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La lavatrice sulle scale (verso il Cielo) con un musulmano (VIDEO)

TULIP STAIRS

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Breviarium - Giovanni Marcotullio - pubblicato il 17/05/18

Una lavatrice da portare nella casa nuova e due padri, anzi tre. C'è anche Iddio che ci guarda e come Lui ci guardano i nostri figli, anche mentre non ci vedono

Questa ve la dovevo raccontare, anzi avrei voluto trovare prima qualche minuto per sedermi a scriverla: una vicenda di poco conto, da un certo punto di vista, ma molto emblematica per altri aspetti. Domenica mattina avevamo la presentazione della lista del Popolo della Famiglia, insieme con le altre concorrenti e alleate, ad Anzio: avevo intenzione di approfittare del tempo morto prima dell’appuntamento per anticiparmi qualche tassello “meno agile” del nuovo trasloco che a breve con la mia famiglia affronteremo. «La lavatrice!», mi sono quindi detto: «Approfitto del fatto che vado solo in macchina e la porto a casa prima di andare».


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E come l’avrei portata al secondo piano? – Diamine, mi rispondevo, vuoi che non si trovi un uomo di buona volontà, tra la parrocchia e il bar, che sono entrambi sotto casa e uno dirimpetto all’altro? Avevo comunque intenzione di offrire al generoso collaboratore una bella colazione per ringraziamento… Quindi andai senza frapporre altro indugio. Giunto che fui in loco, imboccai dapprima l’uscio del fioraio, ed esposi in breve la situazione:

– Sì, capisco, e mi creda: l’aiuterei io, ma oggi è la festa della mamma, mi aspettano a Lavinio tra 15 minuti e sono già sensibilmente in ritardo. Mi scusi.

Ci mancherebbe, il lavoro è lavoro. Passai allora di fronte alla chiesa, che aveva l’aria di aver ospitato una funzione fino a pochi minuti prima. Difatti stava lì fuori, come chi si gode il meritato riposo, un prete minuto col colletto slacciato. Esposi anche a lui la faccenda:

– Eh, vede bene che non ce la faccio… però tra poco dovrebbe arrivare un frate messo molto meglio di me… lei ha fretta? [io rispondo che in realtà sì, starei con i tempi ben serrati] Beh, non ha senso che lo chiami perché a quanto so è già per strada, però se non può aspettare non so che dirle…

Chiesi allora al parroco: «Ma quelli che vedo lì al chioschetto saranno disponibili, secondo lei?». «Non so che dirle – fu la risposta –, non sono persone del quartiere e non ricordo di averle già viste». C’erano tre persone che avrei detto indiane o pakistane dall’aspetto, e mi dissi: «Vabbe’, di solito gli immigrati sono gente di buon cuore…». Andai quindi quasi pensando di avere già la lavatrice in bagno e uno dei tre (forse quello che parlava meglio l’italiano) mi disse: «Guarda, non è per cattiveria ma noi ce ne dobbiamo andare proprio tra un minuto…». A tutti comunque indicavo la casa, lì a venti metri, per significare che un minuto no, ma non ce ne sarebbero voluti più di due o tre dall’entrata all’uscita. Però niente.

A quel punto arrivò al chioschetto un egiziano che avevo già visto, perché gestisce l’autolavaggio lì dietro (anche io gli ero rimasto impresso fin dalla prima volta che l’avevo visto: riconsegnandomi l’automobile pulita mi chiese “Ma da quanto tempo non la lavavi, questa macchina?” – ehm…). Si sedette come per concedersi un momento di ristoro dal lavoro e questo mi fece titubare. Poi però pensai alla mia tabella di marcia e mi feci avanti. Abbassò gli occhi come per una seccatura, poi mi disse: «Va bene, andiamo». E io: «Ma no, se è un disturbo no, davvero… anzi mi farebbe piacere far colazione insieme, appena scendiamo». E lui: «La colazione l’ho fatta, ma adesso portiamo la lavatrice in casa».




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Portata che l’avemmo, ristemmo qualche minuto a parlare dell’appartamento e degli impianti. Scendendo le scale tornai a parlare della colazione con cui speravo (se non di sdebitarmi) di mostrare perlomeno un segno tangibile di gratitudine: «No, davvero, io ho già fatto colazione…» – «Ma se non un caffè, insistevo io, un succo di frutta, un cornetto… qualcos’altro insomma…».

