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Il calcio, surrogato della religione?

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Miguel Pastorino - pubblicato il 23/06/18

Nulla oggi mobilita tanto le masse come il calcio

Ogni volta che si disputa un Mondiale di calcio, i fenomeni sociali che si verificano e la trasformazione delle condotte di società intere richiamano fortemente l’attezione. Analizzare questo fenomeno è complesso, perché è come parlare della “religione ufficiale” di milioni di esseri umani.

Le discussioni sul tema sono più emotive che razionali e risvegliano passioni che non vengono suscitate più né dalla religione né dalla politica.

Il calcio è diventato progressivamente un succedaneo delle religioni, con i suoi miti, i suoi riti, i suoi “dèi”, i suoi templi che riuniscono folle accanite che entrano in un ciclo liturgico festivo che sospende la vita ordinaria trasportandole in un mondo parallelo.

I Governi in genere usano questo periodo per aumentare tariffe e imposte, mentre le folle non vogliono parlare d’altro che di calcio. Si votano anche leggi impopolari. A livello di notizie nulla è più importante, tutto diventa secondario.

L’effetto è molto potente a livello sociale, perché per un mese appaiono simboli patriottici come in nessuna data commemorativa della storia di un Paese.

Nulla oggi mobilita tanto le masse quanto il calcio, e se ne approfitta anche per le vendite di televisori, bevande, snack, eccetera. I conflitti interni di qualsiasi Paese scompaiono, come se per un periodo sacro tutti si riconciliassero e si sostenessero su una speranza epica. Le differenze sociali e ideologiche sfumano come per magia mentre si contempla lo spettacolo in cui sembrano giocarsi il destino della società e la felicità di ciascuno in particolare.

La FIFA riunisce più Nazioni dell’ONU, e sembra scatenarsi una battaglia cosmica in cui le squadre di undici gladiatori rappresentano chiunque tifi per loro. Il calcio è visto da alcuni analisti della cultura come una rappresentazione del dramma del mondo e un’immagine di combattimento rituale.

Dal sacro all’ambito profano

Il gioco ha sempre rappresentato la rottura con la routine, con il lavoro, con l’aspetto obbligatorio e penoso della quotidianità. L’essere umano, quando gioca, imita chi può essere libero di giocare, i bambini e gli dèi. Quando gioca entra in un tempo gratuito e sacro, mettendo in scena quello che nei suoi sogni vorrebbe che fosse tutta la vita. Quando gioca realizza quello che la realtà dovrebbe essere sempre.

Vari ricercatori hanno visto nel calcio grandi analogie con una celebrazione religiosa. È un dramma rappresentato da un numero preciso di officianti sull’altare di prato, in quel recinto sacro degli stadi che ricorda gli antichi templi, sotto grandi fasci di luce, di fronte allo sguardo attento e partecipativo, esultante o depresso, ma sempre devoto e fanatico delle migliaia di tifosi. Il punto più alto del culto, come vera consacrazione di questo culto di folle, è il goal. In quel momento i fedeli si alzano, si abbracciano in totale comunione, gridano in una catarsi collettiva che termina in emozionato entusiasmo quando si è ottenuto un trionfo o in una schiacciante disperazione quando si perde.

Prima della partita i presenti sono come fedeli, che fanno lunghe file come in un pellegrinaggio fino al grande tempio in cui si spezza la nozione di tempo quotidiano e si entra in una nuova dimensione della vita. Le “processioni” dei “tifosi” sono accompagnate da cantici rituali ripetivi, con tratti tipici della devozione personale e in una specie di estasi mistica per il fatto di sentirsi in un solo corpo, una comunione di anime soprannaturale che all’unisono cantano in onore dei propri dèi e della loro religione, che dà senso alla loro vita e li rende capaci di atti profondamente generosi o violenti, perché qui anche la fratellanza o l’inimicizia aquisiscono un carattere sacro.

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Un nuovo tempo liturgico

I colori che invadono il tempo forte delle partite sono un segno di identità tribale, di festa, e l’espressione della trascendenza specifica di ogni gruppo o Paese. I mezzi di comunicazione, soprattutto la televisione, trasformano la trasmissione delle partite di calcio in un rito seguito da milioni di persone, in cui alla stessa ora si raduna intorno all’altare domestico – o nel bar trasformato in piccolo tempio – chi anela a questo tipo di emozione ed entusiasmo collettivo in cui si entra in comunione con una realtà che trascende la quotidianità e la piccolezza della propria esistenza, offrendo senso e appartenenza in mezzo alla grigia routine della quotidianità.

