Oggi è stato un po’ il “compleanno liturgico” di mia figlia. Il primo. Nel senso che l’anno scorso era l’alba di Pentecoste, il 4 giugno, quando quel frugoletto pieno di vita e di moine è venuto alla luce. Mancano due settimane esatte al “compleanno astronomico”, e accingendomi a qualche bilancio già avverto che quest’anno è volato come il vento proprio mentre la presenza nuova della piccola obbligava tutti noi, sua famiglia, a riscoprire daccapo ogni meraviglia del mondo e nell’universo.
«I cuori che Tu hai creato»
Particolarmente felice, stamattina, mi è sopraggiunto il ricordo dei primi istanti che passavo con lei, quando le ostetriche mi chiamarono a farle sentire la mia voce perché il suo pianto si calmasse. La salutai e le dissi le parole che il mio cuore di padre accendendosi rombò, e poi volli cantarle qualcosa: neanche un secondo per scegliere e già stavo intonando il tono simplex del Veni Creator Spiritus. Mai nella vita mi ero trovato davanti a una mia opera che tanto formidabilmente mi oltrepassasse, da quanto era soprattutto opera di Dio:
Il Signore completerà per me l’opera sua. Signore, la tua bontà dura per sempre: non abbandonare l’opera delle tue mani.Ps 137,8
E conseguentemente cantavo:
…imple superna gratiaquæ Tu creasti pectora.(trad.: …riempi della grazia soprannaturale,
i cuori che Tu hai creato)
Oggi ho visto due volte Fausto Filippone, prima che si uccidesse
Pensavo queste cose mentre mi recavo con moglie e figlia in chiesa. Oggi era giorno di festa, per la mia famiglia, perché un mio carissimo figlioccio riceveva la prima Comunione, in un paesello vicino a quello dei miei genitori; quindi con gioia abbiamo valicato gli Appennini per raggiungere l’Abruzzo. La messa celebrata in quella chiesa, ancora ordinariamente chiusa dal terremoto del 2009 (e che tante e tante volte prima avevo visitato senza immaginare la presente stagione…), aveva un sapore particolare… come una speciale premonizione pasquale.
Eravamo stati invitati a Lanciano per pranzo, la scelta dell’autostrada quasi s’imponeva. Dopo pochi km (per la precisione eravamo al km 390 della A14, in direzione sud), un improvviso rallentamento ci si segnalava per le espressioni concitate della polizia e degli agenti del soccorso stradale: di lì a pochi metri avremmo visto Fausto Filippone, il quarantanovenne dirigente della casa di moda Brioni – si teneva aggrappato al reticolato-parapetto che prosegue in alto ben oltre il guardrail. Impossibile capire oltre, la polizia intimava di procedere senza indugiare. S’intuiva l’intento suicida dell’uomo (del quale naturalmente ignoravo ancora tutto): quei ponti sono purtroppo tristemente frequentati da persone disperate.
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Al ristorante – parlando del dolorosissimo caso della piccola Giorgia, la pisana morta disidratata in automobile per la fatale dimenticanza del padre – una commensale ha tirato fuori qualche brandello della storia di Filippone, che avrebbe buttato dal ponte la figlia prima di sporgersi a sua volta oltre il parapetto. Momento di atroce sgomento: stavo pensando a come si potesse sopravvivere a un rimorso come quello del padre di Giorgia (e di molti, troppi, altri genitori…), e mi dicevo che non riuscivo a immaginarmi di trovarmi al suo posto senza considerare seriamente l’opzione di abbandonarmi alla disperazione e di tuffarmi da un ponte. E proprio quell’uomo che avevo visto mezz’ora prima, a quanto mi diceva quella sconosciuta seduta a tavola con me, doveva aver appena scaraventato nel vuoto, di propria iniziativa, una creatura… la “sua” creatura, quella di cui doveva essere supremamente responsabile. San Giuseppe mio… stavo avendo un mancamento proprio lì al tavolo.
«Se quella vita non c’è, se è un’invenzione de’ preti; che fo io?»
Poco dopo ci siamo rimessi in strada e – non avendo più notizie “ufficiali” – ci siamo stupiti di trovare la stessa scena, benché osservandola dall’altra carreggiata (quella in direzione nord). Frattanto qualche informazione faceva capolino: la bambina non era sua, ma della compagna; costei era ricoverata dal mattino presto in ospedale per una “strana” caduta dal quarto piano, avvenuta a Chieti Scalo (sarebbe poi morta nel pomeriggio); della bimba nessuno sapeva niente di sicuro, perché l’uomo minacciava di buttarsi di sotto se qualcuno si fosse avvicinato all’ormai immobile spoglia della dodicenne, silente nella macchia 30 metri di sotto. In aggiunta alle pantere della Polizia si riconoscevano ora una camionetta dei Pompieri e una gazzella dei Carabinieri: uno dell’Arma era riverso sul cofano della macchina a due metri da Filippone, gli parlava cercando di distoglierlo dall’(ennesimo) insano proposito.
