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Il vertice Trump-Kim cambierà qualcosa per i cristiani nordcoreani?

SUMMIT

AFP PHOTO / POOL / Anthony WALLACE

Paul De Maeyer - pubblicato il 13/06/18

Sono costretti “letteralmente a scegliere tra la vita e la morte”, ha detto un fuggitivo nordcoreano

Nessun ripensamento last minute. Il tanto atteso vertice tra il presidente statunitense Donald Trump e il suo omologo nordcoreano Kim Jong-un si è svolto infatti martedì 12 giugno nella città-stato di Singapore. Come previsto i due capi di Stato si sono incontrati alle 9 ora locale (erano le 3 della mattina a Roma) nell’esclusivo Capella Hotel — una struttura a sei stelle — sull’isola di Sentosa.

Lo storico faccia a faccia, con l’altrettanto storica stretta di mano, è arrivato dopo 65 anni di gelo quasi totale tra i due Paesi ed è destinato ad inaugurare una nuova fase nelle relazioni tra Pyongyang e Washington.

Un primo frutto già c’è stato. I due protagonisti hanno firmato infatti un documento in cui dichiarano che “uniranno i loro sforzi per costruire un duraturo e stabile regime di pace nella penisola coreana”. L’intesa tra gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare Democratica di Corea  mira inoltre “ad una completa denuclearizzazione della penisola coreana”.

Sant’Egidio e papa Francesco

La Comunità di sant’Egidio ha accolto “con grande soddisfazione” l’accordo firmato a Singapore da Trump e Kim. “La decisione di giungere finalmente al disarmo nucleare in questa strategica regione dell’Asia, non solo fa sperare in una chiusura definitiva della pesante eredità lasciata dalla guerra fredda, ma è importante per la pace nel mondo intero”, si legge in una dichiarazione pubblicata sulla pagina web della Comunità, da sempre impegnata nel servizio della pace. Sant’Egidio, che parla di un “significativo passo in avanti verso una più generale riduzione degli arsenali”, è fiduciosa che l’accordo possa facilitare “grandemente lo sviluppo e la fine di tante difficoltà, a partire dalle sue fasce più deboli” per la popolazione nordcoreana.

Il mondo cattolico e in particolare papa Francesco hanno infatti atteso questo momento con trepidazione. In varie occasioni il Pontefice ha invocato la pace nella regione. Solo due giorni fa, in occasione dell’Angelus di domenica 10 giugno, Jorge Bergoglio ha invitato i fedeli a pregare per un buon esito dei colloqui. “Desidero nuovamente far giungere all’amato popolo coreano un particolare pensiero nell’amicizia e nella preghiera. I colloqui che avranno luogo nei prossimi giorni a Singapore possano contribuire allo sviluppo di un percorso positivo, che assicuri un futuro di pace per la Penisola coreana e per il mondo intero”, aveva dichiarato. “Per questo preghiamo il Signore. Tutti insieme preghiamo la Madonna, Regina della Corea, che accompagni questi colloqui.”

Cristiani perseguitati

In cuor suo il Papa avrà pensato senz’altro anche ai cristiani perseguitati nella Corea del Nord. Il Paese “eremita”, come viene spesso chiamato a causa della sua quasi ermetica chiusura verso gran parte del resto del mondo, ha infatti una pessima reputazione per quanto riguarda i diritti umani in generale e la libertà religiosa in particolare. Da 17 anni la Corea del Nord guida la classifica annuale dei posti più difficili al mondo in cui essere cristiani, stilata dall’agenzia missionaria cristiana Open Doors.

Un rapporto pubblicato nel 2008 dall’USCIRF, ovvero la Commissione sulla Libertà Religiosa Internazionale del Dipartimento di Stato a Washington, definisce la Corea del Nord senza esitazione “una prigione senza sbarre”.

Nel 2013, le Nazioni Unite hanno deciso di istituire una commissione d’inchiesta sulla Corea del Nord (la Commission of Inquiry on Human Rights in the Democratic People’s Republic of Korea, abbreviata CoIDPRK), con il compito di “indagare sulle sistematiche, diffuse e gravi violazioni dei diritti umani” nel Paese.

Nel suo rapporto finale, reso pubblico nel febbraio del 2014, la commissione d’inchiesta accusa senza esitazioni il regime di Pyongyang di “crimini contro l’umanità”. A caratterizzare la situazione nordcoreana, si legge nel documento, è “una quasi totale negazione del diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione, nonché dei diritti alla libertà di opinione, espressione, informazione e associazione” (n° 26).

Lo Stato nordcoreano, così denuncia il rapporto, gestisce “una macchina di indottrinamento totalizzante” (n° 27) e considera la diffusione del cristianesimo “una minaccia particolarmente grave, dal momento che sfida ideologicamente il culto ufficiale della personalità e fornisce una piattaforma per l’organizzazione e l’interazione sociale e politica al di fuori dell’ambito statale” (n° 31).

