Una persona in gravi condizioni ha sempre diritto al nostro rispetto, qualunque cosa si pensi di luiAbbiamo tutti seguito con iniziale diffidenza e poi con incredula sorpresa le notizie che si sono succedute circa le condizioni di salute di Sergio Marchionne, l’Amministratore Delegato di Fiat, ora FCA, che – a quanto pare – sta lottando tra la vita e la morte. Di Marchionne si sa poco, non è un presenzialista, non sta sempre in tv, è certamente un uomo di grande spessore e un lavoratore infaticabile, forse anche questo ha causato la sua attuale condizione. Condizione che non è nota perché se Marchionne è schivo sulle cose frivole, lo è ancora di più adesso che la situazione è seria. Si vocifera di un tumore al polmone (Dagospia) ormai allo stato terminale, la scusa che lo aveva allontanato dall’Assemblea di FIAT diceva “intervento alla spalla”, ma per un intervento alla spalla non si manda via un manager di quella caratura, né ci si affretta prima che le borse aprano a nominare un successore con un anno di anticipo rispetto a quanto programmato.
Che Sergio Marchionne stia molto male è chiaro a tutti. Meno chiaro a chi si accanisce contro di lui sui social o sui giornali, dimenticando la distanza che dovrebbe intercorrere tra l’uomo Sergio, sofferente probabilmente addirittura morente, e il manager Marchionne con le sue scelte a volte discutibili, con un certo grado di spocchia, con le promesse mancate e i fallimenti (Il Fatto).
Un buon ritratto che permette di vedere bene i limiti del manager che per certi versi manager non fu lo fa Maurizio Belpietro su La Verità:
La fortuna, per Marchionne, volle che in quel momento alla Casa Bianca fosse appena arrivato Barack Obama e che il neo presidente non potesse cominciare il mandato assistendo impotente alla chiusura delle fabbriche automobilistiche del gruppo. Obama non aveva il problema degli aiuti di stato che avrebbe avuto un qualsiasi politico europeo, costretto a rispettare le assurde regole di Bruxelles. No, il presidente Usa mise mano al portafogli, sperando che qualcuno si facesse avanti. E un uomo scaltro, con un’ azienda che faceva fatica a trovare la strada per uscire dalla crisi, capì che quella poteva essere un’ opportunità. Ha scritto bene Marco Cobianchi nel libro in cui ha analizzato la strategia di Marchionne (American Dream): non è la Fiat che ha comprato la Chrysler, ma Obama che ha comprato la Fiat.
Con i soldi americani (e anche la tecnologia che nella Chrysler avevano messo i tedeschi), Marchionne ha fatto il miracolo. Tuttavia, anche se ha guidato per 14 anni un gruppo automobilistico, l’ uomo che oggi giace in un letto d’ ospedale a Zurigo non è mai stato un manager dell’ automobile. Prova ne sia che ha fatto e disfatto piani industriali (otto in totale), senza azzeccarne mai neanche uno. Marchionne è stato un grande funambolo, un uomo che ha giocato con i soldi, le banche, le relazioni. Ha scomposto e ricomposto il gruppo, quotando ciò che già era di proprietà della Fiat e moltiplicandone il valore.
D’altro canto Il Manifesto titola così, con un po’ troppo anticipo sugli eventi ed evocando già non solo o non tanto la fine di un’era, ma di una persona.
Così il Presidente della regione Toscana
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Insomma se davvero siamo di fronte ad crepuscolo della vita di questo manager italo-canadese, la cui famiglia fuggì dall’Italia per sfuggire alla guerra, che partendo dal poco ha fatto molto, ci sarà tutto il tempo dopo di analizzare la sua vita pubblica, ora per la sua anima (specialmente se si pensa che egli abbia fatto molti errori) si deve solo pregare, portare rispetto per il dolore suo e dei suoi cari (i figli e la compagna innanzi tutto) e fare silenzio…