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Posso ottenere quello che sogno se mi sforzo?

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padre Carlos Padilla - pubblicato il 15/05/18

Posso sempre sognare, e anche sperare e lottare per ciò che voglio. Essere campione o vicecampione, invece, non dipende solo da me

Quando ero piccolo, avrò avuto tre o quattro anni, mi piaceva prendere delle pietre mentre camminavo. Le prendevo in un punto e le portavo in un altro. Pietre pesanti. Le portavo con grande sforzo, perché ero piccolo e per me erano grandi.

Oggi guardando le foto di quell’epoca non capisco bene il senso di tanto sforzo. Forse ero orgoglioso della mia forza.

Forse competevo con me stesso. Mi prefissavo una meta. Un luogo lontano. E dicevo a me stesso che l’avrei raggiunto. E lo facevo.

Vedo mia madre dietro di me in una foto mentre sorride. Cosa avrà pensato?

Quello che facevo non aveva senso per un adulto. Non aveva alcun senso quello sforzo vano senza ricompensa, senza premio. Ma io sudavo prendendo una pietra inutile, troppo pesante per me. Quello sforzo, forse, ha formato la mia anima.

Giorni fa ho visto un film che mi ha commosso, Campeones. Racconta la storia di alcuni bambini con disabilità mentale che sognano di vincere un titolo di basket. Un sogno impossibile. Una meta lontana. La vita stessa. La realtà.

Hanno una disabilità. Una pietra apparentemente troppo pesante. Ma non per questo vedono degli ostacoli nel lottare per quello che vogliono.

A volte corro il rischio di incasellare le persone. Le classifico e decido cosa possono e cosa non possono ottenere nella vita.

Le incasello per le loro disabilità, e in base a queste fisso dei limiti per loro. Non ha senso che si sforzino per una meta illusoria. Non la raggiungeranno. Le scoraggio.

È vero che c’è un falso mito che a volte mi attira: “Sogna, sforzati, lotta e otterrai ciò che vuoi”. C’è qualcosa di falso e qualcosa di vero in questo mito che mi vendono per darmi forza. Ciò che è vero è che i sogni vanno coltivati.

È bello sognare al di là della povertà della mia vita. Al di là delle mie disabilità. Per non deprimermi e non perdere la speranza. Per non vivere nella disperazione.

Diceva lo psichiatra Viktor Frankl: “Nel momento in cui vedi un senso nella tua sofferenza puoi modellarla in un successo; puoi trasformare la tragedia in un trionfo personale, ma devi sapere perché. Se le persone non riescono a trovare alcun senso in assoluto alla propria vita, forse hanno qualcosa con cui vivere, ma non avranno niente per cui vivere”.

Sognare mi riempie di speranza. Un motivo per cui lottare. E giustifica che percorra molti metri con una pietra pesante tra le braccia. Per me ha un senso.

Si giustifica nel mio cuore. Perseguo un sogno. Forse sono solo io a vederlo. Non importa. Non mi scoraggio. La lotta, il cammino, lo sforzo, il sudore hanno già senso, e questo mi riempie di speranza.

Ciò che non è vero di quella prima affermazione è che non sempre arriverò alla meta. Non sarò sempre campione. Non trionferò in tutte le mie battaglie.

Forse il mio sogno iniziale cambia col passare del tempo, e lo sforzo apre altri orizzonti che mi illuminano la via.

Non smetto di sognare, ma non sempre otterrò quello che sogno. Ciò che conta è il sogno e la lotta. È donare la vita nel cammino, non tanto essere campione.

Mi piace quando quei ragazzi disabili affermano di “avere capacità diverse”. Diverse da quelle a cui dà valore il mondo. È vero. Hanno capacità che forse io non ho. E io ho disabilità che loro non hanno.

E forse il mondo valorizza certe capacità, solo alcune, certe più di altre. E classifica in un luogo a parte chi non ha quelle capacità tanto valorizzate.

Loro, con le loro disabilità, lottano per quello che vogliono, e come me hanno bisogno che qualcuno creda in loro, confidi in loro. E li esorto a lottare per quello che possono fare con la loro vita.

Mi piace quello sguardo positivo sulla vita. Posso sempre sognare, e anche sperare e lottare per ciò che voglio. Essere campione o vicecampione, invece, non dipende solo da me. Dipende da altre circostanze.

E allora alla fine del cammino devo rallegrarmi come loro nel film, che si godono il successo di chi ha vinto e parlano con semplicità di ciò che accade ad essere campioni o vicecampioni.

La felicità non risiede sempre nell’essere campioni, nel vincere tutte le battaglie. Il prefisso “vice” può essere un’opportunità, una finestra, una forma di trarre il meglio di me. Dipende dai miei occhi.

Forse lo sguardo dei bambini mi farà godere di più il mio cammino. Il fatto di soffrire portando una pietra pesante tra le mani con lo sguardo posto su una meta impossibile.

Ciò che dà senso alla mia sofferenza è la meta che perseguo. L’orizzonte ampio di un cielo pieno di stelle, in cui la mia vita ha senso e vale la pena. Con le mie capacità e disabilità. Non importa. E non smetto di credere nelle stelle che segnano il mio cammino.

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