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Come passare dall’egoismo e dalla comodità all’amore disinteressato

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Pixabay/skalekar1992

padre Carlos Padilla - pubblicato il 07/06/18

Voglio optare per il bene dell'altro più che per il mio, ma non è così semplice, e con le mie sole forze è impossibile

Costa non pensare allo sforzo che devo compiere per ottenere ciò che desidero. Costa non immaginare la fatica che comporta una dedizione fino alla fine dei miei giorni.

Vedo sempre davanti a me due possibilità. Due vie. Due opzioni. Posso non far nulla e cercare me stesso nella comodità della vita, oppure percorrere la distanza infinita che mi separa dall’altro, dalla meta, dai miei sogni.

Sono due modi possibili di vivere la mia vita. Due stili radicalmente opposti.

A volte mi vedo tentato dalla comodità, e altre volte mi attira la dedizione. La generosità fino all’estremo. La gioia di dare senza pensare di ricevere qualcosa in cambio.

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Voglio optare per il bene dell’altro più che per il mio. Sogno quella dedizione radicale nella mia vita e sorrido.

Ma poi quello che sembra facile non lo è tanto. Vorrei avere un cuore più grande di quello che ho. Mi colpisce vedere quanto spesso divento egoista.

Penso solo a quello che mi serve. A quello di cui ho bisogno. Perdo troppo tempo accarezzando i miei sentimenti. Di frustrazione, di rabbia, di impotenza, di tristezza.




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Smetto di guardare fuori da me per concentrarmi solo su ciò che ho dentro. Passo davanti a chi ha bisogno di me e non faccio nulla.

Così dice Papa Francesco della santità che è carità: “Non possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo mondo, dove alcuni festeggiano, spendono allegramente e riducono la propria vita alle novità del consumo, mentre altri guardano solo da fuori e intanto la loro vita passa e finisce miseramente” [1].

Parlo tanto di dare la vita, di donarmi fino all’estremo, di amare senza condizioni, e poi mi ritrovo limitato dal mio ego che mi lega e mi incatena. Ho occhi solo per me.

Penso all’amore di Gesù, che è venuto a dare la sua vita per me. E io che sono suo figlio assomiglio ben poco a Lui.

Vorrei spezzare le barriere che mi impediscono di donare finché fa male. Sopporto così male il dolore… Quella spina che mi si conficca nell’anima e non mi lascia essere felice.

Dicono che più dono, più sarò felice. Sarò più felice cercando il bene dell’altro. Rallegrandomi delle sue vittorie. Gioendo dei suoi trionfi. Diminuendomi perché l’altro aumenti. Mi costa crederlo.

So a memoria tante frasi che mi parlano di quell’amore che libera, di quella dedizione che dà pienezza, di quella vita che muore come un seme per dare frutto. Ho predicato tante cose al riguardo. Me lo sono ripetuto per non dimenticarlo.

Ma mi rendo conto dei limiti della mia carne. Non so perché la mia ferita continua a farmi più male di quella del prossimo. E continuo a pensare che il mio bene sia più importante del bene altrui.

Questa tendenza tipica dell’uomo a cercare il proprio bene mi entra dentro e mi trovo chiuso nella prigione del mio egoismo.




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Guardo la mia vita e cerco di capire come spezzare le barriere, come far saltare le porte, come far esplodere le dighe.

Forse non ci riuscirò mai. Con le mie sole forze non ci riesco, sono debole. Ho bisogno di un fuoco che mi spezzi. Di un vento che soffi sulla mia casa. Di una forza che spinga più forte delle mie resistenze.

Ho bisogno di Dio che venga nella mia vita per mandare in frantumi le mie difese. All’improvviso. O a poco a poco. Non importa. Voglio solo essere più libero di star bene, e volere non so come che gli altri stiano meglio di me.

Come sentivo l’altro giorno parlando del matrimonio, “amare in modo immaturo è amare l’altro per usarlo, amare bene è volere il bene dell’altro. Amare nel matrimonio è voler essere il bene dell’altro”.

Voglio smettere di preoccuparmi della mia tristezza per seminare gioia intorno a me. Voglio che non mi importi tanto se Dio compie miracoli in me. E rallegrarmi dei miracoli nascosti che vedo realizzare in altri.

Voglio che l’invidia scompaia dalla mia anima malata. Smettere di paragonarmi a chi sta meglio di me. E sono tanti. E pensare a qual è il bene che posso fare.

So che questi miracoli possono fare un po’ male, finché il mio amor proprio smette di avere tanta forza in me e riesco a guardare fuori di me, chi soffre di più.

Questo mi insegna Maria quando mi avvicino a Lei chiedendo aiuto e consiglio. Ha saputo negare se stessa perché Dio crescesse in Lei, e ha rivolto il suo sguardo compassionevole verso chi soffriva al suo fianco, soffrendo anche Lei al contempo. Dal suo dolore più profondo ha accarezzato con le mani il dolore degli uomini che avevano bisogno di lei.

Voglio amare così. Consolando. Voglio imparare ad amare con tenerezza.

Commenta Papa Francesco: “La tenerezza è una manifestazione di questo amore che si libera dal desiderio egoistico di possesso egoistico. Ci porta a vibrare davanti a una persona con un immenso rispetto e con un certo timore di farle danno o di toglierle la sua libertà” [2].

Un amore di questo tipo sembra impossibile. Un amore che vince gli egoismi. Un amore decentrato e concentrato solo su chi ne ha più bisogno. Un amore così è opera di Dio. Vince le mie paure, spezza le mie catene.

Voglio imparare ad amare nei dettagli. Rispettando, curando la vita che mi viene affidata. Senza trattenere. Senza voler cambiare chi amo. Un amore libero che libera. Un amore allegro che rallegra. Voglio essere fedele all’amore che Dio ha seminato nella mia anima.

[1] Papa Francesco, Esortazione Gaudete et Exsultate, n. 101.
[2] Papa Francesco, Esortazione Amoris Laetitia, n. 127.

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