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Post Voto: che succede se lo stallo continua?

Sergio Mattarella 02

© Ministero Istruzione, Università e Ricerca

Lucandrea Massaro - Aleteia Italia - pubblicato il 29/04/18

Mattarella ha impegnato prima la Presidente del Senato Alberti Casellati e poi il Presidente della Camera Fico per provare a formare una maggioranza, senza esito per ora..

E’ possibile che il voto di oggi in Friuli Venezia Giulia, che vede in vantaggio nei sondaggi il centrodestra tutto unito, sblocchi la situazione vale a dire l’assenza di una maggioranza chiara in Parlamento, ma per ora bisogna cominciare a prendere atto che è possibile che quella maggioranza politica non arrivi mai. Che succede allora?

3 scenari possibili più 1

Siamo tornati alla Prima Repubblica ma senza la qualità di quei partiti, questo è il primo ostacolo alla formazione di un nuovo governo. Tutti i leader politici: Salvini, Di Maio, Berlusconi, Renzi, ragionano in linguaggio “maggioritario” ma non vogliono prendere atto che vivono in un mondo “proporzionale”. Vincere o perdere è molto relativo. Il PCI nel 1984 superò la DC alle europee ma nessuno chiese di essere ricevuto al Quirinale. Oggi molti si dicono vincitori e pretendono di formare un governo, ma la legge elettorale, il Rosatellum, è una legge con un impianto proporzionale e come tale fotografa i rapporti di forza senza cambiarli troppo. Ciascuno dovrebbe fare un passo indietro e cedere qualcosa, trovando accordi, sacrificandosi un po’. Al momento sono logiche che non hanno prevalso. Ricordiamo i numeri usciti dalle urne:

Le elezioni del 4 marzo ci hanno restituito il centrodestra come coalizione vincente con il 37% dei voti. Al secondo posto, invece, si è classificato il Movimento 5 Stelle, che ha raccolto il 32,7% dei consensi. Più lontano il centrosinistra, fermatosi al 22,9%. Questi risultati, alla Camera, si sono tradotti in 262 seggi per il centrodestra (111 uninominali e 151 proporzionali), 226 per il Movimento 5 Stelle (93 e 133) e 116 per il centrosinistra (28 e 88). A questi vanno aggiunti i 14 seggi conquistati da Liberi e Uguali solo nel proporzionale. Dei 12 seggi assegnati nella circoscrizione Estero, invece, 5 sono andati al PD, 3 al centrodestra e uno solo al M5S (YouTrend).

Se consideriamo che alla Camera servono 316 voti per la maggioranza e al Senato 158 si fa presto a capire che nessuno può governare “da solo”.

Primo scenario – Il PD e i 5 Stelle trovano un accordo. Data l’ostilità dei Dem al momento è piuttosto difficile. Matteo Renzi, ex Segretario ma ancora dominus del partito, ha fatto capire che non ci sono le condizioni, la sua corrente inoltre da tempo ha lanciato una campagna interna al PD per esorcizzare questa possibilità con l’hashtag #senzadime. Anche la base grillina non gradisce questo accordo, il che lo rende difficilmente praticabile.

Secondo scenario – la vittoria in FVG del centrodestra permette ai due soggetti in partita (centrodestra e M5S) di essere liberi di fare accordi senza che questi influiscano sulle elezioni regionali (c’è stato anche il Molise) e questa “ritrovata libertà” permette alle parti di trovare una quadra. Opzione bis: il centrodestra si spacca e la Lega decide di sostenere autonomamente un governo 5 Stelle.

