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Fabio Salvatore: la fede è la mia luce nel dolore

FABIO SALVATORE

© Fabio Salvatore/CC

Credere - pubblicato il 25/06/18

Il cancro che lo ha colpito quando aveva 22 anni lui lo chiama «lo scarafaggio» e ne parla con coraggio, senza formalismi. «Ciò che mi dona speranza è la fede. E non me la prendo con Dio: chi gli dà la colpa per le malattie cerca solo un alibi»

di Francesca D’Angelo

Lui, al dolore, dà del tu. Guardandolo dritto negli occhi. Senza troppi formalismi. Se Fabio Salvatore ha riscosso così tanto successo come autore di libri è proprio per questo suo familiare piglio con la sofferenza, scevro di fatalismi e retorica. Nei suoi libri – dal bestseller Cancro non mi fai paura (editore Aliberti, 2008) al più recente Buio e luce(San Paolo, 2018) – Fabio parla della malattia esattamente come si farebbe con un parente poco simpatico, ma del quale si impara ad accettare la presenza. Perché fa parte della famiglia. Perché fa parte della vita. Questo “parente scomodo” accompagna Salvatore da ormai 20 anni, ossia da quando gli è stato diagnosticato un tumore alla tiroide. A questa convivenza si sono poi aggiunti, da lì a poco, la morte prematura del padre in un incidente stradale e, da qualche anno, la fibromialgia, sindrome invalidante che colpisce i muscoli e le strutture connettivali fibrose. Eppure lui non esita a definirsi un uomo fortunato. A ogni domanda, fatta in punta di fioretto, risponde in modo pacato, finendo per andare puntualmente a segno. Dritto al cuore.

La vita non sembra essere stata molto clemente con lei. Come fa a definirsi una persona fortunata?

«Solo se ci si ferma alla superficie si potrebbe pensare che la mia vita sia triste. Mi ritengo una persona fortunata perché sono un uomo che vive a pieni polmoni, che ama e che non vuole cadere nel tranello della non-vita».

A cosa allude?

«Si cade nel tranello della non-vita quando si smette di essere protagonisti della propria esistenza. Molte, troppe volte la vita ci passa accanto senza che noi ce ne rendiamo conto: viviamo con la testa bassa, senza alzare più gli occhi al cielo. Siamo diventati tutti una notifica, incastrati come siamo nel mondo dei social».

Non avrebbe però preferito essere scosso dal torpore esistenziale da una grande gioia, anziché da 20 anni di malattia?

«Ho un’idea molto semplice del dolore: càpita. Non lo scegli e nessuno te lo manda. Semplicemente accade, perché la vita è fatta anche di sofferenza. Anche per questo non me la prendo con nessuno, men che meno con Dio. Stento a credere che, nel 2018, qualcuno pensi ancora che Dio si alza al mattino decidendo di mandare una malattia a qualcuno».

Eppure c’è chi interpreta il dolore come una prova di Dio.

«Se accade è perché vogliamo qualcuno con cui prendercela. E usiamo Dio come alibi. Invece è fondamentale smetterla di piangersi addosso: suscitare o ricevere pietà non ci fa bene, anzi è quello che fa morire. Abbiamo invece bisogno di compassione, ossia di qualcuno che condivida con te il tuo cammino, la tua passione».

Dunque, come si declinerebbe quella dialettica di buio e luce di cui parla il suo ultimo libro?

«Come le dicevo, l’esistenza è fatta anche di momenti in cui si sperimenta la sofferenza, grande o piccola che sia: magari anche solo uno smarrimento o un momento di buio personale. Però, se mettiamo l’amore al centro della nostra vita, possiamo trasformare qualsiasi evento in luce».

Come si fa a mettere l’amore al centro?

«Mettendosi in discussione. Non è facile, perché richiede che smettiamo di aggrapparci a noi stessi e alle cose. Il principale ostacolo è la paura. Viviamo in un atavico timore persino quando succede una cosa bella: cerchiamo subito di immaginare cosa potrebbe accadere dopo una gioia così grande, temendo il peggio, e ci dimentichiamo di gustare a pieno la felicità del momento. Questo è il grande problema: rimandiamo perfino le cose belle, a causa della paura. Non solo. Oggi in molti si prodigano in opere di beneficenza: ci preoccupiamo di fare bene agli altri, di accogliere gli immigrati, di dare da mangiare agli affamati. Peccato che, in questo sacrosanto slancio, dimentichiamo di fare beneficenza a noi stessi. Ci amiamo? Siamo capaci di prenderci in braccio? Se non sappiamo prenderci cura di noi stessi, non possiamo andare da nessuna parte».

