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La storicità di San Giovanni Battista e del battesimo di Gesù

ST JOHN THE BAPTIST
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Unione Cristiani Cattolici Razionali - pubblicato il 26/06/18
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Un lungo dossier preparato dall’Unione Cristiani Cattolici RazionaliGiovanni Battista è realmente esistito? Era un esseno? Gesù era suo cugino? Un suo seguace? E’ vero che gli ha “preparato la strada”, come la Chiesa usa dire? E’ storicamente avvenuto il battesimo di Gesù? A queste e altre domande risponderemo in questo dossier, avvalendoci dei contributi di importanti studiosi, tra cui John Paul Meier, docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Notre Dame, nella cui monumentale opera Un ebreo marginale, ha dedicato 438 pagine ad analizzare minuziosamente la letteratura scientifica finora pubblicata sulla storicità di tutto ciò che riguarda la figura di Giovanni Battista.

«Cari fratelli e sorelle, perché ci siamo soffermati a lungo su questa scena? Perché è decisiva! Non è un aneddoto. E’ un fatto storico decisivo!». Così durante l’Angelus del 15/01/2017, Papa Francesco ha parlato dell’incontro tra il Battista e Gesù. Effettivamente, San Giovanni Battista è un personaggio molto importante nel cristianesimo, venerato da tutte le Chiese e una delle personalità più importanti dei Vangeli: l’unico che esercitò un grande e singolare influsso sul ministero di Gesù Cristo, tanto da farsi battezzare da lui presso il fiume Giordano e proseguire, Gesù stesso, tale prassi battesimale. Gesù potrebbe anche essere restato per un certo tempo tra i discepoli intimi del Battista, fino a quando decise di intraprendere un ministero proprio.

Per queste ragioni abbiamo pubblicato tale dossier, concordando con il fatto che «non comprendere il Battista significa non comprendere Gesù, una massima confermata negli studi di recenti studiosi» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 17).

ESISTENZA STORICA DI GIOVANNI BATTISTA

Entriamo subito nel cuore del nostro approfondimento: il Battista fu un personaggio storicamente esistito? Oltre ad essere citato in tutti e quattro i vangeli e dagli Atti degli Apostoli -soddisfacendo così il criterio storico della molteplice attestazione-, di Giovanni Battista ne parla anche Flavio Giuseppe nel suo Antichità giudaiche ed il resoconto che lo riguarda è presente in tutti i manoscritti principali dell’opera dello storico ebreo. Il ritratto del Battista da parte di Flavio Giuseppe è privo di ogni proclamazione escatologica e messianica e risulta essere totalmente indipendente dai quattro vangeli.

«In questi giorni», scrive Flavio Giuseppe in uno dei suoi riferimenti al Battista, «un uomo vagava tra i giudei vestito con abiti insoliti, poiché portava avvolte in pelli tutte le parti del corpo non ricoperte dai suoi capelli. Inoltre, a giudicare dal suo aspetto, egli sembrava proprio un selvaggio. Quest’uomo si recò dai giudei e li invitò alla libertà, dicendo: “Dio mi ha inviato per insegnarvi la via della legge, mediante la quale vi potrete liberare dal grande sforzo di provvedere a voi stessi. Nessun mortale regnerà su di voi, soltanto l’Altissimo che mi ha inviato”. All’udire questo, la gente si rallegrò; e tutta la Giudea, la regione che attornia Gerusalemme, lo seguì. Egli non fece altro che immergerli nella corrente in piena del Giordano per poi lasciarli andare, facendo loro notare che dovevano smettere di compiere opere inique e promettendo che avrebbero ricevuto un re, che li avrebbe liberati e avrebbero conquistato tutti i popoli, che non erano ancora loro sudditi, mentre nessuno di coloro dei quali stiamo parlando sarebbe stato vinto. Alcuni lo ingiuriarono, ma altri, persuasi, gli credettero. In seguito fu condotto da Archelao, presso il quale si erano riuniti uomini esperti nella legge, costoro gli chiesero chi era e dove era stato per tutto questo tempo. A questa domanda, egli rispose così: “Io sono puro, perché lo spirito di Dio è penetrato in me, e nutro con il mio corpo con canne, radici e trucioli”. Allora, colto da collera, insorse Simone, uno scriba di discendenza essena, che esclamò: “Noi leggiamo ogni giorno i libri divini. Ma tu, che sei appena uscito dai boschi come una bestia selvatica, come osi insegnare a noi e sedurre il popolo con i tuoi sermoni scandalosi?”. E si slanciò in avanti con l’intenzione di fargli del male. Ma, egli, rimproverandoli, disse: “Io non vi rivelerò il segreto che si cela dentro i vostri cuori, perché voi non lo avete voluto. Perciò una sventura inenarrabile si abbatterà su di voi e sui vostri disegni”. E dopo aver parlato così, si trasferì nell’altra parte del Giordano e, poiché nessuno osava rimproverarlo, faceva esattamente ciò che aveva fatto prima» (Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche, 18,5,2 & 116-119)

