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Come deve comportarsi un genitore se scopre che suo figlio è transessuale?

QBDOO bambina transgender

© Public Domain

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 17/07/18

La disforia di genere è un disturbo da trattare con grande delicatezza, non certo pubblicizzandola su internet. Ecco i consigli degli esperti contattati da Aleteia

Negli ultimi anni si è iniziato ad affrontare il tema dei bambini transgender dopo il caso di Angelina Jolie: nel 2014 l’attrice e regista ha lasciato che la sua bambina Shiloh (allora di 8 anni) andasse alla prima della sua opera da regista, “Unbroken”, indossando giacca e cravatta, con del gel nei capelli.

Esattamente come hanno fatto i suoi fratelli e come farebbe qualunque maschietto. «Si sente un ragazzo, si fa chiamare John. Abbiamo deciso di assecondarla tagliandole i capelli e vestendola da ragazzo», ha spiegato l’attrice americana.

C’è chi parla di “piccoli transgender”, in alcuni casi spingendosi fino al punto di «volerli far curare». E ancora, chi minimizza pensando si tratti soltanto di capricci da bambino/bambina, che passeranno andando avanti con gli anni. In realtà la disforia di genere (o transessualismo) è un disturbo molto serio e mai da sottovalutare (www.paginemediche.it).

L’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha recentemente inserita tra le «condizioni di salute sessuale» e non più tra le «malattie mentali« per garantire un migliore «accesso ad adeguati trattamenti sanitari» ed evitare «biasimo e condanna» nei confronti dei soggetti che ne sono affetti (Ansa, 18 giugno).

Lo studio negli Usa

Quanti siano i bambini, nel mondo, con disforia di genere è difficile a dirsi. A Seattle, la dottoressa Kristina R. Olson sta lavorando tuttora «al più largo studio di sempre su bambini che si identificano come transgender e vivono secondo il genere che sentono e non secondo quello dell’anagrafe». La Olson segue «200 minori in “transizione sociale”, cioè che usano nomi del sesso opposto, cambiano aspetto vestendosi e pettinandosi da maschietti se sono femmine e viceversa. Tutti hanno realizzato questi cambiamenti prima dell’età puberale, fra i tre e i 12 anni».




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Il primo problema, secondo la dottoressa, è capire come si distingue un bimbo con disforia che probabilmente sarà transessuale da adulto e un “bimbo confuso”. «Attualmente non c’è un criterio. Se non quello di vederlo persistentemente riferirsi a se stesso secondo il sesso opposto» (corriere.it, luglio 2016)

“Non so perchè sono un maschio…”

Sicuramente un approccio sbagliato è quello avuto da una madre americana. La donna, qualche anno fa, riprese con lo smartphone la figlia che, a soli 8 anni, leggeva una lettera in cui spiegava di essere transgender. Il video divenne rapidamente virale.

I contenuti della lettera di Qbdoo (ma si fa chiamare “Q”) erano fin troppo espliciti: «Non so perché sono un maschio – scriveva Qbdoo – alcune persone lo dimenticano e questa cosa mi fa sentire frustato. Ma glielo ricordo e a loro torna in mente» (Daily Telegraph, 5 febbraio 2015).




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La felicità che “sbiadisce”

La storia di Q è quella di una normale bambina che vive a Brookyln, New York, con sua madre Francisca. Nel 2013 la donna ha iniziato a notare qualche cambiamento nella figlia. Da sempre una bambina sorridente e felice, poco per volta cominciò ad apparire più cupa: «Si sentiva frustata per se stessa, il suo corpo, i suoi vestiti. Si lamentava di non piacersi. La sua felicità cominciava a sbiadire», sosteneva la madre.

Quando un amico di Francisca le prestò un paio di pantaloni e una maglietta da ragazzo della misura della figlia, l’entusiasmo della bambina tornò di colpo e con essa una consapevolezza liberatoria da sbandierare ai quattro venti: sentirsi un ragazzo (Huffington Post, 9 febbraio 2015).

Le difficoltà dei trans

La madre ha spiegato: «So che sarebbe meglio per lui aderire alla normalità e cercare di dimenticare di essere un ragazzo. Le persone trans hanno difficoltà a trovare un lavoro, a trovare una casa. Ma ditemi che cosa c’è di più potente e liberatorio di essere veramente se stessi. Alla fine so che la cosa più pericolosa che potrei fare sarebbe cancellare l’identità di Q».