Con l’aiuto delle nuove tecnologie e dei mass media, il tempo si organizza e si struttura in funzione dei “periodi forti”, siano essi fine settimana o eventi su larga scala come i Mondiali di calcio.

Lo stesso accade con i periodi politici e le campagne elettorali, pieni di riti e miti, ma che sono già una “religione” esaurita.

Dopo le partite di calcio, i commenti durante la settimana nel corso dei programmi televisivi, sul posto di lavoro, nei bar o sui mezzi di trasporto diventano il prolungamento quotidiano di questa fonte di senso e di appartenenza.

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Memoriale di un combattimento rituale

Gli incontri sportivi diventano anche un luogo simbolico del confronto internazionale, in cui si commemorano confronti e rivalità storiche, esprimendo ansie di supremazia, compensando superficialmente le frustrazioni politiche ed economiche. Per le persone è più di uno sport, perché né la commercializzazione sfrontata e schiacciante né gli scandali della corruzione possono offuscare l’alone sacro del calcio.

Assistiamo a una divinizzazione di un fenomeno sociale e sportivo. Si è già vista in alcune pubblicità la sostituzione con gli “eroi” del calcio di eroi nazionali o santi cattolici, o la sostituzione esplicita di un nuovo dio che si adora, e si consulta qualsiasi oracolo che definisce ciò che è davvero importante per la vita di milioni di persone: il risultato finale della partita.

Così diceva il sociologo José María Mardones nel 1994: “Una bugia sociale pietosa, si dirà, rappresentata da un cerimoniale di torce, bandiere, altari, uniformi, medaglie; sostenuta dalla ripetizione massmediatica dei successi sportivi – leggende – degli eroi creati dai giornalisti sportivi; messa compensativamente al servizio delle frustrazioni delle masse e soprattutto della grande industria, in cui l’etica sportiva diventa vassallo delle speculazioni pubblicitarie o semplicemente tecniche… la religiosità sportiva diventa apparizione, ma l’ambiguità non è capace di eliminare l’influenza di un valore simbolico in grado di trasfigurare l’aspetto sociale e dotarlo della luminosità che permette di sognarlo puro e vero”.

mentira social piadosa, se dirá, representada por un ceremonial de antorchas, banderas, altares, uniformes, medallas; sostenida por la repetición massmediática de las hazañas deportivas –leyendas- de los héroes creados por los periodistas deportivos; puesta compensativamente al servicio de las frustraciones de las masas y especialmente de la gran industria, donde la ética deportiva se convierte en vasallo de las especulaciones publicitarias o simplemente técnicas… la religiosidad deportiva hace aparición, pero la ambigüedad no es capaz de eliminar la influencia de una valor simbólico capaz de transfigurar lo social y dotarlo de la numinosidad que permite soñarlo puro y verdadero”.

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Segno di una crisi culturale e spirituale?

La traduzione dal sacro ad ambiti tradizionalmente profani non è un aspetto esclusivo del calcio. La religione civile, la sacralizzazione dell’aspetto politico e di altri sport e il culto del corpo non sono cose nuove.

Anche se questi fenomeni, includendo il calcio come lo abbiamo descritto, non sono una religione in senso stretto, possiamo trovare non solo analogie, ma traduzioni di esperienze, rituali e di senso che ci dicono molto su ciò che accade alla società e alle religioni. Comprendere i fenomeni religiosi e i loro succedanei ci permette anche di comprendere fenomeni sociali complessi.

È interessante vedere come l’espressione di emozioni forti e passioni venga vista come “normale” se si tratta di calcio, mentre se si tratta di credenze religiose o esperienze spirituali viene considerata qualcosa di strano, quando in realtà se la religione di una persona è quello che dà senso alla vita dovrebbe riversare su di essa la sua passione principale e le sue emozioni più forti.

Quando la religione non è una mera vernice culturale ma una vera vita di fede, dovrebbe essere il centro e l’aspetto più importante della vita, quello che dà forma e senso a tutto il resto. Quando però il centro che mobilita tutta la vita e la fonte di senso è un’altra cosa, si è cambiata religione senza rendersene conto.

Il calcio come sport e i fenomeni di massa che si trascina dietro sono capaci di generare valori molto positivi per la convivenza e la coesione sociale. Ciò che prima erano per la maggior parte della gente le religioni è stata poi la politica ed è oggi uno sport.

La domanda più difficile da porci è forse questa: qual è il vuoto che è venuto a colmare?

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