«È Gesù che cercate quando sognate la felicità» disse San Giovanni Paolo II e ci ha indicato come cercare oltre ogni piccola attrazione momentanea il vero Bene che ci custodisce senza mollarci più
«Lo vedi quanto va lontano il lume di quella candela? Non diversamente risplende
un atto di bontà in mezzo a un mondo malvagio»
(Shakespeare, Il mercante di Venezia).
Il Vangelo della domenica e i grandi influencer
Siamo tutti pecore, e non è un insulto. Lo pensavo ieri a messa mentre Don Paolo commentava il Vangelo del buon pastore e io mi davo della smemorata, perché non ricordavo affatto il passo sul mercenario:
Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. (Gv 10, 11-13)
Me l’ero sempre persa, eppure, quando ieri Don Paolo ne ha parlato, l’immagine mi si è incollata addosso. Siamo pecore, non è un insulto: la pecora è mansueta, candida, tendenzialmente mai solitaria. Certo, non è una bestia intraprendente e per questo forse il paragone ci sta stretto. Noi siamo quelli del «voglio, faccio, ottengo». Seguire è un verbo che accogliamo con sospetto, come se significasse una rinuncia alla nostra volontà. Eppure non siamo circondati da un gergo tutto basato su followers e influencer?
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In realtà noi seguiamo sempre. Seguiamo le notizie, seguiamo le tendenze, seguiamo i vip su Instagram. Qualcuno dobbiamo seguire, sembra suggerire il nostro istinto; o spiamo, o ci lasciamo ispirare, o ci affezioniamo ad persone e personaggi che portano messaggi disparati e in qualche modo attraenti. Alcuni ci accompagnano per un breve tratto di strada, quella giusta; altri vorrebbero portarci fuori strada, all’infinito.
Io, ad esempio, seguo il blog di una mamma che dà suggerimenti per i pranzi e le cene in famiglia: piatti veloci e gustosi. Lo faccio perché voglio bene ai miei cari e desidero che il momento in cui siamo a tavola sia di piacere e condivisione, non solo un «trangugia, bevi e tutti zitti davanti alla TV».
Ogni nostro piccolo desiderio ha bisogno di un buon pastore, ed è tosta riconoscerlo in mezzo ad eserciti di mercenari. In effetti tutte le nostre piccole domande o attese sono sentieri che confluiscono nel grande cammino della vita, tanti minuscoli affluenti nutrono il fiume che corre dritto al mare. Chi mi porta davvero al mare? Chi mi porta alla meta felice?
La storia d’amore dei Damellis ha appassionato milioni di giovani
La storia d’amore tra Giulia De Lellis e Andrea Damante ha catturato l’attenzione di milioni di giovani. Come mai? Usciti dalla trasmissione Uomini e Donne da fidanzati, bellissimi, sembravano dare speranza di vedere finalmente nascere, crescere e fiorire l’amore eterno. Lei era la Giulietta di lui, abitavano a Verona. Tutta la scenografia umana parlava di quel mistero che è l’incontro tra un uomo e una donna, chiamato Amore. E aveva il profumo di tutti quei fiori che lo coronano: sorrisi, baci, e l’ipotesi che sia per sempre. Li hanno chiamati Damellis (una fusione dei loro cognomi), perché si sa che l’hashtag funziona se è breve e ha funzionato, ma creo perché così affine all’idea del “un corpo solo, un’anima sola“. È proprio difficile schiodare dal nostro DNA l’idea che amarsi sia donarsi, e così essere una cosa nuova insieme.
Certo, ogni loro foto era corredata di slogan commerciali, pubblicità a prodotti di ogni tipo dal vestiario, ai trucchi, alle bibite. Come a dire: «noi siamo l’amore vero e se bevi questa aranciata lo troverai anche tu». I mercenari, appunto: l’influencer è quello che con un messaggio fondato su un desiderio buono, pilota le tue voglie su interessi commerciali che recano profitto a lui e niente a te.
Eppure non trovo nulla da recriminare a tutte le ragazze che hanno seguito sui social network questa storia d’amore plateale: se il vero amore esiste, io lo voglio vedere, toccare, ascoltare. Anche San Tommaso volle mettere le mani nei segni sanguinanti d’amore. Non basta sognare; appena qualcosa di bello sembra che s’incarni è spontaneo seguirlo, perché la verità la cerchiamo sempre a tentoni, confusamente (disse così, San Paolo agli Ateniesi). L’ideale ha bisogno di un volto. E non è detto che sia facile distinguere a colpo d’occhio il volto del mercenario e quello del buon pastore.
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E ora che si sono lasciati, noi chi seguiamo?
Poi, pochi giorni fa, Giulia e Andrea si sono lasciati. La loro condivisione universale si è bloccata. Ho letto molti commenti dei loro fan, il senso complessivo è stato quello di un abbandono: e ora chi seguo?
Dietro questo smarrimento, apparentemente futile, ci sono tante domande sottintese: ma come? Io vi seguivo perché volevo credere all’amore che non finisce. Allora è tutto qui? Un’altra illusione?
Quella promessa iniziale di vedere e toccare l’amore vero è andata in fumo. Fa male, perché dietro tutti i camuffamenti mediatici, c’era anche quell’irriducibile pezzetto di cuore dei fans fatto da Dio e in cerca di un bene che non tradisce e abbraccia per sempre.
È arrivato il lupo: qualcosa nella storia di Andrea e Giulia è andato storto. Il mercenario è scappato: anziché approfondire la ferita di un amore in crisi, i due giovani si sono chiusi in un silenzio riempito solo da gossip. E le pecore si sono smarrite, senza più un pastore da seguire.
Siamo tutti quelle pecore lì, aggrappati a idoli momentanei che ci lasciano liberi e impauriti nel momento del bisogno. Forse, era proprio nel momento in cui una coppia vive un momento di contraddizione serio che la condivisione doveva farsi più profonda e meno commerciale.
Il buon pastore non dev’essere lontano…
«E adesso chi seguo?» È una domanda giustissima, perché tutti cerchiamo qualcuno che sappia portarci a casa, a quella meta compiuta in cui ci sarà una stanza accogliente per ogni dramma, domanda, attesa della nostra vita. Ce n’è solo uno di buon pastore, ed è quello che alla fine dà la vita per le pecore. La sua presenza non è invadente, è come il lumicino di una candela che pare piccola cosa eppure il bagliore si propaga sempre più lontano. Come dice Shakespeare, in mezzo a un mondo malvagio ci sono impercettibili raggi di luce che non si spengono; così il bene si lascia trovare quando sei all’oscuro, quando tutti gli altri sapientoni non sanno più la strada.
A differenza del mercenario che gode e cerca flash e riflettori, il buon pastore – Gesù – sarà sempre una spia luminosa dietro ogni frammento di cammino. Lo riconoscerai perché si farà trovare sempre (nel volto degli amici, nelle parole di chi anche per caso incontri al momento giusto, nella memoria di esempi che credevi dimenticati) di fronte alle urgenze di un cuore ferito in cerca di un recinto di bene.
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Era l’estate del 2000, anche io ero tra la folla a Tor Vergata, quando San Giovanni Paolo II offrì il miglior identikit possibile del buon pastore, quel discorso in cui disse: «È Gesù che cercate quando sognate la felicità» E poi aggiunse queste parole che sono piccole fiammelle da custodire nel viaggio di ogni giorno. Per noi, per gli amici, per i figli; per chiunque, senza timore.