Come ha notato J.P. Meier, tra gli studiosi non ci sono molti dubbi sull’autenticità del brano«il racconto che Flavio Giuseppe offre del Battista è letteralmente e teologicamente senza legami con il racconto su Gesù, che ricorre precedentemente nel libro 18, e non contiene, pertanto, nessun riferimento al Battista. Il brano riguardante il Battista, che è due volte più lungo del brano su Gesù, è anche più encomiastico. Esso diverge dai quattro vangeli (senza però contraddirli formalmente), sia nella presentazione del ministero di Giovanni come in quella della sua morte. Di conseguenza, è arduo immaginare che un copista cristiano abbia potuto interpolare due passi su Gesù e il Battista nel libro 18 delle “Antichità”, presentando la comparsa di quest’ultimo sulla scena dopo la morte di Gesù, senza nessun legame con lui e consacrandogli una trattazione più estesa e più encomiastica rispetto a Gesù. Non desta sorpresa, perciò, che siano pochi i critici contemporanei a mettere in dubbio l’autenticità del passo sul Battista» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 34).

Se la storicità del Battista è ampiamente sostenuta dal criterio della molteplice attestazione (essendo presente nelle testimonianze, indipendenti le une dalle altre, di Flavio Giuseppe, di Marco, della fonte comune di Matteo e Luca -chiamata Q- e di Giovanni), è doveroso citare anche il criterio storico dell’imbarazzo, poiché Giovanni Battista è per molte ragioni un elemento imbarazzante per gli evangelisti. Quello del Battista, infatti, è un ministero autonomo ed indipendente da Gesù, che aveva riscosso rispetto e popolarità tanto che si creò un gruppo religioso indipendente dal cristianesimo, i settari battisti, che, addirittura, entrò in polemica con i primi cristiani. Oltretutto, lo stesso Gesù decise di sottomettersi al Battista tramite il battesimo per il perdono dei peccati. Dunque, per i primi cristiani la figura del Battista costituiva una pietra d’inciampo: «E’ illogico che gli evangelisti (e le loro fonti prima di loro) si siano presi l’onere e la briga di creare un problema colossale per le loro teologie, inventando di sana pianta il personaggio di Giovanni il Battista. In breve, tanto i vangeli quanto Flavio Giuseppe possono essere assunti come testimoni della storicità dell’esistenza e del ministero del Battista» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 17-19).

Mettendo quindi assieme le informazioni offerte dalle varie fonti indipendenti (quattro vangeli, le loro fonti pre-cristiane e Flavio Giuseppe), possiamo dare per storicamente certo che: attorno al 28 d.C. in Palestina comparve un asceta ebreo di nome Giovanni, soprannominato il Battista a motivo dell’insolito rito di battezzare altri giudei -basandosi sulla sua autorità- come segno della loro conversione dalle iniquità del passato e della decisione di vivere una vita nuova, moralmente pura. Attirò grandi folle ma anche l’attenzione di Erode Antipa, tetrarca della Galilea, che decise di arrestarlo e giustiziarlo. L’esecuzione ebbe luogo nell’anno 30 d.C., oppure nel 33 d.C. (almeno secondo i vangeli, dove Giovanni muore prima di Gesù). “Alcuni giudei” (per Flavio Giuseppe) e “i discepoli del Battista” (secondo i Vangeli) continuarono a riunirsi nel nome di Giovanni anche dopo la sua morte, e gli Atti degli Apostoli citano una progressiva rivalità tra i discepoli cristiani e quelli del Battista.

Per quanto riguarda il racconto dell’infanzia del Battista, così come lo è quello di Gesù, la questione è molto complicata e, per diversi motivi, non c’è una robusta base storica. A parte un dettaglio, riportato dall’evangelista Luca: Giovanni era figlio di un sacerdote che prestava servizio nel tempio di Gerusalemme. Joseph Ernst, professore di Nuovo Testamento all’Università di Paderborn, ha convinto molti suoi colleghi (con lo studio Johannes der Täufer, pp. 269-272) dell’attendibilità storica sull’ambiente familiare del Battista in quanto il figlio unico di un sacerdote di Gerusalemme aveva l’obbligo solenne di subentrare al padre nella sua funzione e garantire, mediante matrimonio e figli, la continuità della stirpe sacerdotale. Appare dunque plausibile che Giovanni Battista, ad un certo punto, possa aver rifiutato tale vocazione e gli obblighi familiari e sacerdotali, inoltrandosi nel deserto sentendosi chiamato ad operare come profeta del giudizio. Un gesto radicale e carismatico in linea con l’azione ed il suo messaggio, almeno come vengono presentati nelle tradizioni di Marco e della fonte Q, la cui convergenza con la ipotetica rottura familiare non viene però mai sottolineata dagli evangelisti.

