Come avete attraversato finora le difficoltà?
Guardandolo come figlio. Anche nella fatica immane che ci richiede. A volte dico che sono la sua “segretaria”, secondo l’espressione che usò lo psicologo; certo cammina, si lava, parla. Si nutre da solo ma ha bisogno di una “segretaria” sempre. E io avevo fatto studi umanistici non la scuola per “periti aziendali corrispondenti in lingua estera” (sorride, NdR): lui per giunta è curioso per tutte le lingue straniere: appena gli è possibile chiede agli stranieri che incontra come si dice questo o quello. Sono il suo punto fermo; quella che gli ricorda chi è, dove sta, dove deve stare.
C’è stato un momento particolare, una svolta?
Sì. Quando ho cambiato atteggiamento davanti alle innumerevoli figuracce che mi faceva e che continua a farmi fare. Non è solo una normale ironia o capacità di riderci sopra: occorre una specie di capriola. Bisogna essere dei fenomeni per prendere con filosofia le figure epocali che fa fare, sorridere davanti allo sconosciuto che guarda basito tuo figlio, senza vedere e tenere conto che io mamma sono lì, due passi indietro. Uno lo guarda, gli chiede “Chi sei, cosa vuoi?!”. Allora mi faccio avanti io: “Buongiorno, lui è con me, sì. E’ mio figlio”. E così mi sono guadagnata la medaglia d’oro di sorriso davanti alle figure di “emme”. A volte però lo prendo da parte e gliele canto: “Piantala di farmi fare queste figure!” E lui: “ah scusa non avevo mica capito”.
Poi ho fatto un altro passo ancora: non solo ridere ma anche cogliere la verità nascosta nelle sue parole imbarazzanti, nei suoi sguardi che vanno sempre più in là: oltre, dietro, in fondo… E così gli episodi gustosi e commoventi si sono moltiplicati e anche i rapporti umani sono notevolmente migliorati. Più passa il tempo, più vedo la gente che gli vuole bene, lo cerca, ha bisogno dei suoi abbracci. E poi ci sono le sue domande. Non solo quelle buffe: “Come mai sei triste oggi?”
Sì, davvero una domanda grande. Sembra che Nicodemo faccia domande da “Nicodemo”, quello che va di notte da Gesù. Anche se tuo figlio me lo immagino andare ad interpellarlo in pieno giorno, il Signore, e davanti a tutti!
Ho saputo che avete aperto una Sala da Tè a Cento dove lavorano i vostri ragazzi, Nicodemo e altri ragazzi con disabilità, soprattutto con sindrome di Down.
Sì! Anche questa è una cosa bellissima. Abbiamo avuto l’appoggio entusiasta del nostro Arcivescovo, Mons. Zuppi (Cento è in provincia di Ferrara ma Arcidiocesi di Bologna) che tra l’altro ha approfittato della riapertura della Chiesa della collegiata di San Biagio, ancora chiusa dal terremoto del 2012 ed è venuto all’inaugurazione: era il 24 marzo 2018.
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Il tutto è nato grazie ad una associazione di genitori di ragazzi con disabilità, che si chiama Oltretutto. Ora che sono grandi, finite le superiori, rischiano di passare le giornate senza fare niente di costruttivo, invece il lavoro dà dignità, è importante per la promozione vera della persona. Abbiamo pensato di mettere in piedi un’attività adatta a loro, che potesse funzionare sul mercato. Cioè è una cosa bella sul serio, dove i clienti vengono per davvero e ci tornano, dove le cose devono funzionare. Ci sono tante cose da raccontare ma forse servirebbe una seconda intervista…