlato di amore, di figli, di relazioni con i mariti.

Le mâes sono tutte orientate agli altri: sono felici se la famiglia sta bene

Quando analizzo le emozioni con i bambini e i ragazzi e chiedo loro in quali situazioni si sentono felici o tristi o hanno paura o rabbia, le loro risposte sono tutte orientate su di sé. Quando oggi ho fatto la stessa domanda alle mâes, le loro risposte sono state tutte orientate sugli altri, sono felici se tutta la famiglia è in pace. È incredibile come semplicità e saggezza possano convivere armonicamente in queste donne. Alcune avevano vergogna a parlare, perché capiscono il portoghese ma parlano solo il kimbundu, la lingua locale, eppure quanta comprensione e quanta profondità c’era nei loro sguardi, rivolti a un futuro che dia loro maggiore valore e consapevoli della pazienza che questo richiede.


AFRICAN GIRL SMILING

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La virtù della pazienza che nasce dalla speranza

Credo che la pazienza sia la virtù più forte e più diffusa che sto riscontrando in questa gente e in particolare tra le donne. Una pazienza che non ha niente a che fare con la rassegnazione ma è legata alla speranza. Una pazienza generosa, non orgogliosa, di chi crede veramente in qualcosa di migliore, ma non ha la pretesa di esserne il protagonista principale, né lo spettatore in prima fila e tantomeno si aspetta che lo spettacolo debba cominciare subito. Semplicemente costruisce, aspetta e poi, quando sarà il tempo, chi potrà vedrà quello che è stato realizzato dal lavoro, dai sacrifici e dall’impegno di tutti. Per questo c’è un forte senso della comunità che prevale sull’individuo, nel bene e nel male.

L’incontro si è concluso con un canto in kimbundu con cui mi hanno ringraziata… Twasakidila… e mannaggia a me che ho la lacrima facile!

E poi un’Ave Maria tutte insieme… Non poteva che essere così: Lei, la prima Mulher, la prima Mâe

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