Staccare la spina è sempre un fallimento. La morte con dignità, un diritto. La parola agli studiosi
Come comportarsi di fronte a tutti gli Alfie Evans sparsi nel mondo? Seguendo il gelido modello anglosassone o dando la possibilità, nonostante lo stato semi-vegetativo e le gravi patologie di cui soffrono e per cui non c’è cura, di essere accompagnati ad una morte dignitosa?
Intanto Papa Francesco, parlando alla Conferenza internazionale sulla Medicina Rigenerativa promossa dal Pontificio Consiglio della Cultura, in collaborazione con la “Cura Foundation, Stoq e Stem for Life Foundation”, ha lanciato un messaggio molto chiaro a chi pensa che la fredda sentenza di medici e scienziati sia la soluzione al problema.
I limiti della scienza secondo il Papa

La Chiesa, ha spiegato il Papa, elogia ogni sforzo di ricerca e di applicazione volto alla cura delle persone sofferenti ma ricorda anche che non tutto ciò che è tecnicamente possibile o fattibile è per ciò stesso eticamente accettabile.
La scienza, ha aggiunto il Pontefice come qualsiasi altra attività umana, sa di avere dei limiti da rispettare per il bene dell’umanità stessa, e necessita di un senso di responsabilità etica. La vera misura del progresso, come ricordava il beato Paolo VI, è quello che mira al bene di ogni uomo e di tutto l’uomo (cfr Lett. enc. Populorum progressio, 14) (Avvenire, 28 aprile)
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Un’alleanza strategica
Un confronto tra docenti universitari, medici e bioeticisti al Campus Biomedico di Roma su “La lezione di Alfie” – che si è svolto il 23 maggio – ha spiegato perché ad Alfie Evans o Charlie Gard (o a tanti altri casi come loro), bisognava dare una risposta completamente diversa e non limitarsi a “staccare la spina”.
Il professor Vittoradolfo Tambone, sacerdote e ordinario di bioetica Università presso il “Campus Biomedico” di Roma pone almeno due questioni. «Indipendentemente se era giusto o meno tenere in vita Alfie e Charlie – afferma – si registra nella gestione di questi due casi un fallimento del rapporto tra medico e paziente. Arrivare a dirimere la questione delle cure con l’intervento di un giudice è stata una pagina negativa. Bisogna recuperare una capacità di comunicazione e condivisione, perduta, ripartendo da un’alleanza terapeutica tra paziente, medico, famiglia».
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Il “best interest”
Altro problema irrisolto è quello del migliore interesse per l’ammalato. «Qual è il “best interest” del paziente? Il giudice conosceva Alfie o Charlie? Chi conosceva davvero il “best interest” dei due piccoli, se non la famiglia?», domanda Tambone.