L’assurdo alla base della pretesa eutanasica
Due pensieri mi hanno immediatamente attraversato la mente:
Quante istituzioni e quanti uomini si sono mossi per venire qui su questo ponte, magari lasciando sguarniti altri punti strategici ordinari e forse perfino a costo di pubblici danari… tutto per tentare di salvare una persona che a ciascuno appariva perlomeno un vilissimo criminale, un bastardo assassino a cui una parte di noi rabbiosamente augurava di togliere presto il disturbo. Queste istituzioni e queste persone stavano addirittura accettando l’assurdo ricatto dell’assassino, che le costringeva a non verificare le condizioni della bambina: vero, la possibilità di sopravvivere dopo una caduta da quell’altezza su rami e rocce era praticamente solo teorica, mentre Filippone era certamente vivo.
Mi sovveniva allora la splendida pagina sull’autoambulanza in Mrs. Dalloway di Virginia Woolf (in fondo il romanzo parla essenzialmente di suicidio): c’è un che di commovente nell’istantaneo coagularsi del pubblico affetto nei confronti di un membro della società la cui vita sia improvvisamente sospesa a un filo. Perfino quando questo filo fossero le sue proprie mani. Ecco dimostrata nei fatti, una volta di più, l’assurdità di quanti auspicano che lo Stato italiano insegua il Belgio nella folle deriva eutanasica che nella giornata di oggi (come in tutte le giornate negli ultimi anni) ha ucciso legalmente sei belgi abbondanti. Non solo non basta l’autodeterminazione, ad approvare in via pubblica e istituzionale una volontà di morte (per quanto manifesta e ostinata); non basta neppure una palese e grave reità direttamente connessa allo stallo finale (nemmeno se particolarmente odiosa e laida, come era questa di oggi).
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«Nihil est in homine»
E il pomeriggio sarebbe risultato già abbastanza sconvolgente senza aggiungere le corbellerie di Repubblica, la cui chiave di lettura più intelligente non va oltre l’hashtag #metoo e la parola d’ordine “femminicidio”: nessuno sa ancora niente (e se i soli a sapere i fatti veri fossero stati l’uomo, la donna e la bambina, probabilmente nessuno saprà mai niente), ma poiché è certo che una donna e una bambina sono entrambe esemplari femmine della specie umana, evidentemente siamo davanti a un caso di “duplice femminicidio”. Che diremo allora di Stephanie Adams, che pochi giorni fa si è gettata dal 25esimopiano di un grattacielo di Manhattan col figlio Victor, di 7 anni? Morti anche loro due, e il sospetto movente è un’antica ruggine con l’ex marito: maschi entrambi l’uomo e il bambino – che parola dobbiamo usare, secondo i cervelloni della stampa mainstream? La verità vera invece è un’altra, ed era stata cantata stamane in tutte le chiese cattoliche del mondo, proprio prima del Vangelo:
…sine tuo numinenihil est in homine,nihil est innoxium.(trad:…senza la tua deità
nulla è nell’uomo,
nulla che non sia nocivo)
Riguardo il video del leopardo che accudisce il figlio della babbuina da lui appena cacciata e mi dico: non c’è qualcosa di meritorio nell’essere teneri verso i cuccioli… i membri di una specie conducono semplicemente un’esistenza “ordinata” – ossia secundum rationem – quando fanno tutto il possibile per accudire un cucciolo, della propria come di un’altra specie.
Chiaramente nel caso dei cuccioli d’uomo a questa considerazione si aggiunge tutta una valenza trascendente che affonda le radici nel ministero della deità unitrina (e che si svela nel modo più splendido nella Pasqua di Gesù), ma perché la teologia non appaia “un astratto teorema celeste” (Kant) vorrei azzardare ora una considerazione forse un po’ forte ma – credo – non lontana dal vero: episodi barbarici come quello di Filippone durerebbero molta più fatica, ad accadere, se nel nostro contesto culturale non fossero ormai dati assodati e “pacifici” il divorzio e l’aborto.
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Sì, penso che le due “medaglie al valore” rivendicate dai Radicali – proprio perché si tratta di falsi diritti, e quindi inevitabilmente di angherie contro diritti veri – siano le principali cariche eversive che hanno sdrucito il tessuto di cui oggi abbiamo visto una sconcertante lacerazione.
La donna “caduta” dal balcone stamane era la seconda moglie di Filippone, la bambina era figlia naturale di entrambi (Dobbiamo in questo correggere quanto anche qui avevamo affermato, fidandoci di agenzie e testate che si sono rivelate approssimative e imprecise: non si tratta della figlia della sola donna, e i due si erano sposati, in seconde nozze, nel 2006, N.d.A.): voci risalenti a presunti testimoni presenti sul luogo del delitto parlano del volo della bambina “senza neppure un grido”. L’autopsia potrà dunque confermare le cause e l’ora del decesso della piccola, e questo potrebbe forse gettare un po’ di luce sulla vicenda.
Ma come si diventa tanto insensibili all’innocenza dei bambini, a maggior ragione se figli propri? In realtà uno o è padre (e in questo si conforma al Padre «da cui trae nome ogni paternità in cielo e in terra» – Eph 3,15) oppure «è omicida fin dal principio» (Io 8,44), e davvero tertium non datur – le narrazioni epiche dei figli di Riina stanno a zero.