Nulla oggi mobilita tanto le masse come il calcio
Ogni volta che si disputa un Mondiale di calcio, i fenomeni sociali che si verificano e la trasformazione delle condotte di società intere richiamano fortemente l’attezione. Analizzare questo fenomeno è complesso, perché è come parlare della “religione ufficiale” di milioni di esseri umani.
Le discussioni sul tema sono più emotive che razionali e risvegliano passioni che non vengono suscitate più né dalla religione né dalla politica.
Il calcio è diventato progressivamente un succedaneo delle religioni, con i suoi miti, i suoi riti, i suoi “dèi”, i suoi templi che riuniscono folle accanite che entrano in un ciclo liturgico festivo che sospende la vita ordinaria trasportandole in un mondo parallelo.
I Governi in genere usano questo periodo per aumentare tariffe e imposte, mentre le folle non vogliono parlare d’altro che di calcio. Si votano anche leggi impopolari. A livello di notizie nulla è più importante, tutto diventa secondario.
L’effetto è molto potente a livello sociale, perché per un mese appaiono simboli patriottici come in nessuna data commemorativa della storia di un Paese.
Nulla oggi mobilita tanto le masse quanto il calcio, e se ne approfitta anche per le vendite di televisori, bevande, snack, eccetera. I conflitti interni di qualsiasi Paese scompaiono, come se per un periodo sacro tutti si riconciliassero e si sostenessero su una speranza epica. Le differenze sociali e ideologiche sfumano come per magia mentre si contempla lo spettacolo in cui sembrano giocarsi il destino della società e la felicità di ciascuno in particolare.
La FIFA riunisce più Nazioni dell’ONU, e sembra scatenarsi una battaglia cosmica in cui le squadre di undici gladiatori rappresentano chiunque tifi per loro. Il calcio è visto da alcuni analisti della cultura come una rappresentazione del dramma del mondo e un’immagine di combattimento rituale.