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Perché certi monaci e certe suore vivono “dietro le sbarre”?

CLOISTER NUN

Albertus teolog | CC BY SA 4.0

Philip Kosloski - pubblicato il 11/05/18

Può sembrare una prigione, ma il chiostro è considerato un dono di Dio

Quando si parla di ordini religiosi, il fatto che certi uomini e certe donne vivano “dietro le sbarre” può confondere alcuni. Il “chiostro” può essere un concetto strano, ma è molto più di quello che sembra.

La parola “chiostro” deriva da latino claustrum o clostrum, che significa “spazio chiuso”. Parlando in senso pratico, un chiostro si riferisce a un’area chiusa all’interno delle mura che circondano un monastero. L’architettura sottolinea il fatto che molti religiosi si impegnano a vivere fisicamente separati dal resto del mondo. Non escono quasi mai dalle mura del chiostro, tranne che in rare occasioni per appuntamenti necessari, come una visita medica. Se un familiare o un amico fa loro visita, si vedono in una stanza speciale in cui il monaco o la monaca è visibile dietro una parete schermata o una grata metallica.

Questi monaci e queste religiose scelgono uno stile di vita particolare, concentrando la propria attenzione su Dio, non permettendo ad alcun interesse o interazione del mondo di distrarli.

Seguono da vicino le parole di Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi” (Matteo 19, 21). Non è una cosa facile da mettere in pratica, e Dio non chiama chiunque a seguire uno stile di vita così radicale.

La chiamata alla clausura è uno splendido dono di Dio, che porta alla libertà, non alla schiavitù.

Una domenicana di nome suor Mary Catharine lo ha spiegato in una lunga intervista:

“Il chiostro ci libera immensamente! Uno dei più grandi timori di chi discerne una vocazione contemplativa è che il chiostro viene visto come un modo per schiacciare la libertà, ma è esattamente l’opposto.

Il chiostro ci amplia. Ci libera da tante preoccupazioni, anche cose semplici come non curarsi di una macchia sullo scapolare! Questa libertà non è tanto da qualcosa ma per qualcosa, anzi, per Qualcuno!

La clausura è il ‘giardino chiuso’ del Cantico dei Cantici. La nostra vita è completamente concentrata su Cristo, nostro unico Sposo. La clausura papale è un grande dono che la Chiesa ci permette per vivere bene la nostra vita contemplativa.

Quando devo lasciare il chiostro per qualcosa di necessario sono sempre felice di tornare. Il mondo è così rumoroso, a livello sia uditivo che visivo. Non capisco come la gente riesca a mantenere la sanità mentale!”

Un’altra monaca di clausura ha spiegato al New York Times che “si va in convento per cercare la solitudine e si trova Dio, e si trova se stessi”.

Sorprendentemente, una vita dedicata alla preghiera, anziché isolare una persona dal mondo, ce la avvicina molto di più. Come ha aggiunto una religiosa, “come presenza fisica nel mondo potrei essere solo una persona con due mani e due piedi, ma attraverso la preghiera ho sentito che potevo raggiungere un maggior numero di fratelli e sorelle. La dimensione spirituale non ha limiti”.

San Giovanni Paolo II ha affermato il valore della vita claustrale nella sua lettera ai consacrati: “Gli istituti dediti interamente alla contemplazione, occupandosi solo di Dio nella solitudine e nel silenzio, in continua preghiera ed intensa penitenza, pur nell’urgente necessità di apostolato attivo, conservano sempre – ricorda loro il Concilio Vaticano II – un posto eminente nel Corpo mistico di Cristo”.

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