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Si può obbligare un sacerdote a violare il segreto della Confessione?

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Jaime Septién - pubblicato il 13/07/18

Nessun presbitero è costretto a rispettare una legge umana che cerca di minare la confidenzialità assoluta della Confessione

“Esiste un caso in cui la custodia del segreto si è rivelata particolarmente efficace. Parlo del segreto della Confessione, il segreto che il confessore mantiene sui peccati che gli sono stati confessati. Si tratta evidentemente di un valore considerato fondamentale nella Chiesa cattolica, instillato con talmente tanta forza nelle coscienze da essersi mantenuto come una delle norme più rispettate”.

Queste parole fanno parte del piccolo saggio Segreti e no, dello scrittore triestino ed eterno candidato al Premio Nobel Claudio Magris (1939), che aggiunge: “Ci sono stati sacerdoti che hanno violato vari comandamenti, ma pochissimi sacerdoti hanno rivelato il segreto della Confessione”.

E la colpa del peccatore davanti a Dio?

Questo “caso di successo” nella storia dell’umanità riportato da Magris ha un fondamento teologico: il sigillo o il segreto di coscienza, come il rapporto con Dio di colui che si confessa. Ed è un esempio, continua lo scrittore, “della preoccupazione più viva di tutelare il segreto non come mistero ineffabile, ma come difesa della dignità della persona e della sua intimità, della sua verità interiore”.

Tutto questo non interessa i legislatori australiani che hanno approvato una norma legale che ordina ai sacerdoti cattolici di violare il segreto della Confessione in caso di crimini di abuso sessuale di minori e altri crimini di cui vengano a conoscenza nel confessionale, senza tener conto della sacralità del sacramento della Confessione e della teologia del sigillo.

La Confraternita Australiana del Clero Cattolico (ACCC, dalle iniziali in inglese) ha obiettato a questa normativa, che potrebbe obbligare a derogare a uno dei pilastri fondamentali della vita sacramentale della Chiesa cattolica. Sarebbe come dichiarare la legge umana – approvata nelle legislature di Australian Capital Territory, South Australia e Tasmania – superiore alla legge divina.

“Visto che la natura del peccato implica la colpa del peccatore davanti a Dio e l’assoluzione affidata da Cristo al sacerdote, che deve esprimere un giudizio sulla sincerità del peccatore, il sigillo del sacramento si applica a un rapporto personale del penitente, in coscienza, con Dio, e come tale non è meramente una materia di legge canonica ma di legge divina, dalla quale la Chiesa non ha il potere di dispensare”, dice il comunicato dell’ACCC.

“Nessun sacerdote è costretto a rispettare una legge umana che cerchi di minare la confidenzialità assoluta della Confessione”, aggiunge. Più avanti nel comunicato, la Confraternita sottolinea che i sacerdoti non possono rispettare e non rispetteranno una legge di questa natura, che è inoltre ispirata a una “concezione radicalmente inadeguata del sacramento”.

Pensa male e azzeccherai?

Evidentemente, dietro questa normativa si nasconde la presunzione interpretativa che il sacramento della Confessione sia motivato da una presunta cultura dell’occultamento e della congiura, occasione della quale la Chiesa cattolica si è “servita” sia per “coprire” i suoi membri che commettono questo tipo di crimini che per trarre vantaggio dai penitenti…

L’ACCC ha spiegato alcuni degli ostacoli pratici alla pretesa denuncia obbligatoria. Il primo di tutti è la difesa dell’anonimato dei penitenti attraverso lo schermo del confessionale, che impedisce che un confessore possa riconoscere con certezza il volto del penitente.

I penitenti, inoltre, non sono costretti a confessare dettagli specifici dei peccati al di là del tipo di mancanza commessa e del numero di volte se c’è recidiva. L’assenza di informazioni come dettagli a livello di luogo e tempo e nome delle persone coinvolte non permetterebbe l’identificazione in alcun caso giuridico.

La Confraternita ha ricordato il forte desiderio dei sacerdoti australiani di una maggiore protezione dei bambini e degli adulti vulnerabili e il fatto che sia stato perseguito chi ha commesso questo tipo di crimini, ma ha avvertito che “queste leggi non rispettano alcuno di questi due obiettivi, e creano inoltre un precedente in Australia per la violazione della libertà religiosa attraverso l’ingerenza dello Stato nel dominio di ciò che è sacro”.

Quando, come dice Magris, “la sofisticata crescita tecnologica dei mezzi di comunicazione permette violazioni sempre più inquietanti della vita privata di base, in una spirale di comunicazione globale che si trasforma in espropriazione della persona, voyeurismo camuffato da scienza, indagine sociale, denuncia politica, pettegolezzo pseudoculturale”, i legislatori australiani vogliono eliminare uno dei piccoli spiragli che restano all’uomo moderno per scaricarsi la coscienza, ottenere il perdono e assoggettarsi alla legge divina.

O qualcosa di simile.

Con informazioni della Confraternita Australiana del Clero Cattolico, riprodotta da Gaudium Press

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