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Malattia “poco chiara”

In una intervista ad Aleteia la prof.ssa Elisabetta Straffi, docente di Tecniche psicodiagnostiche strutturate alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium” di Roma, ha osservato che «di fronte alla rivendicazione della bambina, davanti al “suo” diritto di sentirsi un ragazzo, nasce spontaneamente una prima domanda: ‘’a8 anni si può essere in grado di avere una coscienza stabile e definitiva della propria identità di genere?”. ‎Gli studi più recenti sul tema della Disforia di Genere sottolineano la difficoltà che comporta una diagnosi di questo disturbo in età pediatrica».

2 anni

Il Disturbo dell’Identità di Genere (DIG) è attualmente una condizione «poco conosciuta e dall’eziologia incerta; nella sua trattazione clinica si predilige un modello interpretativo bio-psico-sociale. Fino ad oggi gli studi hanno stimato un’incidenza che si aggira attorno al 2-3% della popolazione pediatrica». Anche se si può riscontrare sporadicamente un’insorgenza molto precoce, intorno ai 2 anni, con il passaggio all’età puberale, tuttavia, «si è anche stimato che tra l’80% e il 95% di questi soggetti si constati una graduale accettazione del proprio sesso biologico e una strutturazione omosessuale nell’orientamento di genere».

Cosa accade nell’età evolutiva

Proprio questa constatazione, ha proseguito la docente, richiama l’attenzione degli esperti ad assumere un atteggiamento «di particolare cautela nell’ambito diagnostico, soprattutto quando si trattano soggetti in età evolutiva. Ritengo che una diagnosi affrettata, come anche un’incauta propaganda sull’argomento possano interferire in modo negativo sul delicato e complesso processo di crescita di ogni bambino che include anche il ruolo genitoriale».




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Filmare è un “errore”

Ecco allora una seconda domanda, riferita al caso di “Q”: ”Una bambina di 8 anni può essere in grado di scegliere con libertà e consapevolezza di farsi filmare e poi postare sul web mentre legge una letterina che tocca così profondamente la sua intimità?”.

«Lascio a voi la risposta – ha sentenziato Straffi – In quanto adulti, genitori, insegnanti, a volte “esperti”, forse dovremmo allenarci intanto a porci delle domande prima di pretendere di dare delle risposte definitive. È nella forma della domanda che si trova la risposta».

Madre superficiale

«Ho qualche perplessità che la lettera sia stata scritta dalla bambina – è stata la premessa ad Aleteia del professore Ezio Aceti, psicologo dell’età evolutiva – ma diciamo che possono esserci dei casi, molto rari, di bambini che a otto anni possono scrivere in quel modo. Detto ciò non condivido l’azione della madre. Non è in questo modo che si tutela la bambina. La problematica non andava sbandierata a tutti attraverso internet. La madre non deve entrare nel vissuto, nel mondo intimo della figlia».




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Il mondo del bambino

«Noi siamo abituati allo scalpore – ha precisato lo psicologo – ma troppo spesso non entriamo in questo mondo intimo. La bambina scopre di sentirsi un maschio anche se ha le caratteristiche di una femmina. Scopre di avere una identità di sé diversa da quella fisica. In lei c’è ansia, paura, tensione. La madre e la famiglia dovrebbero fare delle operazioni». Prima di tutto, secondo Aceti, il genitore dovrebbe «stare vicino alla bambina, sdrammatizzare quanto più possibile la sua sofferenza, fargli capire magari che può succedere, anche se è raro. La morsa della sofferenza va allentata».

La sofferenza della natura

Esistono due tipi di sofferenza, ha evidenziato l’esperto. «Quella che procuriamo agli altri, e che andrebbe evitata, e quella della natura. Le sofferenze di questa bambina andrebbero umanizzate. E per fare ciò, la parola d’ordine è sdrammatizzare. In questo modo, lentamente, accetterà anche che gli altri possano prenderla in giro. Di certo non possiamo pretendere che tutti gli altri bambini capiscano il suo problema. Accadrà che qualcuno prima o poi sia sarcastico sulla sua condizione di bimbo con le caratteristiche fisiche della bimba».




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Caos mediatico

Dunque, “Q” ha fatto bene a confessarsi con la madre «purché non aggiunga ansia a quella che lei già avverte. Questa operazione su internet sicuramente aggiunge tensione. La bambina faticherà ulteriormente a gestire la sofferenza che gli ha consegnato la natura. Il can can mediatico, il caos che genera la rete rispetto alla sua storia possono avere conseguenze molto negative. Tutti dovrebbero capire – ha concluso Aceti – che l’unica vera battaglia da fare in questo momento è la tutela della bambina».

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