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Pakistan: il destino di Asia Bibi è a un vicolo cieco

Asia Bibi

Asia Bibi © YouTube

Asia Bibi

Paul De Maeyer - pubblicato il 27/07/18

Il Centro Europeo per la Legge e la Giustizia richiama l’attenzione sull’impatto delle leggi sulla blasfemia nel Paese asiatico

Durante i lavori della 38esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, che si è svolta dal 18 giugno al 6 luglio 2018 a Ginevra, in Svizzera, il Centro Europeo per la Legge e la Giustizia (European Centre for Law and Justice o ECLJ) ha presentato una dichiarazione sull’impatto delle leggi sulla blasfemia in Pakistan e ha richiamato anche l’attenzione sulla sorte di una delle vittime più conosciute della normativa, Asia Bibi.

Continua minaccia per le minoranze religiose

“Le leggi sulla blasfemia della Repubblica Islamica del Pakistan [1] rappresentano una continua minaccia per le minoranze religiose”, constata la dichiarazione del 25 giugno scorso, il cui testo è stato pubblicato sul sito dell’ECLJ.

L’organismo con sede a Strasburgo, in Francia, cita la parte più controversa (e più abusata) della legge 295 del Codice Penale del Pakistan, cioè il paragrafo 295 C, che stipula: “Chiunque con parole, sia parlate che scritte, o con rappresentazione materiale o con qualsiasi imputazione, allusione o insinuazione, direttamente o indirettamente, profani il sacro nome del Santo Profeta Maometto […] verrà punito con la morte o con la reclusione a vita, e sarà anche passibile di una multa”.

Sin dall’entrata in vigore della normativa nel 1986, “più di un migliaio di casi di blasfemia sono stati registrati, più di cinquanta persone sono state uccise in modo extragiudiziale da folle o individui musulmani, e almeno quaranta persone si trovano attualmente nei corridoi della morte o stanno scontando una condanna a vita”, scrive l’ECLJ, mentre sottolinea che la maggioranze delle accuse di blasfemia sono “false”.

Perciò, conclude l’ECLJ, “sollecitiamo questo Consiglio a indagare sui casi di blasfemia, sulle uccisioni extragiudiziarie e a chiedere al Pakistan di abrogare o modificare le sue leggi sulla blasfemia, di liberare vittime innocenti, come Asia Bibi, e di consegnare alla giustizia i responsabili delle violenze”.

Asia Bibi

Il caso di Asia (o anche Aasia) Bibi è infatti ben conosciuto. La vicenda della donna cristiana e madre di cinque figli, incarcerata ormai da ben nove anni, è emblematica per la situazione dei cristiani in Pakistan e le pressioni esercitate sui giudici da parte delle forze estremiste.

Il suo caso inizia nel giugno 2009, quando l’operaia agricola offre dell’acqua alle donne musulmane con cui sta lavorando, ma la rifiutano, perché ritengono che sia impura. Ne nasce un diverbio, durante il quale la Bibi avrebbe detto che Gesù è vivo, ma Maometto morto. Viene arrestata e accusata di aver offeso il Profeta. Il processo di primo grado finisce nel 2010 con la sua condanna a morte per impiccagione, una sentenza che viene poi confermata in appello nel 2014. Finora non si è pronunciata la Corte Suprema di Islamabad, che rappresenta il terzo e ultimo grado di giudizio.

Il temporeggiare dei supremi giudici è fino ad un certo punto quasi comprensibile. Ribaltare la condanna e rilasciare in libertà Asia Bibi provocherebbe non solo una valanga di proteste ma sia la Bibi, sulla cui testa pende ancora una taglia, che gli stessi giudici rischierebbero di essere uccisi da estremisti islamici.

