di Mauricio Artieda
Andiamo al dunque. La vita cristiana è un processo e un cammino per amare e conoscere Dio. Il miglior esempio è la vita degli apostoli: nessuno di loro ha iniziato la sua vita al fianco di Cristo sapendo con certezza che fosse Lui il Messia. A poco a poco, grazie all’amorevole pedagogia del Signore, Gesù ha rivelato loro la pienezza della sua divinità, ma perché ciò accadesse gli apostoli sono dovuti passare per varie approssimazioni e idee su Gesù, partendo dalle proprie aspettative, angosce, paure, sogni, speranze…
Non ci accade forse lo stesso? Nel Catechismo è stato messo tutto nero su bianco, potrebbe dirmi qualcuno, ed è vero, ma la realtà e l’esperienza concreta di vivere una vita cristiana ci dicono il contrario. Tutti, giorno dopo giorno, conosciamo e amiamo di più il Signore, e la nostra comprensione cresce, si blocca, fa marcia indietro, compie un salto in avanti, si frena, si frustra, riparte… Non bisogna aver paura, perché siamo così, ma è bene essere consapevoli del fatto che in questo cammino esiste anche la tentazione di togliere l’iniziativa al Signore e di iniziare, spesso senza rendersene conto, a vivere un rapporto con un dio fatto a nostra misura, con un idolo di plastica che proietta le nostre ferite interiori e ostacola il nostro rapporto con il Dio della vita. Non bisogna aver paura neanche di questo. A volte Dio sopporta questi “antagonisti” perché sono l’unica via – anche se a volte si tratta di un deserto – mediante la quale possiamo sperimentare la nostalgia che ci porterà ad aprirci all’amore del Dio vero.
Di seguito vorrei descrivere alcuni di questi possibili “dèi con la minuscola” che potrebbero comparire sul cammino della nostra vita cristiana. Io stesso, pensando alla mia vita, posso dire di essermi relazionato con quattro di questi cinque, e sapete, non me ne pento completamente! Credo che smascherarli e conoscere le ragioni per le quali sono apparsi nella mia vita mi abbia aiutato molto ad amare e a conoscere di più Dio. È comunque importante identificarli e fuggirne il prima possibile. Sono una cattiva compagnia e cattivi consiglieri, di cui il demonio approfitta per allontanare molte persone da Dio, a volte in modo irrevocabile.
Pronti? Eccoli qui!
1. Il dio dei buoni
È un dio difficile da trattare. Quando siamo o ci sentiamo buoni va tutto bene con lui, ma quando le cose diventano difficili, quando il peccato compare nella nostra vita, questo piccolo re si offende a morte ed esige – se è di buonumore – penitenze e sacrifici per riparare ai mali commessi.
Quanti credono in lui si trovano davanti a un bivio difficile: accettare la dura esperienza di non essere mai abbastanza per il Dio che amano o bloccare questa frustrazione attraverso la pericolosa fantasia di non riconoscersi peccatori. I primi, angosciati dal senso di colpa, prima o poi si stancano e lo abbandonano; i secondi, a forza di razionalizzazioni e scuse, hanno costruito un mondo di fantasia in cui la critica dei difetti e dei peccati altrui è la droga che permette loro di sentirsi temporaneamente tranquilli e giustificati.
Nessuna di queste esperienze produce pace nel cuore del credente. Il suo dio è una fonte costante di rottura interiore.
2. Il dio dei filosofi
È un dio saggio e molto esigente. Per lui ciò che conta è che i suoi seguaci lo capiscano, conoscano la sua storia, ammirino i suoi dogmi e abbiano una teologia ortodossa, secondo il Catechismo della Chiesa ovviamente.
I seguaci di questa divinità hanno sentito parlare molto di dio, ma non hanno mai parlato con Dio. I loro discorsi sono corretti, anche belli, ma lasciano un retrogusto insipido, come se fossero stati letti e non vissuti… ed è proprio questo che è accaduto, perché questi uomini hanno trasformato perfino il tabernacolo della preghiera in un’occasione per imparare e non per amare.
Credono di amare dio perché lo conoscono, ma la scala di grigio della conoscenza umana, per quanto possa essere ordinata, non basta per misurare la luce brillante e le infinite tonalità di Dio. È qui che questi bravi studenti si frustrano… costa loro comprendere che il metodo migliore per studiare l’Amore è l’amore stesso, e si infastidiscono perché scoprono che in fondo non sono disposti a cambiare se questo implica il fatto di rinunciare alle sicurezze che la conoscenza ha fornito loro. Credevano di studiare l’infinitezza e l’onnipotenza di Dio, ma in realtà l’unica cosa che hanno fatto, poveretti, è stata conoscere il dio nano incarcerato dalla loro intelligenza pedante.
3. Il dio degli astronomi
Questo dio è bello come la Luna. I suoi seguaci lo contemplano con ammirazione e rispetto, soprattutto di notte, forse con una preghiera sincera prima di dormire, ma dopo di questo la sua presenza nella vita quotidiana è meramente decorativa. E non è che questi credenti non credano in lui, non sappiano che si è incarnato e che ha donato la propria vita per redimerli dal peccato. Anche sulla Luna sanno e sono certi che da questa dipendono alcuni fattori gravitazionali che permettono la vita sulla Terra. Il problema non è questo. Il punto è che il dio degli astronomi non scende, non diventa concreto, non si immischia nella vita di nessuno, e i suoi misteri sono storia del passato.
Questi credenti sono una razza molto particolare e triste: credono di essere redenti ma non vivono come tali, credono di essere amati ma non si sentono amati, credono che nell’Eucaristia ci sia il Corpo di Dio vivo ma il loro dio, nella pratica, è un cadavere.