Vedere la bellezza, mettersi in discussione, mettere al centro il cuore: immagino che non sia facile quando, come è accaduto a lei, si attraversano lunghi periodi di malattia. Come si reagisce quando si è sfiancati dal male fisico?

«La sofferenza ti abbaglia. Non esiste una regola precostituita per ricominciare a vedere, se non quella che la vita deve essere vissuta: solo così ti accorgi che questo mondo, così pieno di intoppi, è anche ricco di cose meravigliose».

La possibilità di rinascere e trasformare il buio in luce è alla portata di tutti, credenti e non. Qual è però il valore aggiunto della fede?

«Beh, con la fede, capisci prima che puoi rinascere (ride)! Battuta a parte, ognuno ha il suo modo di credere in Dio: per me è Gesù. Resta però il fatto che la spiritualità è decisiva perché ti permette di vivere le cose, senza aggrapparti a queste. La fede trasforma il lutto in danza, ossia la sofferenza in un’opportunità. Personalmente spero, con i miei libri, di poter dare una testimonianza autentica, che sia un motore di rinascita per i cuori».

Quando ha conosciuto la fede?

«Sono sempre stato un cristiano cattolico, ma tiepido: il classico sepolcro imbiancato. Poi ho conosciuto la poesia di Alda Merini e mi sono riscoperto amato da Gesù: lui mi ama e ci ama, sempre e comunque. Siamo noi che ci mettiamo le mani sulle orecchie e sul cuore e non lo vogliamo ascoltare. Quel cammino mi ha preso il cuore, trasformandomi in un uomo nuovo. Inoltre, grazie a una “Dio-incidenza”, da otto anni seguo la comunità Nuovi Orizzonti: Chiara Amirante mi ha insegnato che Gesù lo trovi anche nel fratello sotto casa. Dobbiamo essere cattolici più attivi nella nostra vita».

IL NUOVO LIBRO
S’intitola Buio e luce. Alzate gli occhi al cielo (176 pagine, 20 euro) il nuovo libro di Fabio appena pubblicato da Edizioni San Paolo. Si tratta di una raccolta di dialoghi nati dalle lettere ricevute da tante persone che condividevano fatiche e dolori. Il libro si trova anche su www.sanpaolostore.it.

TRA TEATRO E SCRITTURA
Nato a Castellaneta (Otranto) nel 1976, Fabio Salvatore è scrittore, attore e regista. Ha debuttato sul palcoscenico nel 1995, al Teatro Nuovo di Milano, con la commedia musicale Rodolfo Valentino. Dopo essersi ammalato di cancro a 22 anni e dopo una recidiva avvenuta a 10 anni di distanza, ha intrapreso con decisione la strada della scrittura. Tra i suoi libri di maggior successo, Cancro, non mi fai paura(2008), La paura non esiste (2010) e Il tuo nome è Francesco (2014). Nel frattempo ha proseguito anche l’attività a teatro e per la tv, con piccole parti nelle fiction Il grande Torino, Il Pirata – Marco Pantani e Carabinieri.

CHIARA AMIRANTE
La fondatrice della comunità Nuovi Orizzonti è nata a Roma nel 1966. Fabio Salvatore otto anni fa ha conosciuto la comunità che, tra le varie attività, si occupa anche di persone disagiate: «Lì ho capito che Gesù lo trovi nel fratello sotto casa».

ALDA MERINI
È grazie alle opere della grande poetessa milanese che Fabio Salvatore ha riscoperto la fede. «Mi sono sentito amato da Gesù: sempre e comunque». Merini, morta nel 2009 a 78 anni, sperimentò sulla sua pelle la fatica della malattia mentale.

L’articolo originale tratto da “Credere”

Tags:
cancrotestimonianze di vita e di fede
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