Analizzando invece il dato storico della prigionia e dell’uccisione del Battista, le fonti si differenziano (senza però contraddirsi, a parte sul luogo preciso della morte) sulla causa ma hanno in comune un nucleo storico. L’evangelista Marco individua la causa dell’arresto di Giovanni Battista nei suoi rimproveri verso il matrimonio irregolare di Erode Antipa -dopo il ripudio della sua prima moglie- con Erodiade, precedentemente sposata con uno dei fratelli dello stesso Antipa (Mc 6,17-29, ripresa da Mt 14,3-12), mentre nel resoconto di Flavio Giuseppe tale connessione è indiretta ed egli indica i timori politici di Antipa, preoccupato che l’influenza di Giovanni sulle masse giudaiche potesse portare ad un’insurrezione. Storicamente è possibile ammettere un’armonizzazione di cause. Ciò che rimane storicamente affidabile è che il profeta ascetico ed escatologico che ebbe un influsso importante su Gesù, andò incontro a morte violenta per mano del sovrano ebreo della Galilea, proprio nel luogo dove Gesù stava esercitando gran parte del suo ministero.

QUANDO INIZIA IL SUO MINISTERO?

Il riferimento che si può utilizzare per datare l’inizio del ministero del Battista è il Vangelo di Luca, che indica in modo preciso il quindicesimo anno di Tiberio (Lc 3,1-6), quindi un qualunque anno tra il 26 e il 29 d.C. Questo perché tutti i principali storici romani -Tacito, Svetonio e Dione Cassio- iniziano a contare gli anni del governo di Tiberio dal 14 d.C., anno della morte di Augusto. Quale calendario utilizzò Luca? Quello giuliano, quello lunare giudaico, quello siromacedone o quello egiziano? Tenendo conto che l’evangelista scrive per un uditorio colto greco-romano, impersonato “dall’illustre Teofilo” (Lc 1,3 e At 1,1), «sembra improbabile che abbia utilizzato un calendario giudaico o egiziano» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, volume 1, Queriniana 2006, p. 376).

Sia che abbia utilizzato il calendario giuliano o quello siromacedone, il quindicesimo anno di Tiberio cade al 28 d.C. Per questo gli studiosi che se ne sono occupati (in particolare U. Holzmeister in Chronologia vitae Christi, 1933; G. Ogg, Chronology of the New Testament, 1940; J. Blinzler, Der Prozess Jesu, 1960; mentre H.W. Hoehner in Chronological Aspects of the Life of Christ, 1977, approva il 29 d.C.) considerano questa data in modo convenzionale come l’inizio del ministero del Battista, anche se non vi è certezza definitiva (l’errore sarebbe, in ogni caso, piccolo poiché le altre possibilità sono il 27 o il 29 d.C.). Dunque il 28 d.C. inizia il ministero di Giovanni Battista.

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ERA CUGINO DI GESU’?

Per rispondere a tale questione occorre prendere in considerazione i racconti dell’infanzia di Gesù che, per problematiche impossibili da affrontare in questo contesto, non possono essere pienamente accettati come storicamente affidabili. L’evangelista Luca (Lc 1,36) accenna ad una parentela tra Maria, madre di Gesù, ed Elisabetta, madre di Giovanni Battista utilizzando un termine molto vago: synghenìs.

Il fatto che siano cugini, ha scritto J.P. Meier, «è una conclusione logica del racconto lucano che Luca stesso non trae mai» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, volume 1, Queriniana 2006, p. 211). Nessun altro evangelista accenna mai alla parentela e in alcun passo del Nuovo Testamento si sostiene che l’uno fosse cugino dell’altro.

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GIOVANNI BATTISTA AVEVA LEGAMI CON GLI ESSENI DI QUMRAN?

Come giustamente ha osservato James H. Charlesworth, professore di New Testament Language al Princeton Theological Seminary -assieme a diversi altri studiosi- è plausibile sostenere che Giovanni Battista abbia avuto contatti con la comunità essena di Qumran basandosi sulla comunanza della vita ascetica, il rifiuto di stili di vita ordinari e della forma di sacerdozio e culto del tempio dell’epoca, operavano nel deserto di Giuda, presentivano come imminente l’arrivo definitivo di Dio nella storia, ravvisavano in Is 40,3 una profezia della loro opera come preparatrice di tale evento, predicevano la salvezza o la perdizione degli israeliti a seconda della risposta all’avvertimento da loro proclamato e praticavano riti di purificazione interiore.

Tuttavia, scrive Charlesworth, «ci sono anche importanti differenze che collidono con l’assunzione che il Battista fosse un membro attivo della comunità di Qumran. Giovanni esortava Israele a pentirsi e aveva un progetto missionario mentre la comunità di Qumran era più interiormente concentrata alla predestinazione di essere i “Figli della Luce”. Essi svilupparono termini unici per descrivere la loro fede che gli autori del Nuovo Testamento mai attribuiscono a Giovanni. I “bagni rituali” che praticavano erano differenti dal battesimo nel fiume di Giovanni. Per tali ragioni molti studiosi concludono che Giovani Battista potrebbe aver vissuto a Qumran ma che lasciò la comunità per una varietà di possibili motivazioni, tra le quali guidare i suoi propri discepoli e “preparare la strada al Messia”». Anche il biblista J.P. Meier concorda, sottolineando che «Giovanni non pratica le frequenti lustrazioni dei membri di Qumran, ma un battesimo irripetibile che amministra personalmente. La sua stessa persona è intimamente identificata con quest’unico genere di lavacro rituale al punto che solo lui, tra i molti giudei del suo tempo che praticavano riti di purificazione, viene denominato “il Battista”». Ancor più eloquente è il fatto che «mentre Qumran è celebre per la sua interpretazione ed osservanza oltremodo rigorosa della legge mosaica, sino al punto di considerare lassisti perfino i farisei, i detti e le azioni di Giovanni conservati nei vangeli e in Flavio Giuseppe non lasciano trasparire la benché minima preoccupazione per minuziose questioni legali» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 45,46).