“Eccetto poche chiese organizzate e controllate dallo Stato, ai cristiani è proibito praticare la loro religione e sono perseguitati”, continua il rapporto, il quale aggiunge: “la gente che viene sorpresa a praticare il cristianesimo è soggetta a severe punizioni in violazione del diritto alla libertà di religione e del divieto di discriminazione religiosa” (idem).

I campi “kwan-li-so”

Chi viene scoperto — basta essere in possesso di un esemplare della Bibbia, un crimine ritenuto particolarmente grave [1] — rischia di finire poi in un campo di rieducazione o in uno dei famigerati campi di lavoro o kwan-li-so nordcoreani, che sono forse “persino peggiori” dei campi di concentramento del regime nazista.

Questo lo sostiene proprio un sopravvissuto dei campi di Auschwitz e di Sachsenhausen, il giudice Thomas Buergenthal, che ha collaborato alla stesura del rapporto dell’International Bar Association War Committee sui campi nordcoreani, pubblicato nel 2017 sotto il titolo Inquiry on Crimes Against Humanity in North Korean Political Prisons.“Non esiste una situazione paragonabile in nessun’altra parte del mondo, passata o presente”, ha dichiarato a sua volta un altro autore del rapporto, la magistrata sudafricana Navi Pillay. “E’ davvero un’atrocità di massimo livello, in cui tutta la popolazione è soggetta a intimidazioni”, ha aggiunto l’ex presidente del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda.

Attualmente tra gli 80.000 e i 130.000 nordcoreani — Open Doors parla persino di 250.000 carcerati, di cui 50.000 cristiani — sono detenuti in condizioni spaventose in questi campi, così calcolano gli autori del documento, che hanno raccolto numerosissime testimonianze, anche da parte di ex guardie carcerarie ed ex carcerati che sono riusciti a fuggire. “I cristiani vengono pesantemente perseguitati e ricevono un trattamento particolarmente duro nei campi di prigionia”, così rivela il rapporto, perché essi vengono considerati “reazionari” e sono quindi da “eliminare”, come ha raccontato un’ex guardia carceraria [2].

Ma quanti cristiani ci sono (ancora) nel Paese? Secondo la scheda che la nota fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS)ha dedicato alla Corea del Nord, le poche statistiche a disposizione sul numero dei credenti religiosi presenti nel Paese “sono impossibili da verificare”.

Mentre le Nazioni Unite stimano che nel Paese ci sarebbero dai 200.000 ai 400.000 cristiani, così spiega ACS — che riprende i dati contenuti nell’International Religious Freedom Report for 2017 del Dipartimento di Stato USA — l’organizzazione non denominazionale Cornerstone Ministries International (CMI) sostiene di essere in contatto con 37.000 cristiani praticanti.

Da parte sua, la commissione ONU sulla Corea del Nord stima che la percentuale di persone che aderiscono ad una religione è scesa nel Paese dal 24% circa nel 1950, cioè l’anno in cui scoppiò la guerra di Corea, a quasi zero, ossia lo 0,016%, nel 2002.

Per quanto riguarda il numero dei luoghi di culto nordcoreani, le fonti rivelano che nella capitale Pyongyang ci sono cinque chiese, tutte rigorosamente controllate dalle autorità: tre chiese protestanti, una cattolica e infine una ortodossa. Inoltre, così rivela il Database Centre for North Korean Human Rights (NKDB), ci sono nel Paese 60 templi buddhisti e 52 templi ceondoisti (il ceondoismo è una religione sincretista che unisce elementi del buddhismo, taoismo, confucianesimo, sciamanesimo e anche cristiani).

Non è quindi difficile intuire perché nel 2001 gli USA hanno qualificato la Corea del Nord come country of particular concern (CPC), vale a dire come Paese che desta particolare preoccupazione. Questa qualificazione poco lusinghiera viene data ai Paesi che si sono resi colpevoli di violazioni particolarmente gravi della libertà religiosa ai sensi dell’International Religious Freedom Act (IRFA) del 1998.

Resta da vedere adesso se il vertice di Singapore riuscirà a cambiare qualcosa nella politica di Pyongyang nei confronti delle persone credenti e dei cristiani in particolare. Questi ultimi sotto il regime di Kim Jong-un devono “letteralmente scegliere tra la vita e la morte”, così ha dichiarato un nordcoreano fuggito da un campo di lavoro e citato da Open Doors.

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1] Cfr. http://dotheword.org/2014/02/17/the-reason-why-possessing-a-bible-really-is-a-worse-crime-than-murder-in-north-korea/

2] per conoscere la realtà dei campi nordcoreani si può leggere anche il seguente articolo pubblicato nell’aprile 2017 dal Daily Mail: http://www.dailymail.co.uk/news/article-4458844/Thousands-North-Korea-s-prisons-face-butchered.html

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