Nell’aprile 1938, a circa 60 anni, il fisico tedesco scrive: «Essere ebreo significa anzitutto accettare e seguire nella pratica quei fondamenti di umanità proposti nella Bibbia, fondamenti senza i quali nessuna sana e felice comunità di uomini può esistere» (A. Pais, Einstein è vissuto qui, Bollati Boringhieri 1995, p. 243).
Un anno dopo, il 19 maggio 1939, ammonisce «un ritorno a una nazione nel senso politico del termine equivarrebbe all’allontanamento della nostra comunità dalla spiritualizzazione di cui siamo debitori al genio dei nostri profeti» (A. Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Newton 2004, p. 223).
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“Figli dello stesso Padre”
Sempre nel 1939, annota: «I più alti principi su cui si fondano le nostre aspirazioni e i nostri giudizi ci vengono dalla tradizione religiosa giudaico-cristiana. Non c’è spazio in tutto ciò per la divinizzazione di una nazione, di una classe, e meno che mai di un individuo. Non siamo tutti figli di uno stesso Padre, come si dice in linguaggio religioso? In effetti nemmeno la divinizzazione dell’umanità, come totalità astratta, rientrerebbe nello spirito di tale ideale. È solo all’individuo che viene data un’anima. E l’alto destino dell’individuo è servire piuttosto che dominare o imporsi in qualsiasi altro modo» (A. Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Newton 2004, p. 26).
Bibbia e Cristianesimo
In questi anni, dunque, si moltiplicano nei discorsi pubblici di Einstein i riferimenti biblici ed evangelici. Il 22 marzo 1939, in coincidenza allo scoppio con la seconda guerra, il padre della Relatività afferma:
«In passato eravamo perseguitati malgrado fossimo il popolo della Bibbia; oggi, invece, siamo perseguitati proprio perché siamo il popolo del Libro. Lo scopo non è solo sterminare noi, ma insieme a noi distruggere anche quello spirito, espresso nella Bibbia e nel Cristianesimo, che rese possibile l’avvento della civiltà nell’Europa centrale e settentrionale. Se questo obiettivo verrà conseguito, l’Europa diverrà terra desolata. Perché la vita della società umana non può durare a lungo se si fonda sulla forza bruta, sulla violenza, sul terrore e sull’odio» (A. Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Newton 2004, p. 26).
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Un Dio non personale
In una lettera del 1945, Einstein definisce le costanti di natura «numeri genuini che Dio ha dovuto scegliere arbitrariamente, per così dire, quando si degnò di creare questo mondo» (I. e G. Bogdanov, I cacciatori di numeri, Piemme 2012, p. 40). Sempre, però, si tratta di un Dio non personale, che rifiuterà per tutta la sua vita. Come dice Agnoli: è «una Intelligenza ordinatrice del cosmo» che si muove ambiguamente, in modo non risolutivo, non definito».
Come scrisse all’amico Guy Raner, nel 1949: «Ho ripetutamente detto che a mio parere l’idea di un Dio personale è puerile. Potete definirmi un agnostico, ma non condivido lo spirito di crociata dell’ateo di professione il cui fervore è in gran parte dovuto a un doloroso atto di liberazione dalle catene dell’indottrinamento religioso ricevuto in gioventù. Preferisco un’attitudine di umiltà corrispondente alla debolezza della nostra comprensione intellettuale della natura e del nostro stesso essere».
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L’amicizia con i francescani
Negli ultimi della sua vita Einstein si reca spesso in Italia a visitare il convento il convento di San Francesco a Fiesole, in provincia di Firenze, dove approfondisce l’amicizia con alcuni francescani, tra cui padre Odorico Caramelli, musicista.