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La Palestina ha voglia di acqua

TAP

Steve Dorman-AI

Paul De Maeyer - pubblicato il 02/07/18

Le cause sono politiche ed idrologiche, ma le conseguenze sono tremende per la vita delle persone.

Con l’arrivo dell’estate e del solleone, arriva anche un’irrefrenabile voglia di acqua, non solo quella della piscina o del mare, ma anche quella fresca semplicemente da bere. Mentre in una città come Roma “sor’aqua” (sorella acqua) — come la chiamò san Francesco d’Assisi (1181 o 1182-1226) nel Cantico delle Creature — di norma non manca, in alcune parti del pianeta essa scarseggia o viene distribuita in modo iniquo, al punto che l’emergenza idrica caratterizza la vita quotidiana delle persone che ci vivono.

Una di queste regioni è la Terra Santa. Nella città dove nacque Gesù, Betlemme, il sistema idrico sembra piuttosto un colabrodo, perché registra delle perdite del 40% circa dell’acqua distribuita, la quale subisce inoltre delle contaminazioni, così ricorda un articolo pubblicato il 5 giugno scorso dal SIR (Servizio Informazione Religiosa, un organo d’informazione della Conferenza Episcopale Italiana) e dedicato appunto alla campagna di solidarietà “Voglia di acqua”. Inoltre le autorità israeliane forniscono acqua alla città quasi letteralmente col contagocce: arriva nelle case ogni 25-30 giorni.

L’obiettivo del progetto avviato alcuni anni fa dall’Associazione Pro Terra Sancta (ATS, un’ONG a servizio della Custodia di Terra Santa) è “garantire e migliorare l’accesso e l’approvvigionamento di acqua alle famiglie cristiane più bisognose di Betlemme”, spiega il responsabile dei progetti sociali di ATS a Betlemme, Vincenzo Bellomo.

L’aiuto offerto ai cristiani di Betlemme consiste in gesti semplici ma concreti, che permettono alle persone di affrontare con più tranquillità la crisi idrica, attraverso l’installazione di pannelli solari o di nuove cisterne oppure tramite la donazione di nuove taniche per sostituire quelle vecchie e arrugginite (e quindi pericolose), continua Bellomo.

A dare una mano ad ATS sono alcune parrocchie italiane, come quella di Santa Maria del Suffragio a Milano, la quale ha devoluto la raccolta quaresimale 2018, 10.000 euro, alla campagna. “Con questa iniziativa abbiamo voluto rendere la nostra comunità più consapevole del vissuto quotidiano dei cristiani di Terra Santa”, così ha spiegato il parroco, don Claudio Nora, al SIR.

Accordo tra Israele e l’ANP

La situazione idrica dovrebbe migliorare nei prossimi anni. Lo Stato d’Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) hanno infatti concluso nel luglio 2017 un accordo, che prevede la vendita all’ANP da parte israeliana di 32 milioni di metri cubi d’acqua all’anno a “prezzi calmierati”, come scrive il sito Internet della Custodia, Terrasanta.net. Di questa massa d’acqua, circa due terzi — 22 milioni m3 — sono destinati alla Cisgiordania o West Bank e altri 10 milioni m3 alla Striscia di Gaza, rivela a sua volta il Times of Israel.

A fornire l’acqua dovrebbe essere l’ambizioso Red Sea-Dead Sea Water Conveyance Projectlanciato da Giordania, Israele e l’ANP per salvare il Mar Morto, il cui livello cala infatti ogni anno di oltre un metro, e che è a rischio di scomparire se non si interviene.

Il piano, che ha ricevuto il sostegno della Banca Mondiale, prevede ad esempio la costruzione di un impianto di desalinizzazione ad Aqaba, Giordania, e una serie di condotti per portare ogni anno centinaia di milioni di metri cubi d’acqua salmastra dal Mar Rosso al Mar Morto. La Giordania ha annunciato nel novembre scorso che porterà avanti il progetto, anche se Israele dovesse eventualmente ritirarsi.

Fiume Giordano

Una delle cause del prosciugamento del Mar Morto, che si estende tra Giordania e Israele, è che il lago noto per il suo altissimo livello di salinità — ben 10 volte di più rispetto alla normale acqua di mare — riceve sempre meno acqua dal Giordano.

Il fiume biblico, che dopo un percorso di oltre 200 km attraverso il Lago di Tiberiade (chiamato anche Lago di Genesaret o Kinneret o Mar di Galilea), Palestina, Israele, Siria, Cisgiordania e Giordania si getta nel Mar Morto, è l’unica fonte permanente di acqua di superficie della regione ed è perciò soggetto a sfruttamento intensivo.