C’è chi teorizza una rottura traumatica tra Giovanni Battista e i membri di Qumran, ma non vi sono fonti affidabili per farlo e si rischia di cadere nel romanzesco. Oltretutto, Flavio Giuseppe narra anche di Banno, un altro eremita che viveva nel deserto in modo simile a Giovanni Battista e la comunità di Qumran e «Flavio Giuseppe non sembra sospettare nessun rapporto tra Banno, il Battista e gli esseni (e parla di tutti e tre)» (J. Thomas, Le Mouvement baptiste a Palestine et Syrie , Gembloux 1935, pp. 435, 436). Esiste quindi un movimento giudaico di ebrei marginali, penitenti e battezzatori nella regione del Giordano nel I secolo a.C.- I secolo d.C. per cui, «anche se non è impossibile che Giovanni fosse “educato” a Qumran, questa ipotesi ha forse una veduta troppo ristretta di un fenomeno religioso molto più ampio, di cui Giovanni, Banno e Qumran erano singoli esempi» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol.2, Queriniana 2003, p. 48).

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GESU’ FU UN DISCEPOLO DEL BATTISTA, NE VENNE INFLUENZATO?

Gli studiosi sono divisi sul fatto se Gesù, dopo il battesimo, sia rimasto nel circolo dei discepoli del Battista e se diventò un suo discepolo nel senso più stretto, cioè osservando la sua spiritualità ascetica, il celibato ed il digiuno. Ad esempio, Jurgen Becker e P. W. Hollenbach sostengono vigorosamente la tesi che Gesù fu uno stretto discepolo del Battista, Joachim Gnilka respinge la questione, mentre Joseph Ernst e J.P. Meier pongono delle riserve piuttosto equilibrate. Quest’ultimo, in particolare, osserva l’ironia che «l’unica prova, comunque indiretta» di tutto ciò, «proviene dal fin troppo diffamato quarto vangelo», quello di Giovanni, «che solitamente viene accantonato come inaffidabile per la ricostruzione del Gesù storico. In quest’unico caso, parecchi studiosi sono spinti a dire, almeno “sotto voce”, che il quarto vangelo ha ragione» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 158).

A sostegno del discepolato di Gesù nei confronti del Battista si chiama solitamente in causa il criterio storico dell’imbarazzo. Occorre infatti ricordare -come già è stato fatto- che i primi cristiani, tra cui l’evangelista Giovanni, ebbero come “avversari” i settari battisti, cioè coloro che per tutto il I secolo d.C. continuarono a venerare il Battista, anziché Gesù, come fosse il messia. Si nota, infatti, un tentativo da parte dell’evangelista Giovanni di “sgonfiare” l’importanza del Battista, subordinandolo a Gesù: l’atto più eclatante (lo vedremo più sotto) è non parlare del battesimo che Gesù si fece amministrare da Giovanni. Tuttavia, l’evangelista fa apparire Gesù proprio laddove il Battista sta predicando e, dunque, indirettamente lo indica come suo discepolo. Assieme a Gesù sono presenti Andrea, Filippo (e probabilmente anche Pietro e Natanaele). Tiriamo le somme: nel vangelo di Giovanni, “nemico” dei seguaci del Battista, Gesù stesso ed alcuni dei più importanti suoi discepoli diedero adesione al Battista e, poi, a Gesù. Anche presentare un Gesù che comincia a battezzare lui stesso, secondo una modalità molto simile a quella del Battista, apre al rischio di una strumentalizzazione da parte della setta dei Battisti (Gesù come imitatore o controfigura del Battista). Per questo, «il motivo principale per cui il ritratto di Gesù battezzatore viene incluso nel quarto vangelo può essere il fatto che era così profondamente radicato nella tradizione giovannea e così ampiamente noto agli adepti come agli avversari, che non era possibile eliminarlo» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 167).

E’ più storicamente plausibile sostenere che Gesù rimase con Giovanni per qualche tempo come discepolo, per poi allontanarsi assieme ad altri discepoli ed avviare un magistero proprio mantenendo il rito del battesimo, piuttosto che tutto ciò sia stato inventato dal quarto evangelista, in modo controproducente, o dalla tradizione a lui anteriore.

GESU’ COPIO’ GIOVANNI BATTISTA?

