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La misericordia accorcia le distanze … con l’amore

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don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 12/07/18

Il cristiano per definizione crea e predica vicinanza. Il male, attraverso il giudizio e l’accusa crea distanza

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Andate, predicate che il regno dei cieli è vicino.
Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture,
né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento.
In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza.
Entrando nella casa, rivolgetele il saluto.
Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi».
Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi.
In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città». (Mt 10,7-15)

Nelle “istruzioni per l’uso” dei discepoli che Gesù dà oggi nel vangelo di oggi, il punto di partenza è forse quello più decisivo: “E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino”. Il vero discepolo è innanzitutto un predicatore della vicinanza, della prossimità, del “regno a portata di mano”. Questo è importante perché dovrebbe diventare strutturalmente la caratteristica di ogni atteggiamento cristiano. Il cristiano per definizione crea e predica vicinanza. Il male, attraverso il giudizio e l’accusa crea distanza.

La misericordia accorcia le distanze, dice la verità ma allo stesso tempo, colma la distanza con l’amore. E cosa significa concretamente? Come si fa a colmare una distanza con l’amore? Attraverso “l’esserci”. La predicazione della prossimità del regno di Dio la si può fare non con le parole ma con l’esserci nella vita delle persone. “Gioire con chi gioisce, e soffrire con chi soffre”. In questo senso un cristiano è autorizzato a dire la verità solo se poi è disposto a mettersi in prima persona nelle cose che dice. Posso dire parole di verità a un carcerato se poi sono disposto a stare con loro, a condividere con loro ciò che soffrono, a stare nella loro condizione di marginalità. Posso dire qualcosa di verità alla politica solo se poi sono disposto a mettermi in gioco, a entrare nei meccanismi che denuncio e a fare la differenza. Posso dire parole di verità a chi vive una condizione affettiva diversa solo se sono disposto a entrare davvero in amicizia e vicinanza alla loro situazione, ad ascoltare e sentirmi addosso una fatica, una domanda o un’aspettativa.

Sarebbe troppo diabolico predicare una verità senza carità. Il demonio fa solitamente così per creare distanze e giustificarle. La verità nella carità non consiste nel trovare il tono di voce più adatto per dire qualcosa di duro, ma nell’accettare di farsi vicini, amici, compagni di viaggio, testimoni appunto. Si può dire la verità proporzionalmente al tempo umano dedicato a chi ci si rivolge.

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