Chi difende la Bibi rischia

Alcune persone che hanno sostenuto la causa della donna sono state infatti assassinate o anche costrette a partire in esilio. Il governatore della provincia del Punjab, Salmaan Taseer, che visitò la donna nel carcere di Sheikhupura (nei pressi di Lahore) e si pronunciò pubblicamente a favore della revisione della legge sulla blasfemia, che definì una “legge nera”, fu ucciso il 4 gennaio 2011 dalla propria guardia del corpo, Malik Mumtaz Hussein Qadri.

Assassinato è stato anche un altro sostenitore della Bibi, il cattolico Shahbaz Bhatti. Neppure due mesi dopo Taseer, il 2 marzo del 2011, l’allora ministro delle Minoranze religiose in Pakistan fu ucciso davanti a casa sua nella capitale Islamabad da alcuni uomini armati. L’omicidio fu rivendicato dal gruppo jihadista Tehrik-i-Taliban Punjab (TTP). Il politico è attualmente venerato dalla Chiesa come Servo di Dio. La sua Bibbia è conservata nella Basilica romana di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, legata alla memoria dei “nuovi martiri”.

In seguito alle varie minacce ricevute, il direttore della Legal Evangelical Association Development (LEAD), Sardar Mushtaq Gill, che per anni ha difeso Asia Bibi, è stato costretto all’inizio del 2017 a fuggire all’estero. Il 1° aprile 2015 degli sconosciuti avevano sparato a suo fratello Pervaiz Gill, che per fortuna rimase solo ferito.

I sostenitori delle leggi anti-blasfemia

C’è infatti chi invece difende strenuamente le leggi contro la blasfemia. Tra di loro spicca il Khatm-e-Nubuwwat Lawyers’ Forum (si potrebbe tradurre con “Movimento per la difesa del Profeta”, così suggerisce Aiuto alla Chiesa che Soffre), un gruppo di centinaia di avvocati e legali che vigilano sull’attuazione della normativa. Secondo la fondazione di diritto pontificio, sin dalla fondazione del Forum nel 2001, nella sola provincia del Punjab il numero di denunce è triplicato, per raggiungere nel 2014 il suo picco con 336 casi.

L’obiettivo del gruppo guidato da Ghulam Mustafa Chaudhry è di far sì che chiunque offenda il Profeta venga portato in tribunale e messo a morte. Perché, così sostiene Chaudhry, il quale ha assistito l’assassino di Salman Taseer, l’unica punizione per chiunque commetta blasfemia è la morte. “Non c’è alternativa”, ha detto. Che il legale abbia assistito anche l’accusatore della Bibi non è quindi una sorpresa.

Un altro strenuo difensore delle leggi anti-blasfemia è il nuovo partito islamista Tehreek-e-Labbaik Pakistan (TLP), fondato solo nel 2015 dal predicatore Khadim Hussain Rizvi con lo scopo di “portare la religione del Profeta sul trono”. La nuova formazione politica si ispira a un blasphemy killer: è nata dal movimento di sostegno a favore di Mumtaz Qadri.

Molti ritengono che Qadri sia “un eroe dell’islam”. Nella capitale Islamabad una moschea è stata dedicata a lui e il giudice che ha emesso la condanna a morte nei suoi confronti, Pervez Ali Shah, è stato costretto a rifugiarsi in Arabia Saudita. Lui e la sua famiglia avevano ricevuto infatti delle minacce di morte.

Un simpatizzante del TLP ha cercato del resto di uccidere il 6 maggio scorso il ministro degli Interni del Pakistan, Ahsan Iqbal Chaudhary. L’attentato sarebbe stato eseguito in segno di protesta contro la legge firmata nell’ottobre 2017 dal presidente Mamnoon Hussain (ritirata poi per un presunto “errore di trascrizione”), che aboliva tra gli altri gli elenchi elettorali separati per gli Ahmadi, una corrente musulmana considerata eretica, perché non riconosce Maometto come ultimo profeta [2].

