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Svelata sul web la prima parte del “tesoro” della Biblioteca Vaticana

VATICAN MANUSCRIPT

GABRIEL BOUYS / AFP

Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 18/04/18

Agenzia Spaziale Europea e Vaticano collaborano alla digitalizzazione degli 82mila preziosi manoscritti vaticani. Per ora siamo a quota 12mila. Ma c'è un ostacolo da superare

Arcivescovi e astronomi alleati per mettere alla portata di tutti, e senza uscire di casa, un patrimonio inestimabile di cultura destinato altrimenti a una ristretta cerchia di studiosi obbligati a consultare in Vaticano i preziosi e delicatissimi testi su storia, arte, letteratura, scienze naturali, medicina.

Giunta al quinto anno, la cooperazione fra l’Agenzia spaziale europea (Esa) e la Biblioteca Apostolica vaticana ha come obiettivo quello di preservare e migliorare l’accessibilità dei rispettivi patrimoni scientifici e umanistici.  In questo arco di tempo è già stata garantita una fruibilità on line al 15% dei manoscritti (circa 12mila) (Il Messaggero, 16 aprile).

MANUSCRIPT VATICAN
GABRIEL BOUYS / AFP

Fino a 1800 anni fa!

Obiettivo del progetto – i cui primi risultati sono stati presentati in Vaticano – «è digitalizzare gli 82mila manoscritti vaticani», come ha spiegato il prefetto della Biblioteca Apostolica, Cesare Pasini. Alcuni di questi risalgono anche a 1.800 anni fa. La digitalizzazione degli 82mila manoscritti sarà racchiusa in 45 milioni di miliardi di byte.




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Digitalizzare per “democratizzare”

«Abbiamo cominciato la digitalizzazione già da anni e stiamo collaborando con diversi Paesi», ha sottolineato invece l’arcivescovo Jean Louis Brugues bibliotecario e archivista della Biblioteca Apostolica vaticana. Digitalizzare tutto il materiale, spiega, è utile e necessario «sia per conservare meglio i nostri tesori, sia per renderli fruibili anche a distanza al nostro pubblico, “democratizzando” le procedure burocratiche».




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L’ostacolo dei “costi enormi”

I costi, però, «sono davvero enormi»: «Stiamo cercando sponsor, dal Giappone agli Usa alla Germania, perché la Santa Sede non ha la possibilità di sostenere questo sforzo economico», spiega il prelato. «La nostra istituzione ha sempre manifestato un interesse molto forte per l’aspetto scientifico della vita umana, penso ad esempio al fondo per l’astronomia o alla sala Gregoriana della torre dei venti dove è stato corretto il calendario internazionale. Con l’Esa stiamo scambiando dati e tecniche, prefigurando un ruolo più forte in futuro» (La Stampa, 17 aprile).

Scanner speciali e cloud

Per la digitalizzazione si stanno usando speciali scanner; il salvataggio dei file si basa su tecnologia proprietaria giapponese AMLAD, che permette l’archiviazione su cloud con gestione e registrazione dei metadati con alto livello di flessibilità.




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Tutto in FITS

Le immagini sono salvate in formato FITS, che è largamente utilizzato in astronomia. Si tratta di un codice di codifica tipo il pdf o jpeg ma democraticamente aperto (non c’è un proprietario) e con la caratteristica, che pare un po’ magica, di perpetuarsi immutato nel tempo, di aggiornamento in aggiornamento fin dalla sua prima messa a punto alla fine degli Settanta da parte della Nasa e dell’Esa proprio per la necessità di gestire la gran mole di dati delle missioni spaziali e delle esplorazioni astronomiche.

Sono state prese anche misure di ‘disaster recovery’ con back-up in differenti sedi, anche per assicurare l’accesso ai documenti da parte del pubblico (Rainews, marzo 2014).


QUMRAN ROTOLI MAR MORTO

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