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Gino Bartali e Adriana Bani, il matrimonio è una pedalata sulla strada scelta da Dio

GINO BARTALI

Angelo Cozzi (Mondadori Publishers) Via By Wikimedia Commons

Annalisa Teggi - Aleteia - pubblicato il 01/05/18

Il 2 maggio Israele conferirà a Bartali la cittadinanza onoraria per il suo contributo alla salvezza di 800 Ebrei dai lager. Salvò tante famiglie e il suo esempio può continuare a salvare le nostre famiglie

«Quel naso triste da italiano allegro» così Paolo Conte mise in musica il ritratto del campione Gino Bartali.
Gli uomini davvero felici, hanno la tristezza nel cuore: non sono tanto i rimpianti, i rimorsi e i dubbi; proprio la tristezza. L’amore vero, quello che ci fa scoppiare in cuore la gioia della gratitudine per tutto ciò che abbiamo, è anche una lente d’ingrandimento sul peccato che ferisce il mondo, quella presenza insopprimibile di male in agguato.
Perciò l’uomo davvero felice non è mai fermo, pedala forte nel caso dell’uomo di cui parliamo.

Il prossimo 2 maggio verrà data a Gino Bartali la cittadinanza onoraria d’Israele per il suo impegno a favore degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale; contribuì alla salvezza di più di 800 ebrei portando, nascoste sotto il sellino o dentro le impugnature del telaio della bicicletta, centinaia di carte da consegnare ad un convento per poter stampare documenti falsi per gli Ebrei; fu una spola instancabile da Firenze ad Assisi per cui è stato riconosciuto Giusto tra le Nazioni già nel 2013.




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Due giorni dopo questa cerimonia, cioè il 4 maggio, il Giro d’Italia partirà proprio da Gerusalemme ed è la prima volta che l’inizio della gara avverrà fuori dall’Europa: segno che il mondo dello sport italiano, non solo il ciclismo, ha in Bartali un riferimento fondamentale. Partire da Gerusalemme; partire dalle ferite della storia; partire da un uomo che, grato di ciò che aveva, si sacrificò per aiutare ciò che altri esseri umani potevano tragicamente perdere; partire da tutto questo è per noi -anche nient’affatto sportivi –  uno scatto che dovrebbe lasciarci l’energia di una gara di resistenza. Chi è felice non s’accontenta di una volata.
Possiamo non essere esperti di gare ciclistiche, ma tutti sappiamo qualcosa di Bartali, fosse solo quella foto che immortala lo scambio d’acqua tra lui e Coppi. Istantanea della vita che è una gara in solitaria, ma accanto a qualcun altro.
Quella era la coppia da copertina, che attirava gli sguardi dei tifosi e degl’italiani tutti. Ma la vera altra metà di Gino fu Adriana Bani, sua moglie e, davvero, gregaria di un’intera vita. Anzi, mi sbaglio: prima, durante e per sempre un’altra donna comandò sul cuore del campione toscano:

«Alla Madonna ho promesso che avrei fatto le cose per bene, perché tutto quello che faccio, lo faccio a nome suo. E così lei è stata attenta a non farmi sbagliare» (Intervista a Gino Bartali del 14 maggio 1999, in Paolo Costa Gino Bartali. La vita, le imprese, le polemiche)

Sì, Gino non correva da solo, voleva essere parte di quella compagnia che portava i sandali come lui, dagli Apostoli ai francescani:

«Se mito deve essere, questo nascerà nel segno della fede cattolica. Bartali si racconta come un fedele devoto, che dice le preghiere la sera e la mattina, che lascia tutti i giorni il campo di Peretola (dove è aviere) per incontrare a Firenze gli amici della Gioventù Cattolica, che porta sempre con sé due immagini di Santa Teresa del Bambin Gesù, che, se legge è per conoscere la vita del beato Pier Giorgio Frassati» (Paolo Costa, Ibid).

Il ciclismo è davvero un simbolo eloquente della vita e le regole che valgono sulla strada – i valori anche! – per il campione non vennero meno una volta sceso dalla bicicletta. Il matrimonio è una di quelle faccende umane in cui i paragoni con la fatiche delle salite, il tenere d’occhio e sostenere i compagni, l’inebriarsi dell’aria fresca di certe discese, sono azzeccati; ancora di più l’idea che a una partenza segua, con un percorso più o meno lungo, un traguardo. Gino Bartali e Adriana Bani sono stati un esempio dimesso eppure fortissimo del legame d’amore cristiano giurato davanti a Dio.