L’acqua del Giordano è potabile fino al Lago di Tiberiade, da dove parte il grande acquedotto nazionale o National Water Carrier (NWC) che porta acqua alle grandi città costiere e fino al deserto del Negev, ma risulta contaminata una volta uscita dal lago.

Il fatto è che il Giordano nasce nel Golan (l’altopiano costituito dalle pendici del massiccio del monte Hermon e dal Golan nel senso stretto, viene chiamato anche molto significativamente il “castello d’acqua”) dalla confluenza di tre fiumi, di cui due, il Banias e il Dan, si trovano in seguito alla Guerra dei Sei Giorni (1967) attualmente in territorio controllato da Israele [1].

Questo spiega perché riconsegnare le alture del Golan alla Siria significherebbe offrire a Damasco il controllo di una quota importante dell’acqua che serve a Israele e inoltre perché lo Stato ebraico consideri l’acqua una “questione di sicurezza nazionale”.

La situazione sul terreno

Oltre al fiume Giordano ci sono anche i bacini idrici sotterranei, che sono due: le falde acquifere di montagna e poi la falda acquifera sotto Gaza, nota anche come la  falda acquifera costiera (o Coastal Aquifer), le cui acque risultano nella Striscia non adatte al consumo umano e problematiche per uso agricolo, perché contaminate da acque reflue e da infiltrazioni di acqua salina, come ricorda il Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei territori occupati B’Tselem.

Nella Striscia l’acqua salmastra desalinizzata è diventata una fonte primordiale di approvvigionamento idrico. Nella zona, dove vivono 1,7 milioni di persone su una superficie di appena 360 km², di cui circa 400.000 nella Città di Gaza, molti nuclei familiari hanno installato sistemi domestici di depuratori ad osmosi inversa per avere acqua potabile. Nel 2014 la Striscia contava anche 18 impianti di quartiere per la desalinizzazione, di cui 13 gestiti dal Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF).

Le falde acquifere di montagna o Mountain Aquifers – quella occidentale, quella orientale e infine quella nord-orientale – scorrono prevalentemente nel sottosuolo della West Bank o Cisgiordania, ma il controllo è in mano a Israele. Oggi, la quota attribuita ai palestinesi dagli Accordi di pace ad interim di Oslo II (1995) si è ridotta ulteriormente e invece del 20% è scesa a poco più del 10%, mentre Israele ha aumentato la sua quota a quasi 90% invece dell’80% previsto, così rivelano i dati forniti dalla Palestinian Water Authority (PWA).

Per quanto riguarda la Cisgiordania occorre menzionare il famigerato muro di protezione (e separazione) costruito da Israele. La barriera non segue sempre la Green Line o Linea verde — cioè la linea di demarcazione del 1949 –, ma spesso si sposta ad est e fa una sorta di “gincana”, inglobando e confiscando di fatto numerosi pozzi d’acqua palestinesi, in particolare nei pressi degli insediamenti israeliani [2], dove secondo Peace Now vivono attualmente quasi 400.000 settler o coloni.

08-Cisgiordania
Life Gate

Secondo i dati del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP o United Nations Development Programme) e menzionati da Agnese Carlini, ricercatrice dell’Università di Perugia, la popolazione dei Territori Palestinesi Occupati (TPO) ha accesso a circa 300 milioni m3 d’acqua annui, una quota molto inferiore rispetto a quella a cui ha accesso la popolazione israeliana: 2.000 milioni m3  circa.

Anche se molti accusano lo Stato ebraico di ostruzionismo (dossier bloccati o permessi negati), di prosciugare pozzi palestinesi scavando pozzi israeliani più profondi o di distruggere pozzi palestinesi, di accaparramento dell’acqua (water grabbing) e persino di un “genocidio dell’acqua” nei confronti dei palestinesi, altri puntano il dito contro l’élite palestinese a Ramallah, che trarrebbe “abbondanti profitti dalla crisi idrica, vendendo a caro prezzo acqua purificata, spesso proveniente dall’utility israeliana”, scrive Bompan.

Nei condotti palestinesi (West Bank e Striscia di Gaza) vanno persi ad esempio ogni anno 77,3 milioni m3 d’acqua, cioè più della metà di quella consumata (122,6 milioni m3), così rivelano i dati relativi al 2012 forniti dal Palestinian Central Bureau of Statistics. Un colabrodo che a sua volta invita a riflettere.

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1] Il terzo fiume, l’Hasbani, nasce invece in Libano, sul versante ovest del Monte Hermon.

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