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Nel brutto vedere il bello, nell’imperfetto vedere Dio

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padre Carlos Padilla - pubblicato il 30/05/18

Voglio quello sguardo che contempla l'altro come un fine in se stesso, anche se è malato, anziano o privo di attrattive sensibili

A volte mi risulta difficile vedere la bellezza nascosta dietro l’apparente povertà. Scoprire il guadagno quando perdo, e rallegrarmi vittorioso quando sono stato sconfitto.

Non riesco a dipingere a colori ciò che è in bianco e nero, e non so vedere pieno un bicchiere mezzo vuoto. È la tendenza dell’anima. Che non mi lascia vedere il sole nascosto dietro le nubi.

Nel film Campeones, il protagonista ha paura della responsabilità di avere un figlio. Una delle persone disabili gli dice: “Neanche a me piacerebbe avere un figlio come noi. Quello che mi piacerebbe è avere un padre come te”.

Mi ha sorpreso la forza di quella frase nel film. È come un raggio di luce, un cenno di speranza.




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Spesso mi vedo mentre faccio calcoli su ciò che desidero per la mia vita. Progetti, aspettative, sogni. Vesto il mio futuro del colore che mi piace. Senza problemi. Il colore più vivo, quello che mi attira di più.

E non c’è spazio per ciò che è difettoso, imperfetto, limitato, povero, brutto. Curioso. Mi riempio di sogni perfetti in una vita imperfetta. In un affanno inutile per cambiare il colore della vita. E tessere una storia diversa. Con un finale migliore. O passi migliori.

Mi invento decisioni che cambieranno tutto. Decido ciò che voglio e ciò che non voglio. Il numero di figli. Il colore dei loro capelli. Il lavoro che desidero. La persona che voglio amare. Il modo in cui voglio essere amato.

So molto bene cosa voglio e cosa non voglio. Pretendo di tenere le redini di questa vita indomita perché niente di ciò che sogno mi vada male.

Disegno con le mie mani il finale perfetto. Lo scenario meraviglioso. Provo continuamente i passi giusti. Non voglio fallire. L’amore vissuto ed espresso meglio.

Mi fa paura assumere il rischio che le cose non vadano come desidero. Non voglio la disabilità, il limite, la goffaggine, la sconfitta, il fallimento. Non voglio accettare le mie disabilità, né quelle di chi mi accompagna nel cammino.

Mi commuove la risposta che dà una persona disabile nel film al protagonista. Con quelle parole calma le sue paure.

Non deve collegare tutte le estremità. Non deve assicurare la vita perché vada tutto bene. Ha ciò che è importante per essere un buon padre. Quello sguardo gli dà forza. Non deve temere più.

Io a volte temo. Non so se sopravvivrò in situazioni avverse. Non so se saprò amare bene e vedere la bellezza nascosta. Ho bisogno che qualcuno mi dica che ha fiducia in me. Che crede in me.

Ho bisogno di toccare l’amore di Dio su di me, un amore prediletto, che si fa spazio sotto la mia pelle, perché confidi sempre.

Dio mi ama con un amore di predilezione. Non perché ho molti doni, ma perché nelle mie disabilità Dio vede le mie abilità.

Il registo del film, Javier Fresser, aggiungeva un comandamento ai dieci: “Uno degli undici comandamenti della legge di Dio: Non classificare”.




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Io classifico, seleziono, decido ciò che voglio e ciò che non voglio. Allontano da me quello che mi danneggia, ciò che è imperfetto, e scelgo quello che mi beneficia.

Compio passi misurati per non confondermi e temo di scegliere male. Ho paura di non vedere nella realtà il Dio nascosto. Nella bruttezza che detesto la bellezza che amo. Sembra semplice, ma non lo è.

Solo Dio mi dà la capacità di guardare con i suoi occhi. Degli occhi puri che a me mancano.

Voglio uno sguardo come quello di cui parla Papa Francesco nell’enciclica Amoris Laetitia: “L’esperienza estetica dell’amore si esprime in quello sguardo che contempla l’altro come un fine in sé stesso, quand’anche sia malato, vecchio o privo di attrattive sensibili”.

Voglio guardare così la mia vita. Voglio uno sguardo puro e profondo. Capace di amare la bellezza nascosta. Capace di scoprire Dio nel cuore che amo. Il Dio vivo dietro la pelle umana, consumata e ferita.

Non classifico nessuno. Non voglio essere classificato. Sono riflesso di Dio, e per questo non posso rinchiudermi nei limiti che cercano di definirmi.

Sono più delle mie paure e delle mie disabilità. Sono più dei miei sogni e dei miei desideri di infinito. Sono più dell’amore che ricevo e che do. Ho qualcosa di infinito nascosto dietro i miei limiti.

Sono un’immagine imperfetta di un sogno perfetto di Dio sulla mia vita. Questo mi consola. Sono capace di guardare bene chi non mi guarda. E di amare con più forza chi mi disprezza. Guardo al di là delle sue disabilità l’amore di Dio in erba.

Mi piace quell’amore che mi sostiene e mi permette di credere nella mia bellezza. Quell’amore impossibile che non pone condizioni per amarmi. Mi piace sapermi tanto amato, seppur nella mia imperfezione.

Non voglio controllare tutto. Non voglio amare sempre con limiti. Non voglio incasellarmi incasellando. Voglio il tutto e il nulla. Voglio l’amore senza disprezzo. Voglio la vita piena senza limiti.

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