Esistono molte somiglianze tra il ministero di Gesù e quello del Battista, tali da indurre qualche studioso a sostenere che Gesù di Nazareth, di fatto, copiò l’insegnamento del suo ex-maestro e, per qualche ragione, ebbe soltanto più fortuna e popolarità.

Certamente non si può negare che all’inizio del suo ministero, Gesù proclama un messaggio escatologico che concerne la fine della storia così come Israele l’aveva conosciuta sino ad allora; invoca un cambiamento radicale di cuore e di vita, prospetta conseguenze temibili a chi non accoglie il messaggio, raduna attorno a sé dei discepoli con cui condivide la vita e li battezza con acqua, rivolge il suo ministero a Israele ma non ai pagani, è un ministero itinerante nel quale è incluso il celibato. Tutto ciò rispecchia la vita, la predicazione e la prassi di Giovanni Battista.

Tuttavia, immediatamente o qualche tempo dopo, Gesù introdusse notevoli ed inediti mutamenti nella sua predicazione e prassi. Il biblista Meier ne fa un elenco: «Invece di esortare il popolo ad accorrere nel deserto per incontrarlo, è Gesù che prende l’iniziativa, girando la Galilea e la Giudea e trascorrendo del tempo sia in villaggi come Cafarnao sia in Gerusalemme. Il suo messaggio si trasforma in un annuncio molto più gioioso di offerta e di esperienza della salvezza nel presente, anche se non tralascia affatto di ricordare il compimento futuro, insieme ad una possibile futura rovina. Dietro di sé lascia abbondanti guarigioni, esorcismi e notizie di altri miracoli. La sua consapevole apertura ai “peccatori” suscita sconcerto e le sue idee su aspetti della legge mosaica scritta, delle tradizioni orali e del tempio di Gerusalemme lo coinvolgono in controversie e conflitti con vari gruppi influenti all’interno del giudaismo palestinese». Perciò, «vi fu un determinato discostarsi da alcune delle idee e pratiche di Giovanni, un indubbio commiato spirituale, ma l’idea di una rottura ostile e totale evocata da parole come defezione o apostasia manca di solide basi» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 170).

Un’altra grande novità introdotta da Gesù è la buona notizia della signoria regale di Dio, già potentemente all’operanelle sue guarigioni e negli esorcismi che compie, così come nella sua accoglienza e nella sua amichevole condivisione della mensa estesa a peccatori e a esattori delle tasse. «Non v’è nessun indizio che Giovanni si prendesse la briga di ricercare questi ebrei marginali […], erano i giudei peccatori e pertanto marginali a recarsi dall’asceta e altrettanto marginale Giovanni, e non viceversa»mentre «Gesù cercava deliberatamente di raggiungere tutto Israele, sopratutto quei gruppi marginali come gli esattori delle tasse, prostitute e peccatori in generale» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 259). Inoltre, né Flavio Giuseppe, né le varie fonti sinottiche e neppure il quarto vangelo registrano qualche tradizione su un Giovanni taumaturgo che opera miracoli. Al contrario, una delle prime qualifiche con cui Flavio Giuseppe presenta Gesù è paradoxon ergon poietes (“operatore di fatti sorprendenti”): lo storico ebreo utilizza tale presentazione anche Eliseo, confermando il significato di miracoli operati da un profeta.

Lo stesso Gesù, rispondendo alla domanda di Giovanni Battista: “Sei tu colui che viene?”, «si focalizza su punti precisi per i quali il suo ministero diverge fortemente da quello di Giovanni e addirittura lo trascende» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 187). Ecco cosa afferma: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me» (Mt 11,2-6). Tale risposta (contenuta nella fonte precristiana Q) rivela una certa sicurezza da parte di Gesù, tanto che «osa insinuare che il suo nuovo modo di predicare ed agire interpella non soltanto Israele in generale, non soltanto i discepoli di Giovanni in particolare, ma addirittura lo stesso Giovanni. Se Gesù non è un apostata rispetto alla fede di Giovanni, non è neppure un semplice discepolo o successore di Giovanni, che porta fedelmente a termine il programma del maestro […]. La tradizione più primitiva di Q», prosegue il prof. Meier, «presenta un Gesù che vede se stesso come apportatore di una situazione escatologica qualitativamente differente da quella proclamata o realizzata dal Battista» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 194, 229).

Il cambiamento radicale introdotto da Gesù, si potrebbe infine osservare, è che i suoi miracoli, la sua proclamazione della buona notizia ai poveri, la sua amicizia verso persone religiosamente emarginate «attestano e in una certa misura attuano l’avvento definitivo di Dio in potenza per salvare il suo popolo Israele: in altre parole, il regno di Dio. E’ questo nuovo stato di cose che Gesù chiede a Giovanni di accettare nella beatitudine espressa in Mt 11,6» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 230). Il cuore del messaggio di Gesù è il Regno di Dio –totalmente assente in Giovanni Battista- che entra nella storia per giudicare e salvare e lo fa -sempre secondo l’inedito annuncio di Gesù- mediante il ministero stesso di Gesù. Si potrebbe dire che con Gesù di Nazareth compare una pretesa divina fino all’ora sconosciuta. «Vi fu un mutamento nel messaggio fondamentale. Partendo dall’ardente accentuazione del Battista sul pentimento di fronte alla rovina imminente, Gesù, pur non abbandonando completamente l’esortazione e l’escatologia di Giovanni, spostò l’accento sulla gioia della salvezza che i pentiti potevano sperimentare proprio nel momento in cui accoglievano la proclamazione che Gesù faceva del regno di Dio in qualche modo già presente, ma tuttavia futuro»(J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 260).

