Maggio procede spedito tra piogge e giornate quasi estive, tra roseti carichi di fiori e devozioni mariane fresche e odorose. Rosari e litanie si ripetono la sera nei giardini delle case o in parrocchia. E assomigliano al piacere non alla noia
«Basta con questa litania! » O anche: «hai finito di sgranarmi rosari?»
Sono espressioni, forse destinate all’oblio, impiegate per intimare a qualcuno che la smetta di annoiarci con interminabili elenchi; che sospenda la nenia di lamentele e recriminazioni dette in fila l’una dietro l’altra e con lo stesso identico tono. E questo perché era esperienza più comune, un tempo, sentire recitare preghiere mariane accordandosi sulla stessa nota, con un ritmo comune e forse anche con una condivisa noia. E allora per dire di cose tediose, insulse, inflitte all’orecchio di un interlocutore che non può fuggire si sono prese in prestito queste parole.
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Ma come altre volte si fa per tornare al senso centrale quasi fosse il fusto da cui partono rami per slanciarsi fino alle foglie così ho fatto ora. Per sapere di cosa stiamo davvero parlando quando diciamo “litanie”. Quelle che vengono dopo i rosari sgranati. Cercare il significato delle parole, il senso di un termine che abbiamo saputo spiegare fino ad ora solo con sé stesso, è come risalire un fiume che da limaccioso e largo si scopre limpido e vivace nelle acque appena spinte fuori alla sorgente.
Litania: il significato viene dritto dritto dal greco, passando per il tardo latino ecclesiastico.
Significa invocare con preghiere. Da λιτανεία, der. di λιτανεύω «invocare con preghiere», da λιτή «preghiera, supplica». La radice di litaneio è la stessa di lipto che significa desidero, voglio, ho piacere. (Confronta Treccani ed il sito etimo)
Non è bello vedere la foce a delta di questo fiume che credevamo pronto a seccarsi?
Litania, che anche i migliori tra noi avranno connotato qualche volta come cosa noiosa, e insulsa trattiene in sè lo stesso guizzo vitale di desiderio e piacere.