Qualcuno parli a questi uomini della Provvidenza o della Grazia, dei santi che irradiano l’amore di Dio nel mondo o dei sacramenti come incontro reale ed efficace con Cristo! Ricordate loro che mediante la Croce la nostra vita si è trasformata, che ora siamo figli e che Dio è un padre nelle cose concrete, nelle lacrime, nei sorrisi, nelle frustrazioni e nelle gioie della vita quotidiana e non in ciò che è astratto, freddo, futuro o semplicemente ricordato.
Forse se diremo loro tutto questo qualcuno deporrà il telescopio e cercherà di credere nel Dio della vita… ma non sorprendetevi se nessuno lo farà, perché la fede da telescopio non è sempre frutto dell’ignoranza – spesso è una decisione consapevole presa da quanti temono che la vicinanza di Dio interrompa il ritmo che hanno già dato alla loro vita. Chissà se le loro paure erano fondate… forse Dio voleva solo avvicinarsi per dare loro un bacio sulla fronte e privarli di quella dolorosa sensazione di abbandono che li angoscia. Non lo sapremo mai. C’est la vie.
4. Il dio dei mistici
Questo dio provoca un misto di piacere e orgoglio nei suoi seguaci. All’inizio chi lo segue sperimenta il calore e la vicinanza del Dio vivo, ma poi, meravigliato dall’esperienza sentimentale più che dall’incontro con il Signore, sacrifica il figlio per salvare il vitello. Questi uomini pregano e parlano di dio, e possono essere anche uomini caritatevoli, ma tutta la loro attività religiosa è centrata su di sé, sull’orgoglio e sul piacere sensuale che sperimentano.
Come accade con tutti gli idoli, però, neanche questo dio dionisiaco piccolo e meschino è capace di soddisfare la sincera fame di comunione del cuore dei suoi fedeli. Per questo quanti credono in questa divinità sentono il bisogno costante di pavoneggiarsi e di parlare agli altri della profondità della loro vita spirituale. È un meccanismo disperato ma efficace, e l’affetto e la lode rianimano momentaneamente le sensazioni piacevoli esigendo allo stesso tempo il ruolo o la maschera del mistico. Purtroppo il prezzo che paga chi non spezza questo circolo vizioso è molto alto. La santità proclamata diventa troppo grande, e il cuore, pieno più di aria che d’amore, si gonfia fino a scoppiare in mille pezzi. Quanto soffre la Chiesa quando accade qualcosa del genere!
5. Il dio dei drammatici
Questo dio è sempre triste e contrito contemplando i peccati degli uomini. Prova qualche tipo di piacere malato ricordando ai suoi fedeli i loro tradimenti, le ipocrisie e la malvagità di cui si sono macchiati. Esagera tutto e lo ridimensiona per diventare vittima, e accumulare così preghiere, coroncine, promesse e fervide preghiere piene di pentimento.
Della sua onnipotenza non resta traccia, il peccato sembra essere molto più forte di lui; per questo, i suoi seguaci prendono sempre l’iniziativa: si riempiono di mezzi e si autosuggestionano per raddoppiare gli sforzi nella lotta contro il peccato. Ma inciampano, le buone intenzioni durano pochi giorni o poche settimane e alla fine ricadono nelle cose di sempre. E la meschina divinità che adorano fa festa, perché nessuno si ricorda di lei finché dura la lotta. Il nome del dio dei drammatici viene pronunciato solo quando si assapora la colpa e appare la necessità – fondamentalmente psicologica – di ricevere il perdono, e poter così ricominciare questo ciclo dis-graziato.
I drammatici e il loro dio piangente – che non è altro, ovviamente, che una proiezione di loro stessi – affrontano una sfida urgente, questo sì… smettere di strumentalizzare il sacramento della riconciliazione nei propri giochi psicologici.
Questo quanto agli dèi.
Anticipo una possibile domanda che mi arrivebbe se terminassi qui il post: “Ma allora qual è il vero Dio?” Una risposta semplice sarebbe “Gesù, il Dio che descrivono i Vangeli”, ma cercherò di rispondere in un altro modo, in base a una metafora usata da Gesù stesso:
Il Dio della pecorella smarrita
Questo Dio si perde le pecore. Dice di essere un buon pastore ma non sa controllarle né obbligarle a fare ciò che vuole Lui. Ha il recinto aperto e si giustifica dicendo che i limiti del suo ovile sono definiti dall’amore e non dalle recinzioni o dalle punizioni. Un pastore progressista!
Ma ama le sue pecore – perché bisogna essere giusti quando si parla – e le chiama ciascuna per nome. Per questo quando gliene manca una non tarda ad accorgersene e ad avventurarsi in qualsiasi cammino per recuperarla. Non è un Dio strano? Non rinchiude né lega le pecore nel recinto, e tuttavia quando si perdono si trasforma in un cane da caccia che annusa ogni angolo della terra fino a trovarle. È capace di lasciarne 99 per ritrovare quella che si è smarrita! E non importa il clima, il Dio delle pecore perdute non indietreggia mai, né ferma la sua ricerca. Condivide il nome della sua pecora con il vento perché questo le sussurri che il pastore la sta cercando, lascia segni della sua presenza sul cammino perché la pecora ricordi quanto è amata, affronta i lupi e si sottopone alla loro furia perché il Dio delle pecore perdute è capace di dare tutto, anche la vita, per loro…
E non importa lo stato in cui si trova. Quando questo Divino Pastore trova una pecora non la rimprovera mai – è così felice di averla trovata che dimentica tutto, la chiama per nome e la riporta all’ovile portandola sulle spalle. Questo è il Dio dei cristiani.