Scendendo ancor più nello specifico, afferma Carpiniello:
Attualmente il 20% della popolazione afferente ai Dipartimenti di Salute Mentale è costituita da persone affette da schizofrenia. Il resto è costituito per circa il 31% da disturbi dell’umore (depressione maggiore 23,5 e disturbo bipolare 7,5%) , il 13.5% da disturbi nevrotici (quali disturbo ossessivo compulsivo, da stress post-traumatico, di panico o da ansia generalizzata) . Una quota significativa invece è costituita da disturbi della personalità, il 7%, mentre il resto da altri disturbi in parte dipendenti da uso di sostanze, 18%”, mentre il 4,5% riguarda dalle cosiddette dipendenze comportamentali, come la dipendenza da gioco d’azzardo o da Internet.
Il percorso di terapia psicologica e la cura farmacologica sono senz’altro elementi imprescindibili per intervenire sulla malattia depressiva. Non meno rilevante è però dare un nome complessivo a questa ferita di cui così tanti sentono il morso, eppure non sempre hanno la libertà di confidare apertamente.
La nota psicoterapeutaAlessandra Lancellotti associa la depressione alla nostalgia di Dio, per offrire lo sguardo giusto attraverso cui intraprendere un viaggio positivo di cura:
Il punto è lo slegamento dell’uomo moderno da Dio, dall’Entità superiore, un essere umano separatosi dalla sua natura stessa. Una società liquida quella attuale, dove non ci sono riferimenti valoriali definiti, ma una melassa di falsi idoli e un terreno fertile per il male oscuro e la malattia insita dell’uomo con la distanza dalla sua Origine. […] Dopo Nietsche Dio è morto e cosi con l’Illuminismo, la nostalgia di Dio fa ammalare.
È stata lei ha studiare il nesso «umore-tumore», cioè l’elemento sentimentale ed emotivo che interviene sia nell’aggravamento sia nella cura della malattia:
«È stato provato scientificamente – racconta la dottoressa Lancellotti – che le persone che hanno un proprio credo riescono ad avere difese immunitarie più forti perché sviluppano noradrenalina ed endorfina sostanze che stimolano la piacevolezza» (daIl Giornale).
Quell’implorazione di Agostino, la necessità di dare un nome e un volto al nostro Destino, ha dunque una traduzione corporea precisa.
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