Nel capannone di una fabbrica dismessa alla periferia di Milano un artista che si chiama Anselm Kiefer ha innalzato sette torri a prima vista pericolanti, fatte di piombo e cemento armato, alte quasi 20 metri. L’installazione si chiama I sette palazzi celesti, ideata per lo spazio espositivo Hangar Bicocca. Camminandoci nel mezzo, si avverte lo sconforto che trasmette un paesaggio bombardato, unito alla colossale spinta verticale degli edifici. È un’opera suggestiva che, come accade sempre per l’arte vera, non può non aprire a un’intima indagine spirituale.
L’uomo ha sempre fatto i conti con un insopprimibile desiderio di ascensione: i megaliti piantati in cerchio a Stonehenge, le piramidi egiziane, le teste dell’isola di Pasqua, gli ziqqurat iracheni, fino ai solenni campanili delle nostre cattedrali. Tutto ciò che ci rimane delle antiche civiltà, sembra testimoniare uno sforzo comune a organizzare la materia pesante in verticale.
Tutti noi, fin bambini, siamo stati impegnati nella sfida personale che ci oppone alla gravità: a suon di cadute, abbiamo imparato a stare in piedi, solo successivamente a camminare. Disponiamo di corpi tutt’altro che leggeri, ma la sede dei pensieri (la testa), ci teniamo a conficcarla più in alto che riusciamo, il più possibile nel cielo.
Nemmeno con l’età dimentichiamo la soddisfazione che ci dava un pomeriggio ad impilare mattoncini: alcuni, addirittura, sono diventati ingegneri e ora firmano progetti di grattacieli e torri panoramiche. A volte, la tensione verticale che ci accomuna diventa pura ostentazione, e si ritorna a concepire nuove forme di Torre di Babele.
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Ma il Dio del Nuovo Testamento forse sospetta che non potremmo reggere a una nuova confusione delle lingue. Così ha disposto che si possa guardare alla geometria non casuale del Crocifisso: nei suoi bracci perpendicolari si conciliano mirabilmente l’orizzonte piatto della nostra condizione e il benedetto sforzo di tentare l’ascensione.