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«Ti amo così tanto che ti voglio perdere», ogni madre è questo paradosso bello e terribile

MADRE, FIGLIO, ABBRACCIO

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Annalisa Teggi - Aleteia - pubblicato il 09/05/18

Su Rai 3 lo psicanalista Massimo Recalcati parla della figura materna e la sintetizza con tre verbi: «eccomi!», «ti curo», «ti lascio».

Si chiama Lessico famigliare il nuovo programma di Rai 3condotto da Massimo Recalcati, psicanalista e accademico italiano, che in quattro puntate si occuperà di approfondire altrettanti archetipi su cui si fonda la nostra società: la madre, il padre, il figlio, la scuola. Il conduttore propone le sue riflessioni, anche molto specifiche e complesse, con una lingua efficace e approfondimenti audio e video. Al termine, uno spazio di domande fatte dai presenti.

Il 7 maggio è andata in onda la prima puntata dedicata alla madre e sono stati 45 minuti densi, affascinanti, stimolanti.
Chi è la madre? Domanda delle domande. Così semplice, così esperienziale, eppure così visceralmente complessa.




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Partendo da un quesito posto a Recalcati a fine programma, comincio a mettere in fila alcune osservazioni proprio dalla sua chiarezza in merito al bisogno di non perdere questi due nomi «madre» e «padre»: ai tempi della svolta ideologica che benedice il «genitore 1» e «genitore 2»

«bisogna salvaguardare la specificità della figura materna e di quella paterna».

L’una – propone lo psicanalista – è difensore della cura per la persona in un mondo dominato dall’incuria; l’altro è il custode del senso umano della legge in un mondo anarchico. Anche solo questa distinzione andrebbe letta, riletta e meditata con calma.

«Eccomi!» una madre è innanzitutto le sue mani

Ma il tema specifico della puntata è la madre e il conduttore si cala nell’argomento senza premesse edulcorate: un video mostra una mamma che tiene stretto alle sue mani il figlio che sta cadendo dal balcone.

«Il primo volto della madre sono le sue mani, Freud definisce la madre come il primo soccorritore».
MANI, RODIN, SCULTURA
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Rodin, Mani

Non c’eri e ci sei. È questo il primo guizzo materno che una donna sente, guardando le due barrette rosse sul test di gravidanza. Lo specifico io, deviando, e in parte contestando, il discorso di Recalcati che invece separa la maternità dall’utero. Lui dice «un utero non fa una madre»; invece sì. Se non ci fosse questa umiltà di base, per cui non è la donna a decidere la vita ma è lei ad accorgersi che essa accade nel suo corpo, allora il castello dell’accoglienza vacilla. L’affondo successivo del conduttore è bellissimo alla luce della totalità della vita, dal concepimento, non solo da quando il bambino viene alla luce:

Noi tutti abbiamo fatto esperienza del rischio che la nostra vita cadesse nel vuoto; e quando abbiamo trovato qualcuno che ci teneva le mani, manteneva la nostra vita nell’essere invece di scaricarla nel nulla, noi abbiamo fatto esperienza della maternità. La prima parola di una madre è: “eccomi”.

Lascia quasi basiti che Recalcati su una TV nazionale abbia l’onestà di dichiarare che proprio la Chiesa è madre in questa accezione di accoglienza di coloro che potrebbero finire nel nulla.


GABRIELLA GAMBINO

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Il bisogno radicale di un alimento che non è tra gli alimenti: la cura all’unicità della persona

Perché in un orfanotrofio all’avanguardia, pieno di infermiere premurose, i bambini crescono comunque con ferite e carenze? Ecco il secondo volto della maternità che Recalcati tratteggia:

L’accudimento dei bisogni primari non è sufficiente, l’essere umano ha bisogno di un alimento che non è tra gli alimenti, di un elemento che non è tra gli elementi: è un lievito che possiamo definire il desiderio della madre. Dove c’è una madre c’è una cura particolareggiata per quel bambino. L’amore della madre non è mai «per la vita» ma – come diceva Lacan – è amore «per il nome».

La mamma ama l’unicità di quella persona per cui ha scelto un nome, ama Camilla e Tommaso. Rispetto a ciò, la cura anonima di un orfanotrofio non è capace di riempire il senso della vita.

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Maria, il mistero della madre che «deve perdere» suo Figlio

È la Madonna la figura di riferimento per aggiungere un ultimo, fondamentale, tassello al ritratto materno. Maria porta in grembo un figlio che è suo, anche se è di un Altro. Lo nutre col suo sangue e il suo ossigeno, eppure sa che quella vita che cresce nella pancia non è di sua proprietà.
«Non è forse così per ogni madre, anche se non porta in grembo il Figlio di Dio?» si chiede Recalcati e la sua risposta coglie nel segno:

Ogni madre non fa forse esperienza della libertà assoluta di suo figlio? Non vediamo un paradosso nella madre che insegna a camminare al suo bambino? Quel gesto è come dire: io ti ho cresciuto e ora ti insegno ad andartene. Prima lei ospita nella sua vita la vita del figlio, poi gli dona il lasciarlo andare.

MAMMA, FIGLIO, CAMMINARE
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L’episodio biblico del Re Salomone di fronte a cui vanno le due madri che si contendono il figlio racchiude questo insegnamento: la vera madre è quella che lascia andare il figlio, che lo «vuole vivo» e non «lo vuole suo».
Ci avviciniamo alla festa della mamma e non è così futile godere della gioia di questo ricordo: nel suo grande pensiero buono sul mondo, Dio ha immaginato, desiderato e creato questa figura paradossale che dà la vita spingendo via dalla sua pancia un altro essere umano. Lo dà al mondo. Lo dà alla luce. Lo dà al suo destino.
È un’ ospitalità senza proprietà che festeggiamo, e la chiamiamo senza circonlocuzioni neutre: mamma.




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