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IL BATTESIMO DI GESU’ E’ STORICAMENTE AVVENUTO?

Solitamente ogni ricostruzione della vita del Gesù storico inizia dal suo battesimo poiché gli studiosi non reputano facilmente dimostrabili i racconti dell’infanzia. L’unica fonte indipendente a tramandarci il racconto del battesimo di Gesù per mano di Giovanni Battista, tuttavia, è solo il vangelo di Marco (Matteo e Luca dipendono, in questo caso, da Marco), nel quale trova spazio anche una forte teofania (l’aprirsi dei cieli, la colomba che discende, la voce di Dio ecc.) che complica non poco il lavoro dello storico rigoroso. Il criterio della molteplice attestazione, quindi, non è apparentemente applicabile, poiché nemmeno Flavio Giuseppe menziona alcun contatto tra Giovanni e Gesù.

Tuttavia, esistono vari argomenti a favore della storicità di questo episodio. Ancora una volta è importante il criterio storico dell’imbarazzo: per quale motivo la comunità cristiana primitiva avrebbe dovuto inventarsi un racconto che poteva crearle soltanto enormi difficoltà? Infatti, Gesù appare in una situazione di inferiorità rispetto al Battista. J.P. Meier va al sodo: «l’idea che Gesù, considerato dai primi cristiani senza peccato e fonte del perdono dei peccati per l’umanità, potesse essere associato con dei peccatori sottoponendosi ad un battesimo di conversione per il perdono dei peccati è difficilmente una invenzione della chiesa, a meno che la chiesa si divertisse a moltiplicare le difficoltà per se stessa»(J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 126). L’”imbarazzo” più appariscente è quello dell’evangelista Giovanni, che elimina completamente il  racconto del battesimo di Gesù dal suo vangelo.

Ma il quarto vangelo può comunque essere utile per usufruire anche del criterio storico della molteplice attestazione. Citando ancora una volta il biblista americano Meier, egli è convinto infatti che «vi sono buoni motivi di ritenere che il quarto vangelo abbia intenzionalmente soppresso un avvenimento che esisteva nella tradizione del suo vangelo, un avvenimento che però poteva essere strumentalizzato da un gruppo rivale, dalla setta dei battisti della sua epoca» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 131). Tali motivi sono delle tracce rivelatrici nella Prima lettera di Giovanni, scritta da un cristiano del circolo giovanneo in una data poco più tardiva del quarto vangelo. L’autore polemizza con un gruppo di gnosticizzanti che si è separato dalla comunità giovannea e, ad un certo punto, dopo aver affermato l’identità del Gesù umano e terreno con il Figlio di Dio inviato dal Padre, scrive: «Questi è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con acqua soltanto, ma con l’acqua e il sangue» (1 Gv 5,6). L’espressione è piuttosto criptica e probabilmente «non si riferisce al sangue e all’acqua fluiti dal costato di Gesù dopo la sua morte in croce. La sequenza delle parole è diversa (nel vangelo “sangue e acqua”, nella lettera “acqua e sangue”) […]. A mio parere, 1 Gv 5,6 sottolinea la dimensione pienamente umana di Gesù nel corso del suo ministero terreno, dando rilievo (in stile genuinamente semitico) ai due poli estremi del suo ministero, che sono anche gli esempi estremi della piena umanità di Gesù: il suo battesimo ad opera di Giovanni nella solidarietà con gli esseri umani peccatori, nonché il suo sangue nella morte cruenta sulla croce. […] Tutto questo presuppone ciò che il quarto vangelo ha soppresso e ciò cui la prima lettera allude solo con cautela: il fatto che Gesù fu battezzato» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 133,134).

Se la convincente congettura di J.P. Meier è corretta, vi sono quindi alcune basi per asserire la storicità del battesimo di Gesù anche grazie all’attestazione di più tradizioni neotestamentarie: la tradizione giovannea (ma, in realtà, anche la fonte Q, seppur l’argomento sia molto lungo e complesso) allude indipendentemente a ciò che è narrato direttamente dalla tradizione di Marco. Se tutto questo è sommato agli argomenti che soddisfano il criterio dell’imbarazzo e al fatto che non vi sono argomenti decisivi contrari alla storicità di tale evento, possiamo tranquillamente «assumere il battesimo di Gesù per mano di Giovanni come il solido punto di partenza per qualsiasi studio del ministero pubblico di Gesù» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, pp. 136).