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I genitori di lei inizialmente diffidavano di quel giovanotto che correva in bici e gli chiedevano: «Corridore? Che mestiere è?» e lui rispondeva «Un mestiere sportivo». E certo ci vuole allenamento, fiato e grinta per cimentarsi anche nell’impresa della famiglia. Tutti noi, mogli e mariti, facciamo un mestiere sportivo; non una gara l’uno contro l’altro, ma una staffetta instancabile (per ciascuno c’è il momento muscolare in cui stare davanti a tirare e tagliare il vento, e poi c’è da stare dietro in scia).
È teneramente ironico notare che, riguardo al fidanzamento, fu Adriana a tirare e Gino rimase in scia:

Irruento e forzuto quando si tratta di spingere sui pedali, Bartali è timidissimo quando si tratta di fare la corte alla sua Adrianina e nonostante cerchi d’incrociare lo sguardo di lei per più di un anno, «Adriana sembrava non vedermi neanche, nonostante fossi già a quel tempo conosciutissimo a Firenze e non solo» «Certo che lo vedevo invece – racconta oggi Adriana – ma quelli erano tempi diversi, in cui non era facile esporsi e poi io ero la ragazza, era l’uomo che doveva fare il primo passo, mica come oggi!» (da Paolo Alberati, Gino Bartali)

Si parla di una lunga camminata assieme, in cui Gino accompagnò a casa Adriana dal lavoro e rimase muto; fu lei, davanti al portone di casa, a ricordargli: «Ma lei non doveva dirmi qualcosa?». Solo a quel punto lui fu spronato a farle la sua dichiarazione d’amore.

Il matrimonio fu tutt’uno con la guerra, siamo nell’autunno del 1940 e le vittorie su pista di Gino si alternano ai grandi riconoscimenti: per la seconda volta Bartali viene ricevuto dal Papa, che in quest’ultimo caso è Pio XII. Poi il 9 ottobre viene chiamato alle armi e questo lo porta ad anticipare le nozze, con la chiarezza mentale di chi pensa «a questo mondo è meglio una vedova, che una fidanzata lasciata sola». I vincoli, come diventano importanti per un uomo che ha davanti l’ipotesi di una guerra!
Si sposano il 14 novembre 1940, Adriana ha da poco perso il fratello, soldato volontario. Tutto quello che è contemplato nella formula nuziale, la coppia Bartali Bani lo ha attraversato, simile in questo viaggio a tanti mariti e mogli che, nel silenzio generale, tengono in piedi le fondamenta del nostro paese.

Tre figli cresciuti, e uno nato morto: il dolore per quest’ultimo li ferì profondamente, segnandoli per la vita intera. E poi tanti giorni belli e duri, allegri e disperati. Fuori dai titoli dei giornali. Sempre insieme. Uno gregario dell’altro. Ci fu quella volta in cui fu Adriana a prendere le redini in mano: durante il Giro di Toscana del 1951, lei segue la gara con un’amica e vede Gino stremato, cade perfino, ma è primo; lo convince (quasi lo costringe) a ritirarsi. Non era il suo allenatore, forse non era neppure esperta di strategie di gara e classifiche, eppure il campione ascoltò la moglie.

Il comando all’interno della famiglia non è una gara a chi porta i pantaloni o a chi grida più forte, è un patto di fiducia che si costruisce giorno per giorno. E così, per quanto si dimostrò remissivo nella circostanza appena citata, altrettanto coriaceo Gino si dimostrò nel caso dell’aiuto agli Ebrei. Il signor Bartali non informò mai esplicitamente la moglie dei suoi viaggi da Firenze ad Assisi per portare i documenti che avrebbero salvato molte famiglie dai lager nazisti; lei forse avrà supposto qualcosa, ma lui non lasciò trapelare nulla per proteggerla.

«Gino ma cosa stai combinando con codesta bici? Cos’è che vai portando in giro?» «Adrianina mia, certe cose si fanno e basta … senza bisogni di parlarne».

Pedalare, sudare, sostenersi, passarsi l’acqua, tirare, rimanere in scia, frenare, lasciar correre le ruote, quanti verbi del ciclismo sono cronache quotidiane di tanti matrimoni semplici e duraturi. Ma ci vogliono uomini altrettanto semplici e onesti per riconoscere che ogni metro di strada da fare è un metro di strada dato da Dio:

«Il mio sogno di ragazzo, per il mio futuro, era quello di aver al mio fianco una donna umile e intelligente. Dio mi ha fatto questo dono».

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