Legge un alibi per colpire le minoranze

Per gli elementi radicali la legge contro la blasfemia è un facile alibi per colpire le minoranze e le persone deboli. A sostenere questa tesi è stato Salman Taseer. “La legge sulla blasfemia non è una legge fatta da Dio”, aveva dichiarato il governatore in un’intervista con la CNN. “È una legge fatta dall’uomo. È stata fatta dal generale Zia-ul Haq e la parte sulla condanna a morte è stata inserita da Nawaz Sharif. Quindi è una legge che dà una scusa agli estremisti e ai reazionari per colpire persone deboli e minoranze”.  

“La cosa che trovo inquietante è che se esaminate i casi delle centinaia di persone sottoposte a giudizio secondo questa legge [anti-blasfemia, ndr], dovete chiedervi quanti di loro sono benestanti? Perché solo i poveri e gli indifesi sono presi di mira? Come mai più del 50% di loro sono cristiani quando costituiscono meno del 2% della popolazione del Paese? Questo indica chiaramente che la legge viene abusata per colpire le minoranze”, aveva dichiarato il governatore in un’altra intervista, questa volta con Newsline nel dicembre 2010, cioè poco prima di essere ucciso.

Come emerge da un dossier pubblicato nel 1994 da Amnesty International, dietro alle denunce di blasfemia si celano infatti spesso invidia o rivalità professionali. Chi viene accusato di blasfemia fatica spesso a trovare dei legali disposti a difenderlo in tribunale, perché vengono a loro volta minacciati di morte. Inoltre, anche chi viene assolto pienamente rimane esposto a continue molestie e minacce di morte, come nel caso di un cristiano di Karachi, Chand Barkat.

Uccisioni extragiudiziarie

Un problema serissimo sono poi le uccisioni extragiudiziali o linciaggi di persone accusate di blasfemia nei confronti del Corano, del profeta Maometto o dell’islam in generale, come ricorda la dichiarazione dell’ECLJ.

Profondo dolore e sgomento ha provocato la barbara e disumana uccisione di una coppia di sposi cristiani, Shahzad Masih, 26 anni, e Shama Bibi, 24 anni, arsi vivi in una fornace di mattoni nel novembre 2014, perché “blasfemi”. L’uomo era accusato di aver bruciato frammenti del Corano. La coppia che viveva nei pressi di Kot Radha Kishan, a sud di Lahore, aveva già tre figli e la donna era in attesa del quarto.

Preoccupante e allo stesso tempo emblematico, perché richiama infatti alla mente l’inizio del calvario di Asia Bibi — un semplice bicchiere d’acqua –, è il decesso del 17enne Sharoon Masih, studente presso la scuola superiore pubblica a Burewala, nella provincia del Punjab. La sua colpa era di essere l’unico studente cristiano di tutta la classe. Il giovane è stato linciato il 30 agosto 2017 dai propri compagni di banco “per aver attinto e bevuto acqua dallo stesso vaso utilizzato dagli altri studenti”, così ha riferito l’agenzia Fides.

Essere cristiano in Pakistan implica vivere pericolosamente. Non desta quindi alcuna meraviglia che il Paese asiatico si trovi al quinto posto della World Watch List dei posti più difficili al mondo in cui essere cristiani, stilata daOpen Doors.

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1] Il Pakistan è una repubblica islamica, come indica del resto il nome ufficiale del Paese asiatico: Islami Jamhuriat Pakistan, cioè Repubblica Islamica del Pakistan.

2] Proprio il caso degli Ahmadi illustra che tutte le minoranze religiose sono a rischio in Pakistan. Nel 1974 l’allora premier Zulfikar Ali Bhutto — padre di Benazir Bhutto — dichiarò gli Ahmadi una comunità non musulmana ma di kafir, cioè “miscredenti” o “infedeli”. Dieci anni dopo, nel 1984, il generale Zia-ul Haq vietò agli Ahmadiyya di autodefinirsi musulmani o di diffondere la loro fede.

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