La posizione di Meier è sostenuta perfino da Rudolf Bultmann (cfr. Jesus and the Word, Scribner 1980, pp. 110-111) e da parecchi postbultmanniani, come Ernst Kasemann«il battesimo di Gesù da parte di Giovanni appartiene agli accadimenti fondamentali della vita del Gesù storico» (E. Kasemann, On the Subject of Primitive Christian Apocalyptic, SCM 1969, pp. 108-137). Anche il bultmanniano professore di Nuovo Testamento all’Università di Heidelberg, Gunther Bornkamm, è arrivato a scrivere: «Il suo [di Gesù, nda] battesimo per mano di Giovanni è uno degli avvenimenti più sicuramente verificati della sua vita» (G. Bornkamm, Jesus of Nazareth, Harper&Row 1960, p. 54), seguito dal grande scettico Herbert Braun, dell’Università Johannes Gutenberg di Mainz: «Di sicuro Gesù fu battezzato da Giovanni Battista, questo è molto probabilmente storico» (H. Braun, Jesus of Nazareth. The man and His Time, Fortress 1979, p. 55).

GIOVANNI BATTISTA “PREPARO’ LA STRADA A GESU”?

Solitamente la figura di Giovanni Battista viene descritta come un profeta escatologico che riconobbe in Gesù il Messia che stava annunciando, verso il quale sentì il compito di preparare la strada. Analizzando storicamente il Nuovo Testamento, tuttavia, le cose non sono così lapalissiane.

Sarebbe errato operare una rassegna dei ritratti del Battista contenuti nei quattro vangeli, dove emergono anche ampi tratti redazionali, piuttosto vorremmo raccogliere una tradizione storica attendibile su di lui ricavata dai vangeli. Per questo, è doveroso concentrarci sul documento Q, ovvero la tradizione comune tra Matteo e Luca, che è -sopratutto sul Battista- «il materiale chiaramente più attendibile e caratteristico» (J. Becker, Johannes der Täufer und Jesus von Nazareth, Neukirchen-Vluyn 1972, p. 16). Tralasciando, almeno in questa sede, la presentazione operata del quarto vangelo, impossibile da verificare storicamente. «Il criterio di discontinuità, così come a volte, la conferma da parte di Marco, Giovanni e Flavio Giuseppe, rendono abbastanza attendibile il nucleo della tradizione Q sul Battista» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 50).

L’annuncio di Giovanni Battista (si veda Mt 3,7-10) è privo di qualunque caratteristica specificatamente cristiana, privo di riferimenti a Gesù o di un mediatore umano nel giudizio finale di Dio. Tuttavia, nella successiva pericope di Mt 3,11-12 (presente nella fonte Q, in quanto condivisa da Lc 3,16-18), «si affaccia la possibilità di qualche mediatore ulteriore di salvezza oltre a Giovanni» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 62). Il Battista, infatti, introduce improvvisamente l’affermazione: «Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma viene dopo di me uno che è più forte di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile».

A chi si sta riferendo Giovanni? Alcuni esegesi, data l’assenza di ulteriori delucidazioni, hanno concluso che “il più forte” non può essere altro che Dio, già descritto in Q con l’immagine del rude contadino che taglia l’albero cattivo e lo scaglia nel fuoco. Tale interpretazione, tuttavia, ha diversi punti deboli. Giovanni si riferisce a qualcuno che è “più forte di me”, un’ovvietà se si riferisse a Dio. Chi penserebbe diversamente? Alludere in questo modo a Dio, dopo averlo citato direttamente pochi versetti prima, è piuttosto illogico. Ancor di più con la metafora di non poter “portargli i sandali” (o sciogliere i lacci dei sandali, secondo altre traduzioni). «Si tratta di una maniera incredibilmente contorta di proclamare una verità talmente lapalissiana come quella che Dio è superiore a Giovanni» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 67). Altri studiosi suggeriscono che il riferimento è ad Elia, al Figlio dell’Uomo apocalittico, ad un’altra figura messianica, a figure celesti come il sacerdote Melchisedek. Ma, nessuno è mai riuscito a portare argomenti totalmente convincenti.

La soluzione più logica è che l’indeterminatezza espressa da Giovanni potesse essere intenzionale, poiché nemmeno lui aveva una chiara idea di chi fosse l’emissario da parte di Dio che avrebbe portato a termine il dramma escatologico. E’ anche probabile che Giovanni non smise mai di considerarsi non sufficientemente potente per adempiere il compito escatologico che Dio aveva iniziato per mezzo suo. Il vangelo di Marco non offre alcun indizio sul fatto che Giovanni riconobbe in Gesù “colui che viene”, il documento Q, invece, lascia intuire che Giovanni ha, in realtà, interrogativi sulla persona di Gesù e sul suo ministero (Mt 11,2-3 // Lc 7, 18-19). Ma non possiamo dire di più, se non che l’autenticità storica di tale passo è sicura: tra i principali argomenti la rara sovrapposizione di Marco/Q/Atti/Giovanni, cioè per molteplice attestazione è riportata nella fonte Q (Matteo+Luca); Mc 1,7-8; At 13,25 e Gv 1,26-27. In secondo luogo, l’indeterminatezza della profezia di Giovanni depone contro un’ipotetica invenzione posteriore del cristianesimo primitivo.

