«Il mondo – dice – è ancora fin troppo bello per me. Un lombrico non smette di stupirmi. E so che nessuna tecnologia mi permetterà mai di comprendere mia moglie, né di amarla di più. La mia resistenza al progressismo procede dal mio accogliere il mondo così com’è dato, con tutto il suo dramma. Non ho ancora imparato a costruire una casa, coltivare un orto, pensare come sant’Agostino, poetare come dante, perché dovrei gettarmi su un casco con realtà aumentata? Non sono ancora abbastanza umano, perché dovrei cercare di diventare cyborg? Sarebbe, con la scusa di essere all’avanguardia, disertare il mio posto».
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L’intelligenza artificiale
Chi si meraviglia della nascita di un bambino, osserva provocatoriamente Hadjadj, «è poco sensibile alla pubblicità dell’ultimo iPhone. Uno che sa ancora gridare per la nostra salvezza non è abbastanza credulone per votarsi all’intelligenza artificiale. A meno che l’intelligenza artificiale non l’aiuti a gridare di più e a stupirsi del lombrico».
La gerarchia
Il filosofo, in sostanza, sostiene di non essere «un nemico degli oggetti tecnologici. E utopico “ritorno alla natura”. È alla tecnologia come paradigma che si sostituisce al paradigma della cultura che le mie cronache fanno il processo. Non si tratta di escludere ma di stabilire una gerarchia: che l’iPod sia subordinato alla chitarra, che la tavoletta elettronica sia al servizio della tavola, perché la tavoletta e l’iPod ci spingono alla consumazione individuale disincarnata, mentre la chitarra e la tavola ci invitano a pratiche carnali e sociali».
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