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Come affrontare il peccato?

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Canção Nova - pubblicato il 28/05/18

I due ingredienti essenziali per il cristiano

San Tommaso d’Aquino dice che esistono due tipi di morte: la prima è quella del corpo, quando l’anima se ne separa, la seconda è quella dell’anima, spirituale, quando questa si separa da Dio. La seconda è la peggiore, e la sua causa è il peccato.

Cos’è il peccato?

Prima di soffermarci sull’analisi dei peccati capitali, è bene conoscere un po’ quello che la Chiesa ci insegna sulla natura del peccato.

Il grande Agostino di Ippona diceva che “il male consiste nell’abusare del bene”, o ancora: “Il peccato è il motivo della tua tristezza. Lascia che la santità sia il motivo della tua gioia”.

Il Catechismo afferma che “il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni” (CCC, n. 1849).

Sant’Agostino e San Tommaso d’Aquino lo consideravano un “disordine”, e dicevano che è “una cosa fatta, o detta, o desiderata contro la legge eterna di Dio” (Faust. 22; S.Th.1-2, 71,6).

Per Sant’Agostino è frutto dell’“amore di se stessi fino al disprezzo di Dio” (De Civitate Dei 14, 21). Gesù insegna che la causa del peccato risiede nel cuore dell’uomo: “Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni. Queste sono le cose che contaminano l’uomo” (Mt 15,19-20).

Peccato mortale

In base alla loro gravità, la Chiesa classifica i peccati in veniali e mortali, seguendo la propria Tradizione.

Il peccato mortale porta il peccatore a perdere lo stato di grazia, ovvero la grazia santificante. Il Catechismo afferma: “Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l’esclusione dal regno di Cristo e la morte eterna dell’inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili” (CCC, n. 1861)

Il Catechismo insegna ancora che “il peccato mortale distrugge la carità nel cuore dell’uomo a causa di una violazione grave della Legge di Dio; distoglie l’uomo da Dio, che è il suo fine ultimo e la sua beatitudine, preferendo a lui un bene inferiore” (CCC, n. 1855).


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San Tommaso d’Aquino spiega che “quando la volontà si orienta verso una cosa di per sé contraria alla carità, dalla quale siamo ordinati al fine ultimo, il peccato, per il suo stesso oggetto, ha di che essere mortale […] tanto se è contro l’amore di Dio, come la bestemmia, lo spergiuro, ecc., quanto se è contro l’amore del prossimo, come l’omicidio, l’adulterio, ecc. […] Invece, quando la volontà del peccatore si volge a una cosa che ha in sé un disordine, ma tuttavia non va contro l’amore di Dio e del prossimo — è il caso di parole oziose, di riso inopportuno, ecc. —, tali peccati sono veniali” (S. Th. 1,2, 88,2; CCC, n. 1856)

È bene notare che perché ci sia il peccato mortale serve che la persona desideri deliberatamente, ovvero sapendo e volendo, una cosa gravemente contraria alla legge di Dio e al fine ultimo dell’uomo.

Perché ci sia peccato mortale, quindi, devono esserci piena conoscenza e pieno consenso, e chi pecca dev’essere consapevole del carattere peccaminoso dell’atto che mette in pratica e della propria offesa alla Legge di Dio. L’ignoranza involontaria, ovvero quella per la quale la persona non ha colpa, può diminuire o perfino eliminare la colpa davanti a una mancanza grave, ma è bene ricordare che Dio ha impresso nella coscienza degli uomini la Legge naturale, ovvero i princìpi della morale (cfr. CCC, n. 1860). La Chiesa riconosce che i movimenti della sensibilità della persona, come i meccanismi delle passioni, le pressioni esterne, i disturbi patologici ecc., in certi casi possono diminuire il carattere volontario e libero del peccato commesso, e quindi la sua colpa (cfr. CCC, n. 1860).

Il Catechismo ricorda che “il peccato commesso con malizia, per una scelta deliberata del male, è il più grave” (CCC, n. 1860).

