La Regola di San Bendetto vale anche in casa nostra? Sì, insegna l'ordine e la creatività, la carità e l'arrichimento reciproco
Nel post precedente, ho fatto cenno al problema anche educativo e sociale della diminuzione dell’impegno in cucina. Per spiegarvi perché, parto dal monachesimo.
Ho avuto tante occasioni di parlare del contributo che esso ha dato alla buona cucina e alla buona tavola: birra, vino, formaggi, marmellate, infusi, distillati, basta che un cibo abbia un marchio monastico e acquista subito caratteristiche di qualità e affidabilità.
San Benedetto attraverso la sua Regola ha dispensato consigli molto preziosi anche per la famiglia e in genere per ogni comunità: metterli in pratica significa vivere i valori di carità, rispetto, collaborazione, armonia, arricchimento reciproco.

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Oggi vorrei soffermarmi sull’aspetto del lavoro manuale, dell’artigianato e sull’influsso che i valori del monachesimo hanno avuto sulle arti e sulla bellezza. Andiamo a scoprire se, recuperando i valori della comunità monastica, riusciamo a riportare qualità e bellezza sulla tavola, e di conseguenza anche nella società e nella famiglia, istituzioni in crisi, ma che possono trovare aiuto e ispirazione nell’intramontabile insegnamento del santo di Norcia.

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Una premessa: San Benedetto non ha mai parlato di arte, nella sua Regola. Eppure i libri scritti dagli amanuensi sono splendidamente miniati, le biblioteche hanno spettacolari intarsi, i paramenti dei sacerdoti sono finemente ricamati, i cori lignei sono bellissimi, per non parlare delle architetture delle chiese, delle sale capitolari, degli stessi refettori.

E il cibo è eccellente. La coscienza umana e religiosa dei monaci, la loro carità e l’amore a Dio e al prossimo li spinge a fare tutto in modo perfetto, portando come conseguenza la bellezza del prodotto. Il rapporto tra uomo e ambiente è anche reciproco: l’uomo modella l’ambiente e l’ambiente a sua volta influisce sull’uomo, lo plasma a sua immagine e somiglianza.
Scrive don Massimo Lapponi nel libro “San Benedetto e la vita familiare” (Libreria Editrice Fiorentina, 2009):
«Spolverando con cura delle statuine di porcellana si impara a trattare il prossimo con delicatezza e rispetto. Se a questo si aggiunge l’impegno, spesso assai arduo, di trasfondere nei materiali e negli oggetti d’uso l’espressione sensibile della propria creatività e del proprio amore per un ideale estetico umano e religioso, il lavoro diventa nello stesso tempo altamente educativo, come dominio dell’anima sul corpo e sul mondo sensibile, e fonte di intima gioia per sé e per gli altri».
Non pensate che queste considerazioni si possano applicare anche al mondo della tavola? La produzione artistica di oggetti per la tavola e la realizzazione di piatti di gastronomia non sono forse espressione di una manualità, di una creatività artistica artigianale che trasmette messaggi educativi, formativi, che eleva l’uomo e produce un arricchimento per la compagnia che saprà godere di quella bellezza e qualità?