Questo in fondo è lo stile di Dio nell’amore: Lui ci preferisce, tuttidi Anna Mazzitelli
Ecco, scriverò questo post anche se sicuramente farà arrabbiare qualcuno, i miei fratelli, per esempio, e chissà, se mia nonna fosse viva forse ci sformerebbe un po’ anche lei.
Tanti anni fa, non saprei nemmeno dire quanti, né in che fase della mia vita mi trovassi, un confessore, dopo aver ascoltato le mie lamentazioni, mi chiese: “Ma che rapporto hai tu con tuo padre?” perché evidentemente associava la visione del Padreterno a quello che era il padre terrestre, intendendo che qualora una persona non abbia un buon padre sicuramente farà più fatica ad avere un buon rapporto con il Padre.
Ultimamente ho riflettuto su questa cosa, che è anche uscita fuori in uno degli incontri per i catecumeni che abbiamo fatto a san Giovanni quest’anno, quando don Andrea ci ha fatto mettere in gruppetti di tre/quattro persone e ci ha invitato a riflettere su quale fosse stata la nostra esperienza di fede, su cosa ci avesse portato a essere le persone che siamo nel nostro rapporto con Dio.
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Io ho raccontato che vivo una consapevolezza di predilezione da parte di Dio, che può sembrare immotivata e incomprensibile visto le difficoltà che ho incontrato sul mio cammino, difficoltà che però non mi hanno fatto dubitare di questo amore così preferenziale, che mi sembra una cosa evidentissima, personale, unica.
E attribuisco questa consapevolezza al fatto che vivo questa condizione anche agli occhi di mio padre: non ho mai dubitato della sua predilezione nei miei confronti, nemmeno quando ne combinavo di tutti i colori, e non mi risparmiava rimproveri o anche solo eloquenti sguardi di disprezzo, nemmeno quando ho fatto delle scelte per la mia vita che sono lontane anni luce da quelle che pensavo lo avrebbero reso orgoglioso di me. Perché ho sentito profondamente, durante la mia vita, che a lui sono andate bene le mie scelte, laddove mi hanno portato a essere felice, non ha voluto decidere lui quale fosse la cosa giusta per me, si è fidato, mi ha lasciato libera di provare e di sbagliare, e poi eventualmente di raddrizzare il tiro, non ha mai detto: “Lo sapevo che ti facevi male”, ma c’è sempre stato, con tutti i suoi limiti e i suoi difetti, ma anche con tutto l’amore di cui è stato capace.
Sono certa mio padre abbia questa predilezione anche nei confronti dei miei fratelli, per ognuno a suo modo, ma per qualche ragione per me è talmente evidente da aver condizionato anche la mia relazione con Dio.
E leggendo l’ultimo libro di don Luigi Epicoco ho ritrovato questa consapevolezza nella sua descrizione di Giuseppe, figlio di Giacobbe (spoilero un solo capitolo su otto ai forse-trenta lettori di queste pagine, non me ne voglia don Luigi, tanto sono quasi tutti parenti ai quali prima o poi il suo libro lo regalerò io stessa).
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Giuseppe era il prediletto dei figli di Giacobbe, il quale gli dona una tunica dalle lunghe maniche. Questa tunica era fumo negli occhi per i fratelli di Giuseppe, che, invidiosi, gli fanno fare la fine che sappiamo, vendendolo agli Ismaeliti per venti sicli d’argento. Don Luigi scrive che la caratteristica di essere il prediletto è per Giuseppe talmente importante da permettergli di arrivare in fondo alla sua personale storia. Viene venduto dai fratelli, e anche in Egitto non ha vita facile, ma in nessun momento desidera la morte, perché malgrado tutto quello che gli succede lui si porta addosso una tunica dalle lunghe maniche che nessuno gli può strappare, la tunica della predilezione del padre.
Giuseppe attraversa tutte le disavventure che gli capitano, non dubita mai che siano per un bene superiore (“Tu vedi più lontano di me, tu sai la via“, canta nel cartone animato della Dreamworks quando passa anni in galera per essere stato incastrato dalla moglie di Potifar), e risale ogni volta la china, fino a diventare il secondo uomo più importante dell’Egitto, subito dopo il Faraone. Proprio in questo modo può diventare anche causa della salvezza per i suoi fratelli, che lo avevano odiato e venduto. Giuseppe sente che la sua vita è salva perché si sente amato agli occhi di qualcuno, e questo amore che sente su di sé diventa causa di salvezza anche per altri.
Ecco, “causa di salvezza per gli altri” è quanto di più lontano da me, che a stento provo a salvare me stessa un giorno appresso all’altro, però la predilezione di mio padre che sento su di me, immagine della predilezione di Dio e del suo amore per me per quanto incasinata io sia (ma poi mi ha pensata Lui così, quindi con chi se la deve riprendere se sono un macello?) mi ha permesso di benedire la mia esistenza imperfetta e disastrata, di cercare con tutta me stessa la Buona Notizia dentro le vicende rovesciate che si sono susseguite; non mi ha impedito di soffrire, ma mi ha consentito di trovare un senso in questa sofferenza, il bene nascosto in quello che apparentemente sembrava solo male.
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Caro papà, (non mi smentire, per favore, fammici credere!) so di essere la persona al mondo che prediligi. Spero che tu sia altrettanto convinto che non c’è nessuno a cui io voglia più bene che a te, non più, almeno. Domenica prossima partiremo per una settimana in montagna, e i miei verranno con noi. Spero, con questo post, di essermi guadagnata un po’ di sano shopping-no-limits con la carta di credito del mio papà.