L’uomo si fermò lungo le scale e mi disse – più per il desiderio di esprimersi che per un’adeguata padronanza della lingua –:

Ascolta, due anni fa io ero praticamente morto: ho subito un intervento al cuore e al fegato [e frattanto con le dita tracciava sulla camicia le linee dei tagli, forse ricalcando cicatrici della pelle sottostante]. Prima di operarmi il dottore mi ha detto: «Hai solo una possibilità su cento di risvegliarti». Ma vedi… vedi… Allah è grande!

«Allah è grande!» – non potei fare a meno di annuire ripetendo. E a quel punto la colazione era diventata per me un interesse pressante: continuai a insistere perché volesse accettare il mio segno di gratitudine, anche come pegno di gioia per la sua stessa gratitudine. E alla fine accettò. Mentre il barista ci faceva due cappuccini l’uomo mi ripeteva ancora la storia dell’operazione dalla prognosi altamente infausta, e proseguiva stavolta:

…Vedi, Allah è grande e noi dobbiamo sempre comportarci come se ci stesse guardando, perché non solo lui ci vede, ma anche i nostri figli ci vedono… ci vedono anche quando non ci guardano, e solo lasciandoci osservare con quell’attenzione possiamo farli crescere bene… insomma, meglio che possiamo…

E proseguiva raccontandomi dei suoi due ragazzi, che mandano avanti l’autolavaggio con lui e che intanto cercano di studiare bene l’italiano per andare all’università: «Uno dei due vuole fare ingegneria informatica!», mi diceva tutto contento (ma senza perdere la compostezza). «Anzi, ti dispiace se il mio cappuccino lo riporto ai miei figli?». Il meglio che seppi rispondere fu: «Beh, mi dispiace se glie ne riporti uno solo invece di due», e chiesi al barista di preparargliene due.

<blockquote class=”twitter-tweet” data-lang=”it”><p lang=”fr” dir=”ltr”>Terrible idéologie islamiste qui parvient à convaincre un jeune de 20 ans qu’il rend gloire à son dieu en attaquant des passants innocents. Le combat sera aussi culturel et spirituel contre les idéologies de mort qui captent le cœur de tant de jeunes <a href=”https://twitter.com/hashtag/attentat?src=hash&amp;ref_src=twsrc%5Etfw”>#attentat</a> <a href=”https://twitter.com/hashtag/terrorisme?src=hash&amp;ref_src=twsrc%5Etfw”>#terrorisme</a> <a href=”https://twitter.com/hashtag/daech?src=hash&amp;ref_src=twsrc%5Etfw”>#daech</a></p>&mdash; Abbé Grosjean ن (@abbegrosjean) <a href=”https://twitter.com/abbegrosjean/status/995624929893801992?ref_src=twsrc%5Etfw”>13 maggio 2018</a></blockquote>
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Ecco, arrivando lì in piazza credevo di entrare nel copione del “buon samaritano” – e tanto io m’ero accomodato nella parte più facile di tutte (ancorché la più scomoda): quella del tizio malmenato – ma così facendo mi ero lasciato andare a una lettura ideologica del Vangelo, perché davo per scontato che sarebbe stato “lo straniero” ad aiutarmi. Strano, mi sono detto, perché ho particolarmente in odio quella stortura marxista e pauperista… Invece ciò che rende speciale e “buono” il Samaritano della parabola1non è tanto l’essere straniero, ma il tenerlo costantemente a mente (con l’albergatore parla già di futuri viaggi come di cose che sicuramente dovranno esserci). Così dice infatti la legge di Israele:




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Non lederai il diritto dello straniero e dell’orfano e non prenderai in pegno la veste della vedova,ma ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore tuo Dio; perciò ti comando di fare questa cosa.Quando, facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche mannello, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova, perché il Signore tuo Dio ti benedica in ogni lavoro delle tue mani. Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornerai indietro a ripassare i rami: saranno per il forestiero, per l’orfano e per la vedova.Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare: sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova.Ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese d’Egitto; perciò ti comando di fare questa cosa.Dt 24,17-22

Quell’egiziano musulmano si ricordava di essere uno straniero e di aver ricevuto le promesse di un riscatto: per questo trovava perspicuo rinunciare a cinque minuti di meritato riposo per aiutare uno sconosciuto. Perché davvero الله أَكْبَر.

E se Franco Nembrini ha potuto lecitamente trovare tutta la sintesi del cristianesimo nella vicenda di un falegname che si fabbrica un burattino di legno – e lo ha fatto fino a ieri sera, proprio ad Anzio2 – faremo bene tutti quanti a imparare la lezione dell’uomo dell’autolavaggio: si parlava sempre e comunque di padri, di figli da educare, del viaggio della vita. E del cielo stellato.

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