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«Era un maestro discepolo innamorato dell’attesa», un ricordo di Ermanno Olmi

ERMANNO OLMI
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Annalisa Teggi - Aleteia - pubblicato il 08/05/18
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Il regista Franco Palmieri partecipò a «Il mestiere delle armi» e ricorda quei momenti sul set in cui vide il maestro Olmi attendere il vento, come s’attende una rivelazione

«Eravamo sul set de Il mestiere delle armi e il maestro Olmi stava girando la scena di un primo piano della moglie di Giovanni Dalle Bande Nere: il velo che indossava e le cadeva sul volto veniva delicatamente mosso dal vento. Attorno c’erano delle macchine del vento molto grandi, molto potenti, molto rumorose, eppure la delicatezza del vento sul velo che lui cercava non veniva fuori. Si andò per le lunghe e i tecnici si spazientirono, gli dissero: “Senta, noi non possiamo indirizzare il vento più di tanto, il vento va dove vuole!”; il maestro Olmi, senza scomporsi, staccò l’occhio per un attimo dall’obiettivo fisso sul primo piano della donna e rispose: “Non possiamo indirizzarlo, ma possiamo attendere”».

FRANCO PALMIERI, ATTORE

Franco Palmieri

Tra i tanti ricordi che custodisce, l’attore e regista Franco Palmieri ha scelto di raccontarmi questo come inquadratura umana di Ermanno Olmi per come lo ha conosciuto sul set del film Il mestiere delle armi. Ricorda anche di quando gli sistemò la sciarpa prima di un ciak, un gesto che toccava ad altri fare, un gesto piccolo nell’economia di un grande film, un gesto che il regista sentiva di fare perché andava fatto.

Conosco Palmieri da molti anni, facevo parte della sua compagnia teatrale quando ci annunciò che avrebbe fatto parte del cast del film di Ermanno Olmi dedicato a Giovanni Dalle Bande Nere; dunque stamattina ho disturbato lui perché potesse offrire un pensiero di saluto al maestro che è morto ieri. E la parola chiave di questa chiacchierata è diventata «l’attesa», quella che la scena del vento descrive perfettamente.

Forse un regista te lo immagini come uno che progetta e ha tutto chiaro, forse invece i veri registi – come Dio – attendono? Chiedo questo a Franco e lui conferma:

 «Il regista non progetta, ma è in attesa di te. Questo era il suo modo, il modo di un maestro discepolo. Ermanno Olmi non imponeva mai la sua poetica, la ricavava tutte le volte dalla circostanza in cui era. Sul set c’era sempre silenzio quando lui era presente, che stesse girando o meno. Ed è strano: il set è un luogo tecnico, molto caotico di solito. Invece con lui ci sembrava di stare in attesa in una chiesa vuota. Lui era in attesa. Ad esempio: dovevamo girare una scena nel cortile interno di un castello, c’era via vai di gente, cavalli, trambusto: eppure tutti noi attori ci sentivamo come sotto tiro, sì proprio sotto tiro, perché non si sapeva cosa lui avrebbe inquadrato e poi girato».

Il vento soffia dove vuole, noi non possiamo che attenderlo. E con esso arriverà qualcosa, forse una rivelazione, certo qualcosa che può interessare solo l’uomo che guarda e tocca le cose senza essere padrone, ma essendo innamorato della loro presenza. Un’ultima parola che Palmieri usa per descrive Olmi è «artigianalità»: «Toccava le cose, esattamente nel modo in cui le guardava, aveva la sapienza nelle mani e le usava per metterla sugli oggetti e lo faceva come, di nuovo, se attendesse. Tutti noi attori eravamo consapevoli, anche da prima, di essere alla presenza di un maestro. Il silenzio palpabile che si creava in sua presenza era qualcosa di davvero reale, segno che non si trattava di un apprezzamento formale o astratto al suo talento, ma proprio un modo di stare attenti a come lui guardava il reale».

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