Stipendio dei preti e suore, chi paga? I soldi degli italiani sono usati per pagare gli stipendi faraonici dei sacerdoti? Se si cerca sul web ancora capita di leggere un vecchio e non corretto articolo di Curzio Maltese di Repubblica, da sempre impegnato a gonfiare i costi della Chiesa e, contemporaneamente, però –si è scoperto – a beneficiare di un lauto doppio stipendio (di cui uno, quello sì, pagato profumatamente con i soldi degli italiani).
Dai 900 ai 1200 euro al mese, a seconda delle responsabilità (1000 euro, nella media). Questo è lo stipendio base di un prete, come ha verificato recentemente Studio Cataldi, sito web di informazioni di giurisprudenza. Pagato da chi? Per il 10% dalle offerte dei fedeli e per il restante, in Italia, dal reddito in caso di insegnamento nelle scuole e, per la gran parte, dall’Istituto centrale per il sostentamento del clero (ICSC), ovvero la Conferenza episcopale italiana (Cei), che ha il compito appunto di gestire gli stipendi di parroci, preti, vescovi, cardinali e di garantire loro il supporto previdenziale e assistenziale.
Da dove prende questi soldi la Cei? Dall’8×1000, ovvero la destinazione volontaria -volontaria!- di una quota delle tasse già dovute dai cittadini allo Stato. Come già abbiamo spiegato, il tanto criticato meccanismo di ripartizione funziona (come in politica) in modo che “chi firma decide anche per chi non firma”: la quota dei contribuenti che non ha firmato viene suddivisa tra i destinatari secondo la proporzione risultante dalle scelte espresse. Questo meccanismo avvantaggia chi ha avuto la maggiore quota di preferenze e, dato che la Chiesa cattolica riceve la maggioranza delle preferenze dei contribuenti che esprimono una scelta (che scelgono lei piuttosto che lo Stato, i valdesi ecc.), beneficia anche di gran parte della quota dell’8×1000.
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Dunque, al contrario di quanto scritto da Curzio Maltese (oggi è saltato sul carro di Sinistra Ecologia Libertà dopo il fallimento della Lista Tsipras), la remunerazione dei sacerdoti, che guidano le 27 mila parrocchie presenti in Italia, non grava affatto sulle spalle dei cittadini. Sia perché l’8×1000 sono tasse già dovute, sia perché la destinazione dei fondi alla Chiesa cattolica è una scelta volontaria, in uno scenario di “competizione” tra lo Stato e le principali confessioni religiose.
Più si cresce nella scala gerarchica del clero e più aumentano le responsabilità (spirituali e di gestione curiale), proporzionalmente aumenta anche lo stipendio percepito che, comunque, risulta nettamente inferiore se lo si paragona a quello di sindaci e rappresentati di governo. Va anche considerato, tuttavia, come vescovi e cardinali siano spesso benefattori di tasca loro di opere di carità la quale, per essere realmente pura gratuità, rimane nascosta ai riflettori. Salvo numerose eccezioni, sopratutto notizie che arrivano sui media alla loro morte come accadde per il card. Tettamanzi, il quale si scoprì che donò di tasca sua oltre un milione di euro alle famiglie dei disoccupati. A fare notizia oggi, giustamente, c’è il neo-cardinale Konrad Krajewski, che ha fatto della carità il suo stile di vita e, attraverso lui, Papa Francesco sta aiutando economicamente migliaia di persone in situazioni critiche. Appare maggiormente complessa e non chiara la retribuzione delle suore e religiose, in quanto percepirebbero una remunerazione molto più modesta rispetto ai sacerdoti.
«L’immagine di una gerarchia opulenta non corrisponde alla realtà», si commenta su Il Messaggero. Indossare l’abito talare non è affatto una scelta economicamente attraente. L’unico motivo per abbracciare tale vocazione è sentire la chiamata di Dio ad «abitare in mezzo agli uomini e permettere a Gesù di farlo, prestandogli la mia carne», come disse don Andrea Santoro, prima di essere assassinato a Trebisonda (Turchia).