Terzo scenario – si torna alle urne. Preso atto della situazione il Presidente Sergio Mattarella non potrebbe che sciogliere le camere, tuttavia i tempi tecnici non permettono praticamente più di andare al voto prima dell’estate, e il rischio di fare una campagna elettorale “sulla spiaggia” quando gli italiani sono in ferie è poco plausibile, il che spinge per uno scioglimento più tardivo per votare almeno in Ottobre, ma senza certezze. Il sito YouTrendche elabora scenari politico-parlamentari e monitora i sondaggi costruendo medie piuttosto attendibili certifica che con la legge attuale, a meno di un tracollo di una delle forze politiche in campo (caso piuttosto improbabile), i rapporti di forza rimarrebbero quasi gli stessi e soprattutto non ci sarebbero maggioranze parlamentari

supermedia
Youtrend

Lo scenario che si sta rafforzando di più in questa fase è quello di un possibile reincarico a Paolo Gentiloni o comunque della sua permanenza a Palazzo Chigi per i cosiddetti “affari correnti” e (cosa probabile) ritoccare la legge elettorale. Questa permanenza a Palazzo Chigi potrebbe prendere la forma del “Governo del Presidente”, sostenuto cioè da tutti i partiti e dunque “sterilizzato” dalla sua componente politica. Questo permetterebbe di affrontare tutte le esigenze e di presentare la manovra finanziaria dopo l’estate. Il professor Francesco Clementi, costituzionalista dell’Università di Perugia, intervistato su Formiche:

Non ci sono vincoli che impediscano all’attuale formato del governo Gentiloni – che è già un governo dimissionario – di andare ancora avanti per l’ordinaria amministrazione, soprattutto di fronte ad un Parlamento che non ha visto ancora la formazione delle commissioni parlamentari. Si andrebbe avanti con l’attuale esecutivo fino a che non subentrasse un nuovo governo. Tuttavia, le forze politiche dovrebbero tutte concordare nel sostenere questo processo, soprattutto nel momento in cui quel governo, che sempre più perderebbe le caratteristiche di politicità, dovrebbe, al contrario, fare scelte molto politiche, a partire dalle risposte che, in termini reciproci, si aspettano i nostri partners e la stessa Unione europea. Insomma, non è semplice. E di certo, laddove nascesse un governo di decantazione, di tipo istituzionale, considerate le sfide europee, di politica internazionale e di politica economica che il Paese ha di fronte, non potrebbe non essere, almeno sulle linee strategiche, in continuità con l’ultima fase, quella più istituzionale, del governo Gentiloni.

Ma quali sono i limiti del Governo Gentiloni attualmente? Secondo Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale intervistato da AGI, sono molto maggiori di quanto non si tenda a pensare:

“Il 23 marzo il Presidente della Repubblica – ricorda Cassese – ha ricevuto il Presidente Gentiloni, che gli ha presentato le sue dimissioni. Il Presidente della Repubblica l’ha invitato a ‘rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti’. Questo vuol dire che il Presidente del Consiglio dei ministri ha dato le dimissioni, ma che queste non sono state (ancora) accettate. Il governo è ancora in carica. In precedenti casi, il Presidente della Repubblica ha ‘preso atto’ delle dimissioni. L’una formula (l’invito a rimanere in carica) e l’altra (la presa d’atto) significano che il governo continua nei suoi compiti. Solo con l’accettazione delle dimissioni, quando si formerà il nuovo governo, verrà a scadenza quello precedente”. “Questa conclusione – spiega Cassese – deriva dal fatto che la Costituzione non prevede una scadenza per il governo, a differenza di altri organi. E deriva dalla necessità per il Paese di avere sempre un governo in carica. Un Paese non può restare senza governo. D’altra parte, per altre cariche vi sono supplenti, non per il governo”.

E cosa sono gli affari correnti?

“Sono i governi stessi – sottolinea Cassese – che delimitano con direttiva (che la giurisprudenza ritiene vincolante) gli ‘affari correnti’. Tutti i governi, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, vi hanno incluso l’attuazione di decisioni già assunte dal Parlamento, l’adempimento di obblighi comunitari, i provvedimenti urgenti e molti altri compiti, secondo orientamenti flessibili che sono dettati da prassi e correttezza nei confronti di un ‘nuovo’ Parlamento
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