Solo una lastra di vetro, mezzo metro e il mio senso di colpa mi separano dal mio fratello
In passato temevo il semaforo rosso che mi fermava a un incrocio affollato vicino a un triste senzatetto che teneva in mano un cartone malconcio. Cercavo di leggere cosa ci fosse scritto con la coda dell’occhio, senza avere il coraggio di stabilire un contatto visivo. Armeggiavo con i CD e qualsiasi cosa tenessi in macchina – tutto per evitare l’ondata emotiva che mi investiva.
Nella mia mente turbinavano idee sulla povertà e sul mio dovere nei confronti dei poveri. Pensavo alle cose negative che quella persona avrebbe potuto fare con la mia donazione. All’improvviso diventavo banchiere, agente di custodia e operatore sociale, e liquidavo quella persona per la serie di scelte sbagliate che aveva compiuto, derivanti da una grave malattia mentale.
I suoi occhi supplichevoli erano separati dai miei solo dalla lastra di vetro del finestrino della mia auto.
In quelle situazioni mi agitavo sempre di più, e sentivo il bisogno di rispondere alla domanda: “Qual è il mio dovere nei confronti dei poveri?” Alla base del mio senso di colpa non c’era il denaro o il chiedere l’elemosina, ma il fatto che non riuscivo a interagire con quell’individuo. Erano le “regole sociali”, che mi avevano insegnato ad alzare il vetro del finestrino, chiudere le portiere e fingere che quella persona non si trovasse a cinquanta centimetri da me, in una situazione potenzialmente disperata, a infastidirmi.
È comprensibile che ci siano dei confini di sicurezza da rispettare, ma rifiutarsi di riconoscere l’esistenza di un’altra persona non è certamente quello che siamo chiamati a fare come cristiani. Forse ci sentiamo più a nostro agio a offrire la barretta di cereali che avevamo portato per pranzo o qualche Ave Maria anziché del denaro. Ad ogni modo, è l’incontro che è significativo – perché non c’è modo per portare Gesù agli altri senza un incontro.
Se ho un adesivo con scritto “Gesù ti ama” o un rosario che pende dallo specchietto e non riesco a offrire neanche un sorriso a una persona bisognosa – per la paura del senso di colpa che provocherà in me –, allora con la mia “testimonianza” sto facendo più male che bene.