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Tumori e leucemie in adolescenza. Non lasciamo solo chi deve combattere!

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Ospedale Bambino Gesù - pubblicato il 04/07/18

Le malattie oncologiche in età pediatrica possono bloccare il naturale sviluppo di un adolescente: ecco cosa possono fare genitori, medici e insegnanti

Durante l’adolescenza, la scuola rappresenta il punto di partenza e il trampolino di lancio della nostra realizzazione sociale.
Durante l’adolescenza può succedere, seppur raramente, di ammalarsi di tumore o di leucemia. Il nostro ospedale accoglie ogni anno circa 70 ragazzi e ragazze di età compresa tra i 12 e i 18 anni che si ammalano di queste malattie.


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Il tumore e gli adolescenti

Ammalarsi durante l’adolescenza significa subire un blocco in quel naturale sviluppo che porta l’individuo ad autodeterminarsi,
acquisendo tutte le capacità e le peculiarità necessarie alla propria realizzazione ed identificazione. Ammalarsi significa per un adolescente anche non poter effettivamente frequentare le attività scolastiche, per un periodo (medio) di circa 7 mesi. Sette mesi di frequenti ospedalizzazioni e dimissioni, controlli ambulatoriali, visite specialistiche. Un numero enorme di assenze.
Questo produrrebbe, se non esistesse un percorso ben definito di scuola in ospedale, un congelamento della propria vita.
Inoltre, non potere andare a scuola per così tanto tempo rappresenta anche un problema psicologico, oltre che pratico. La scuola infatti rappresenta il filo che permette al ragazzo malato di riannodare i pezzi della propria vita. Il compito nostro, come sanitari, è garantirlo e tutelarlo. Molti ospedali pediatrici hanno nel loro organico, attraverso un sodalizio con i distretti scolastici, la presenza di insegnanti per le classi inferiori, medie e in alcuni casi superiori. Ciò significa che il percorso di studi, gli esami, le interrogazioni, i compiti possono essere proseguiti durante il periodo di cure.


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Durante le cure

Quando un ragazzo e una ragazza si ammalano, si attiva la domiciliazione scolastica, che garantisce la continuità del progetto educativo in ospedale. Si tratta di un progetto integrato tra il distretto scolastico e quello ospedaliero, che permette di avere il supporto di insegnanti sia in ospedale che a casa. Questo viene vissuto dagli adolescenti come un’opportunità, ma, a volte, anche come un’invasione di spazi che sono abituati a considerare propri. Per gli insegnanti, avere un paziente oncologico nella propria classe può spesso significare sentirsi impreparati di fronte al tema della malattia e in difficoltà nella gestione della classe. Gli stessi familiari potrebbero decidere di non mandare a scuola i propri figli durante il periodo di cura, proprio perché i compagni di classe e gli insegnanti potrebbero non sapere come relazionarsi con il ragazzo malato. La ricaduta psicologica può essere talvolta disastrosa: amarezza, solitudine, emarginazione. L’impatto psicologico dunque non riguarda solo il ragazzo o la ragazza che si ammalano, ma colpisce tutta la sfera scolastica, dal compagno di classe all’insegnante, e può essere riconducibile ad una sola una sola dimensione: la paura della malattia. Paura spesso dovuta alla scarsa informazione sulla malattia. Il miglior modo per depotenziare questa paura è informare adeguatamente sia gli insegnanti sia i compagni di classe, attraverso incontri con gli oncologi e gli psicologi che hanno in cura il paziente. In questi incontri, oltre a parlare della malattia, si può rispondere a tutti i dubbi, le preoccupazioni e le paure che il rapporto con un paziente oncologico può naturalmente suscitare.

Dopo le cure

Dopo le cure è tempo di tornare alla normalità. Frequentare la scuola comporta benefici importanti che si estendono ben oltre l’aspetto prettamente scolastico. Sia per i ragazzi sia per le loro famiglie riprendere la scuola significa normalità, quotidianità, futuro nuovo e pieno di speranze. Questo momento viene spesso è vissuto in maniera naturale. Molti ragazzi durante le cure riescono a mantenere una continuità con l’ambiente scolastico, per cui il momento del rientro è vissuto solo come una ripresa dei vecchi ritmi.

Al contrario, nei casi di malattie con percorso più complicato, la differenza tra il prima e il dopo spesso è netta: in questo caso, il rientro alla normalità può diventare traumatico. Non è raro infatti che il ragazzo sia timoroso di rientrare a scuola, ad esempio a causa di trasformazioni fisiche causate della malattia, oppure perché ansioso o depresso per il vissuto della malattia. In altri casi il rientro in classe può essere accompagnato dalla paura di essere giudicati, se non addirittura bullizzati, dai compagni. Questi casi, seppur rari, esistono e vengono segnalati con particolare preoccupazione non solo dalle famiglie, ma anche dagli insegnanti stessi. Si realizza la paura di non farcela, di essere diversi, di essere indietro rispetto agli altri, con conseguente perdita della propria stima e fiducia in sé stessi. Bisogna far capire ai nostri ragazzi e alle famiglie, già durante il periodo della cura, che anche quello che si sta vivendo in quel momento è – paradossalmente – normalità, e che quello che vivranno dopo sarà un’altra normalità.




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