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Se Cannes e Raffaele Morelli perdono tempo con “Cuori Puri”

Screenshot Cuori Puri Film

Youtube/ Rai Cinema

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 06/07/18

Ormai è passato un anno dall'uscita nelle sale del film di Roberto De Paolis che ha caricaturato il movimento cattolico di valorizzazione della purezza, nato a Medjugorie per impulso di Ania Goledzinowska. Mentre vengono perseguite le vie legali per l'ovvio contenzioso, il caso è utile per riflettere sull'eredità del ’68, a cinquant'anni dal Maggio.

Diceva più o meno così: «Film meno ambizioso che velleitario: con il pretesto delle analisi psico-sociologiche si indulge a numerose scene che rasentano la pornografia».

Purtroppo non riesco a ricordare chi l’abbia scritto, né dove, né le parole esatte, ma era una stroncatura di Lo sguardo dell’altro, di Vicente Aranda: era il 1998 e la bellezza dell’attrice toscana era al suo apice; il regista spagnolo la rivoltò come un calzino negli atteggiamenti erotici più depravati che la storia sostenesse senza diventare un vero e proprio porno. Vidi il film su consiglio di un mio professore di filosofia, e ricordo la battuta finale del deuteragonista – «Ora ho capito cosa vuoi: tu vuoi restare sola» – come la quintessenza della pretenziosità intellettualoide.

Contro la morale cristiana

In virtù di questo ricordo mi sono risparmiato i 115 minuti della pellicola di Roberto De Paolis il cui valore, per spezzoni da me visionati, non si avvicina neppure a quello del film di Aranda.

Qui non c’è la Morante, ma una stella italiana della sua classe la troviamo ugualmente: è Barbara Bobul’ová, che impersona la madre della protagonista, tutta casa e chiesa. I più attenti noteranno anche Stefano Fresi, il don Luca della parrocchia. Provo a dire in sintesi la trama: Agnese (il cui nome significa “la casta”) è una ragazza di periferia che vive con la madre, rappresentata devota al limite del caricaturale (eppure attiva anche nel sociale e non solo in sagrestia, fuori cliché); in parrocchia è attivo un movimento chiamato “Beati i puri di cuore…”, che coltiva il valore della purezza (maldestramente appiattito sulla verginità da un regista qui grossolano), la ragazza vi aderisce. Presto però incontra Stefano (altro nome importante per la tradizione cristiana), che cerca di sganciarsi da un brutto giro facendo il custode in un parcheggio.

I due si innamorano e (con ben quattro minuti di primi piani espliciti) lui la svergina in una non meglio identificabile abitazione (si vede solo un interno, scuro e stretto, quasi una roulotte, ma l’ambiente non si vede da fuori): quando lei, un attimo prima, gli dice che però vorrebbe “restare pura” lui le risponde con un serafico “ma tu sei pura”. E via. Al mattino la ragazza esce dall’alcova con le gambe rigate di sangue nell’interno coscia: si accoccola allora nel prato e con la rugiada mattutina raccolta nelle mani si deterge. Ora però faccio “lo spoiler” (scusate l’orrendo anglismo), perché ci serve per capire: la ragazza va con la madre a denunciare di essere stata violentata “dai rom” (cosa evidentemente falsa), salvo poi scappare al volo dall’automobile della madre non appena sul marciapiede vede passare Stefano. Il quale, alla fine del film, è tornato a spacciare ai dodicenni.

Morale della favola: l’amore vince sulla repressione, la spontaneità vince sull’ipocrisia e tutta la solita filiera di banalità avulse da ogni principio di realtà. Difatti i rom sono stati denunciati per una bugia sostenuta da Agnese, che davvero a quel punto ha perso ogni purezza (soprattutto la verginità del cuore), e Stefano torna ai soldi facili che si guadagnano seminando morte nelle giovani vite altrui. Vincono l’irresponsabilità e la fuga. «Per vivere bene – ha detto Stefano Fresi stigmatizzando i “Cuori Puri” – bisogna sporcarsi le mani». E difatti il film è sporco, in più di un senso. Per questo capolavoro Roberto De Paolis ha ricevuto sette minuti di applausi a Cannes e il Ciak d’oro alla “miglior opera prima” (a dire il vero il regista aveva già Alice all’attivo, ma talmente sconosciuto da non entrare nel computo).

Cosa c’entra Medjugorie?

Ma siamo sicuri che il “Cuori Puri” di Roberto De Paolis parli del “Cuori Puri” presente in Italia e nato a Medjugorie? Altroché: alle presentazioni del film, non solo a Cannes, viene puntualmente ribadito che il riferimento a «una comunità nata a Medjugorie nel 2011» è esplicito e voluto; un anno fa Selene Caramazza diceva in un’intervista a Gioia di aver «anche conosciuto una ragazza che ha fatto “la promessa dei Cuori Puri”, cioè il voto di castità fino al matrimonio». Fa sorridere che la ventiquattrenne siciliana la definisca “una scelta estrema”, ma due righi dopo la sua analisi si mostra meno grossa di quella di tanti altri: «In un mondo in cui la normalità è concedersi facilmente, è un gesto anticonformista. Sono più strani loro o noi?».