C’è malizia quando c’è un’intenzione malvagia, uno “sfruttamento del male”, per sagacia, satira, commercio… Il peccato di colui che ha finito per soccombere per debolezza è diverso da quello di chi ha sfruttato il peccato. Ad esempio, è molto più grave sfruttare la prostituzione che caderci per debolezza, anche se entrambe le situazioni sono gravi.

“Perché un peccato sia mortale si richiede che concorrano tre condizioni: È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso” (CCC, n. 1857).

“La materia grave è precisata dai dieci comandamenti, secondo la risposta di Gesù al giovane ricco: « Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre » (Mc 10,19)” (CCC, n. 1858).

La gravità dei peccati può essere più o meno grande in base al danno che ha provocato. Anche la qualità della persona offesa è da considerare. Offendere un genitore è più grave che offendere un estraneo. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, dottore della Morale, dice che il peccato mortale “è un mostro così orribile che non può entrare in un’anima che per lungo tempo lo ha detestato senza rendersi chiaramente noto”.

Il Santo dottore diceva ancora che il peccato mortale è quello che si commette ad “occhi aperti”, ovvero senza avere dubbi sul male che si sta mettendo in atto.

Peccato veniale

Il peccato veniale si verifica quando non si osserva la legge morale in materia lieve, o quando si disobbedisce alla legge morale in materia grave, senza perfetta conoscenza o perfetto consenso (cfr. CCC, n. 1862). Non ci rende contrari alla volontà di Dio e alla sua amicizia; non spezza la comunione con Lui, e quindi non priva della grazia di Dio e del cielo.

Ad ogni modo, i peccati veniali non vanno trascurati perché indeboliscono la carità, impediscono all’anima di crescere nella virtù, e quando vengono accettati liberamente e una persona non se ne pente la portano a poco a poco al peccato mortale.

Sant’Agostino ricorda che “l’accumulo di piccoli vizi comporta il disperare della conversione”. “L’uomo non può non avere almeno peccati lievi, fin quando resta nel corpo. Tuttavia non devi dar poco peso a questi peccati, che si definiscono lievi. Tu li tieni in poco conto quando li soppesi, ma che spavento quando li numeri! Molte cose leggere, messe insieme, ne formano una pesante: molte gocce riempiono un fiume e così molti granelli fanno un mucchio. Quale speranza resta allora? Si faccia anzitutto la Confessione” (CCC, n. 1863).

Cos’è il peccato contro lo Spirito Santo?

Molti chiedono cosa sia il peccato contro lo Spirito Santo. La Chiesa insegna che è quello di chi rifiuta liberamente di accogliere, mediante il pentimento, la misericordia di Dio: “Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata » (Mt 12,31). La misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo. Un tale indurimento può portare alla impenitenza finale e alla rovina eterna” (CCC, n. 1864).




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Il peccato genera nella persona una tendenza al peccato. Possiamo dire che più si pecca, più si è predisposti al peccato. La ripetizione diventa vizio, e così nasce nella persona l’inclinazione alla perversione, si oscura la coscienza e si perde il discernimento tra il bene e il male. Non è senza motivo che Papa Paolo VI ha detto una volta che il peggior peccato di questo mondo è pensare che il peccato non esista. La pratica continua del peccato fa sì che la persona perda la nozione della sua gravità, ma per quanto sia grave il peccato non riesce a distruggere il senso morale alla radice.

Di fronte ai nostri peccati, non serve disperarsi o scoraggiarsi; l’unico atteggiamento corretto è affrontarli con buona disposizione interiore e la grazia di Dio. San Francesco di Sales, vescovo e dottore della Chiesa, diceva che non serve “calpestare la propria anima” dopo essere caduti nel peccato.

Perfino i nostri peccati, se accettati con umiltà, possono aiutarci a crescere spiritualmente. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori diceva che “anche i peccati commessi possono concorrere alla nostra santificazione nella misura in cui il loro ricordo ci rende più umili, più grati per le grazie che Dio ci ha donato, dopo tante offese”.

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