Maggior chiarezza arriva quando Giovanni invia i suoi discepoli da Gesù ad interrogarlo (Mt 11,2-6): «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?». L’esatta formulazione è ho erchòmenos, cioè colui il cui avvento era stato profetizzato. La frase ricorda fortemente la sua stessa profezia (“viene dopo di me uno che è più forte di me”). Il Giovanni apocalittico, che profetizzava un imminente terribile giudizio, sembra così -come già detto- porsi un dubbio sul dover ripensare la sua visione sull’imminente epilogo della storia di Israele. Anche questo passaggio vanta una certezza storica, uno dei motivi formulati dagli studiosi (utili gli approfondimenti di Werner Kümmel, Promise and Fulfilment & Walter Wink, in Jesus’ Reply to John) è che la domanda di Giovanni a Gesù «stona con quanto ci aspetteremmo in un racconto inventato dalla chiesa primitiva per esaltare Gesù come la figura escatologica definitiva o per convertire i settari battisti, persuadendoli che “questo è ciò che Giovanni cercava” (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 187). Infatti, né il giudaismo precristiano né il documento Q utilizzano “colui che viene” come titolo usuale per indicare il messia o qualche altro personaggio escatologico.

Le cose diventano più comprensibili nella “risposta” che Giovanni dà a Gesù, che è anche «uno dei migliori argomenti a favore della fondamentale storicità» di questo dialogo. «Se i primi cristiani inventarono questa pericope come mezzo di propaganda contro la setta dei battisti della loro epoca, allora questi cristiani avevano davvero una strada idea di propaganda» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 191). Infatti, né nella fonte Q, né in altra tradizione del Nuovo Testamento viene riportata una risposta favorevole da parte del Battista all’appello di Gesù di riconoscere in lui la realizzazione del disegno di Dio. Questo “silenzio” di Giovanni soddisfa i criteri storici di imbarazzo e di discontinuità. Lo scettico professore di Nuovo Testamento all’Università di Heidelberg, Martin Dibelius, ha scritto: «Una tale domanda e una tale risposta rivendicano entrambe una credibilità storica, perché la leggenda non avrebbe permesso che il Battista, dipinto come l’araldo di Gesù, formulasse la domanda in un modo così semicredulo, così come non avrebbe permesso che il Salvatore rispondesse in modo così oscuro. Questa incredulità fa sì che, dal punto di vista storico, il racconto acquisti significatività sia per la nostra conoscenza dell’atteggiamento di Gesù rispetto al titolo di messia, sia per la nostra comprensione della visione che il Battista aveva di Gesù» (M. Dibelius, Die urchristliche Überlieferung von Johannes dem Täufer untersucht von, Frlant 1911, p. 37).

Un altro passaggio evangelico interessante è l’affermazione di Gesù: «La legge e i profeti arrivano fino a Giovanni; da allora in poi il regno di Dio è annunziato e ognuno si sforza di entrarvi» (Lc 16,16). In questo passo, Gesù vede «non solo Giovanni Battista, ma anche il tempo della sua apparizione in una transizione; nel medesimo tempo conclude il periodo d’Israele ed inizia o inaugura il periodo di Gesù» (J. Fitzmyer, The Gospel according to Luke, Yale University Press 1970, p. 1115). Numerosi studiosi, tra cui Ernst KasemannJames RobinsonJoachim Gnilka e, sopratutto, Walter Wink, rinomato biblista progressista dell’Auburn Theological Seminary di New York, sono convinti dell’autenticità storica di tale passaggio, grazie al criterio di discontinuità e di coerenza.

Dopo tutte queste osservazioni possiamo confermare che, in qualche modo, è vero: Giovanni “preparò la strada”, annunciò Gesù. Tuttavia, paradossalmente, possiamo concludere questo più per l’auto-consapevolezza espressa da Gesù nel rispondere e nel riferirsi a Giovanni, che viceversa. Per quel che è possibile confermare storicamente (ci riferiamo all’antico testo Q), infatti, il Battista non sciolse i suoi dubbi sulla figura del messia. Come ha scritto David Noel Freedman, celebre professore di Storia e Studi Giudaici all’University of California, «Giovanni è in carcere, di fronte ad una possibile esecuzione capitale. Sorge spontanea la domanda su chi dovrebbe essere il sostituto o il successore di Giovanni. Gesù indica se stesso, lui è disposto ad essere quel successore ma indica anche qualcosa di più. Proclama di essere qualcosa di più di un semplice sostituto o successore di Giovanni, con il suo ministero di proclamazione e miracoli, è iniziata una nuova fase del dramma escatologico» (D.N. Freedman, Lettera a J.P. Meier, in Un ebreo marginale, Vol. 2, Queriniana 2003, p. 472).

 

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