Buona domanda, Selene. E se qualcuno non leggesse i rotocalchi gli basterebbe comunque vedere il film per riconoscere i segni del “brand” nato a Medjugorie: Agnese ordina infatti “l’anello della promessa” su un sito internet e lo riceve via posta, proprio come avviene nella già ricordata comunità. Nella realtà, poi, non si fanno maldestre confusioni tra castità e verginità, o tra purezza e continenza: lo scopo dell’associazione non è infatti quello di portare la gente ad arrivare vergine al matrimonio – tanto sforzo per così “poco” sarebbe incomprensibile. Ania Goledzinowska ha espresso così il disappunto per il film che scimmiotta malamente la “sua” associazione, quando io le facevo osservare che, sebbene nel marasma, comunque Cuori Puri potrebbe beneficiare di un’inattesa sovraesposizione mediatica:

Fino ad ora Cuori Puri ci perde solo [ride, N.d.R.], nel senso che più pubblicità abbiamo e più richieste di anelli ci arrivano, e questa è una spesa [sì, gli anelli sono offerti a chi li richiede dall’associazione, N.d.R.]. Scherzo… Comunque noi le cose le facciamo gratuitamente, per i ragazzi. Anche le persone che collaborano: sono tutti dei volontari che ci credono. È gente che ha anche cambiato vita: ci sono sia quelli che si custodiscono da sempre, sono vergini e sostengono l’associazione; e ci sono anche quelli che hanno fatto una vita come la mia, di sesso, droga e rock ’n roll… e poi invece hanno scoperto o riscoperto il valore della purezza e sono tornati a fare un cammino. Alcuni sono arrivati anche al matrimonio, ci sono tre ragazze che si sono fatte suore; due ragazzi che sono entrati in seminario, dopo questo percorso… e la loro vita prima era allo sbando. E allora potevano fare davvero un bel film, con tante tante storie belle, piene di senso, vite che cambiano dal peggio al meglio. Invece hanno fatto il contrario.

I conti della serva e l’intellettuale di regime

E non l’hanno fatto gratis, perché anche prima che il film andasse nelle sale aveva già fruttato bei soldini: nel 2016 infatti la Commissione per la Cinematografia del Mibact aveva irrorato il set con 100mila euro netti per la produzione.

Al botteghino la pellicola ha fruttato 140mila euro (dei quali quasi 55mila nel primo weekend) e naturalmente i premi vengono buoni per arrotondare. Ovviamente ci si può giocare anche la carta del recensore eccellente, magari il volto televisivo con l’allure dell’intellettuale. De Paolis ha trovato il telepsicologo Raffaele Morelli, che ha dedicato duecento secondi a recensire Cuori Puri.

Dallo scrittore il film è definito “bellissimo” ma la sua verve è tale che gli spettatori hanno interagito chiedendogli se stesse male (tale era la “brutta cera del dott. Morelli”, verbatim da un commento), e del resto è piuttosto eloquente che in quasi quattordici mesi il video non abbia avuto neppure quattromila visualizzazioni su YouTube (attenzione, il canale dell’editore Risa ha più di 56mila iscritti!).

Come si campa male, a fare gli intellettuali televisivi: doversi allineare alle direttive del mercato, a quelle delle industrie (e il cinema, nonostante il calo, è ancora una delle prime industrie del Paese), camminare costantemente sulle uova perché anche un (quasi) esordiente può mettere un nome blasonato nel cast e aver acciuffato qualche branca di una filiera «che ci porta avanti, / quasi tutti quanti, / maschi, femmine e cantanti, / su un tappeto di contanti, / nel cielo blu» (F. De André).

Morelli, partecipi a un ritiro di Cuori Puri!

Dottor Morelli, perché non facciamo un redde rationem di questa recensione incolore dai numeri altrettanto sbiaditi? Perché non diciamo che il film di De Paolis è un’accozzaglia di banalità messe insieme per fare un po’ di soldi ai danni della Chiesa (cosa che va sempre di moda e si porta su tutto, tipo il nero)?

Ma davvero uno psicologo di fama può confondere la spontaneità e lo spontaneismo, misconoscendo il groviglio di contraddizioni che abita ogni uomo? Davvero è degno del suo calibro ridurre il valore dei precetti e dei tabù – anche meramente dal punto di vista antropologico e sociologico – a ciò che nelle sue parole sembra poco più di una credenza ipocrita?

E secondo lei allora – glie lo chiedo in qualità di psicoterapeuta – come mai i ragazzi che hanno vissuto l’esperienza di Cuori Puri sono parecchi più del doppio di quanti hanno visualizzato la sua recensione? Su Facebook le Edizioni Risa hanno meno di 300 like, mentre la bistrattata pagina di Cuori Puri va per i 35mila. Recrudescenze dell’oscurantismo? Non sarà un giudizio un po’ superficiale? Forse avrà letto il libro di quella giovane e bella sessuologa belga che in Francia ha spopolato proponendo un bilancio critico dell’eredità del ’68, Thérèse Hargot (ma non è l’unica: le stesse cose le ha scritte pure la ancor più giovane editorialista del Figaro, Eugénie Bastié). Badi che (la prima) è una sua collega: parla più di quel che ascolta in seduta che di quel che “crede”, e il succo della sua analisi è che il motto “vietato vietare” è miseramente naufragato. I cosiddetti “diritti”, le pretese “libertà” hanno condotto quanti per essi avevano lottato a vivere male almeno quanto la generazione precedente (magari per i motivi opposti): ora che tutti celebrano il “giubileo del ’68” sarà arrivato il momento di una vera e onesta verifica, no?

Le faccio una proposta, penso che possa anche gratificarla professionalmente: vada a qualche ritiro di Cuori Puri, ascolti le testimonianze di quei ragazzi, s’immerga nei loro racconti. Vedrà coi suoi occhi dove stanno i pregiudizi e chi è che vive male. Vedere per credere.

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