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Poteva fuggire ma è rimasto a Homs durante il suo assedio. Ed è morto da martire

OJCIEC FRANS LUGT

Mohammed Abu Hamza / AFP

Weronika Pomierna - pubblicato il 27/06/18

Un uomo dal volto coperto ha bussato alla porta del monastero. “Deve abbandonare la chiesa”, ha gridato a padre Frans. “No, non me ne andrò, questa è la mia casa e non la lascerò”, ha risposto il gesuita. L'uomo gli ha subito sparato uccidendolo

È morto come un martire, perché è stato un uomo d’amore e credeva che cristiani e musulmani potessero vivere insieme in Siria. Chi era questo gesuita olandese che è rimasto nella città assediata di Homs per prendersi cura di un paio di dozzine di cristiani?

“Sono qui per servirvi”

“La cosa più importante è mantenere la speranza, non cadere nella disperazione. Solo allora posso aiutare gli altri. Se lascio casa mia, non ne resterà niente. E poi qui ci sono ancora dei cristiani. Circa 28 persone. Non voglio abbandonarli”, ha detto padre Frans van der Lugt, sacerdote gesuita di 75 anni, in uno dei video che ha realizzato, in cui lo si può vedere mentre cammina tra le rovine delle vie di Homs nel suo logoro abito grigio.

In altri video si può ascoltare chiaramente il suono delle bombe e degli spari in sottofondo. “Resterò qui anche se non ci saranno più cristiani, perché sono venuto qui per la Siria, per tutti i siriani. Sono qui per servire loro e questo Paese, che ho amato tanto”, sottolineava il sacerdote.

Le sue parole sono risultate incomprensibili a molti. Un europeo che poteva lasciare la sua casa durante l’assedio di Homs ma rifiutava questa possibilità per rimanere con coloro che riteneva di dover servire…

Voleva stare con loro fino alla fine, anche se rimanevano solo 28 cristiani su un gruppo di 78 fedeli.

Ucciso all’ingresso del monastero

Padre Frans “ricordava che era stato inviato in Siria come gesuita. È arrivato da ragazzo e ci ha trascorso circa 50 anni. Parlava fluentemente l’arabo”, ha affermato Lilian Nazha, associata alla parrocchia gesuita di Homs e che ha conosciuto padre Frans quando era una bambina di appena 6 anni.

Il sacerdote organizzava attività per i bambini nel monastero della parrocchia gesuita. Lilian lo definisce “mio padre”, e anche se sorride sempre, quando inizia a parlare del suo assassinio gli occhi le si riempiono di lacrime.

Durante l’assedio di Homs, padre Frans ha deciso di rimanere in città e di prendersi cura dei cristiani del suo quartiere, anche se nella pratica assisteva tutti, cristiani e musulmani.

Non aveva quasi nulla da mangiare. La sera, ha raccontato Lilian, si cucinava una zuppa con le foglie rimaste sugli alberi.

Un mese prima della liberazione, il 7 aprile 2014, un uomo dal volto coperto ha bussato alla porta del monastero. “Deve abbandonare la chiesa”, ha gridato a padre Frans. “No, non me ne andrò, questa è la mia casa e non la lascerò”, ha risposto il gesuita. L’uomo gli ha subito sparato uccidendolo.

È stato sepolto nella Homs assediata. Fuori dalle mura è stato celebrato un secondo funerale, senza il corpo. Vi hanno partecipato molte persone, accorse per ringraziarlo per essere stato il ponte che collegava tutti.

Un uomo santo

Padre Frans era arrivato a Homs da Damasco. Prima aveva vissuto anche ad Aleppo. È stato fondamentale per la costruzione del centro Al Ard, con una scuola e una casa per ospitare 45 persone disabili e affette dalla sindrome di Down.

Al Ard riuniva persone di varie religioni che avevano perso la propria casa. I giovani accorrevano per aiutare a produrre il vino. I disabili aiutavano e con orgoglio portavano frutta e verdura in cucina.

“Avevo 9 anni quando abbiamo iniziato ad andarci con regolarità”, ha raccontato Lilian. “Le persone cucinavano insieme. C’era un senso di comunità straordinario”.

“Non era solo il progetto di padre Frans. Era psicoterapeuta di formazione, e ci insegnava sempre qualcosa, soprattutto durante le gite in montagna. A 70 anni organizzava regolarmente escursioni e campeggi estivi che duravano da 3 a 10 giorni. Chi l’ha conosciuto dice che ce l’aveva nel sangue”.

“Cristiani, musulmani e non credenti camminavano insieme. Non contava se eri uomo o donna, povero o ricco. Partecipavano persone con idee politiche diverse. Era un momento per parlare e stringere rapporti”.

“Sapeva che condividere lo sforzo di una dura salita in montagna e la necessità di confidare gli uni negli altri durante la camminata faceva sì che le persone iniziassero a guardarsi come fratelli. Guidava tutto il gruppo. Venivano con noi anche stranieri provenienti dall’Europa, dalla Francia ad esempio. Ha sempre creduto che le persone potessero vivere insieme, nonostante le posizioni diverse. Ci ricordava anche costantemente che siamo tutti fratelli e che ci dobbiamo amare a vicenda”.

“È stato senz’altro un uomo santo! Molti lo pensavano. Dentro di lui c’era la pura bontà. La gente sentiva che era come Gesù. Tutti potevano andare a parlare con lui. Non creava alcuna distanza”.

“Quando parlavo con lui, sentivo di essere unica ai suoi occhi, anche se assolutamente tutti coloro che hanno parlato con lui hanno avuto la stessa sensazione”.

“Alcuni musulmani lo chiamavano sempre ‘santo’”.

“Padre Frans è la mia ispirazione”

“Nel primo anniversario della morte di padre Frans, un suo confratello e mio amico ha detto durante la Messa di essere certo che padre Frans abbia perdonato immediatamente il suo assassino. Ha aggiunto che se solo quell’uomo si fosse preoccupato di guardare gli occhi di Frans, pieni di bontà e di pace, non gli avrebbe sparato”, ha proseguito Lilian.

Un mese dopo la morte di padre Frans la città è stata liberata.

“Dopo essere tornata nella mia città natale sono corsa immediatamente in chiesa. Padre Frans non era più lì. Sono andata sulla sua tomba. È stato un momento molto toccante. Non sapevo se dovevo essere furiosa con il suo assassino o grata per il fatto di essere sopravvissuta e di essere tornata a casa”.

“Mentre vivevamo fuori da Homs, per tre anni, sognavo di riunirmi con padre Frans. Aspettavamo un altro suo video, una lettera, qualsiasi cosa. Il giorno prima della sua morte, verso le 23.00, qualcuno ha scritto su un social media: ‘Ho appena chiamato padre Frans, sta bene. Se volete chiamarlo, ecco il suo numero di telefono attuale’. Ricordo di aver chiesto a un’amica: ‘E se lo chiamassimo?’”.

“Ma non lo abbiamo fatto. La mia amica ha detto che probabilmente a quell’ora stava dormendo. Volevamo chiamarlo il giorno dopo. La mattina dopo ci è arrivata la notizia che padre Frans era stato assassinato”.

“Mi dispiace di non avergli telefonato quella sera… Spesso vado a sedermi accanto alla sua tomba. Lì trovo subito la pace. Vengono anche persone di altri Paesi”.

“Padre Frans è la mia ispirazione. Mi ha insegnato ad essere cristiana. È stato assassinato perché era un uomo d’amore che credeva che i cristiani e i musulmani potessero vivere insieme in pace. Era come Gesù, un maestro. So che dovrei vivere come lui”.

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