«Credo», «sento», «spero». Tanta ricerca, poche certezze. Ma d’altra parte – sottolinea sempre Galliani in “Hai un momento, Dio?” –come ricorda sempre la canzone Almeno credo, in questa vita «nessuno c’ha il libretto d’istruzioni».
“Vivere è un atto di fede”
Se questo dio – o chi per lui – sembra nascosto nei cieli, in realtà anche la vita stessa, che pure abbiamo sotto gli occhi, è densa di mistero. O, per usare le parole del rocker emiliano, «vivere è un atto di fede, mica un complimento» (così recita la canzone “Atto di fede” del 2010). Versi nei quali è proposto uno sguardo positivo nei confronti dell’esistenza umana.
«Lo so – affermava Ligabue nel libro “La vita non è in rima” (a cura di Antonelli) perché l’ho verificato: avere fiducia nella vita permette alla vita stessa di essere più degna di essere vissuta. Anche se quell’atto di fede nei confronti dell’universo non è così facile. Fra le convinzioni che ho c’è ancora quella per cui si raccoglie ciò che si semina. Ho una forte componente spirituale e credo moltissimo nel bisogno di credere. Ho bisogno anche di pensare che il credere nobiliti la vita. Mi relaziono con un’entità a cui non do per forza una faccia».
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“Hai un momento, Dio?”
La voglia, la richiesta di avviare un dialogo con Dio è “celebrata” in una canzone in particolare. “Hai un momento, Dio“.
La canzone, contenuta nell’album Buon compleanno Elvis del 1995, immagina la possibilità di un dialogo a tu per tu con Dio, in un clima molto informale. Al punto che la prima domanda che Ligabue gli rivolge non è proprio sui massimi sistemi: «Chi prende l’Inter?». C’è l’urgenza di una relazione («Hai un momento Dio?/ No, perché sono qua/ Insomma ci sarei anche io»), urgenza comune a tanti uomini («Lo so che fila c’è/ ma tu hai un attimo per me?») che si trovano a non avere risposta («Perché ho qualche cosa in cui credere/ perché non riesco mica a ricordare bene che cos’è»).
Una condizione di disagio
Liga mostra una condizione di disagio, anche se tradotta in rime quasi gioiose, perchè un dialogo con Dio non ce l’ha. Perché un dialogo presuppone che siano entrambi i soggetti a parlare, non uno soltanto. Nel suo romanzo, “La neve se ne frega”, scrive:
Ho l’impressione che noi quando preghiamo ci rivolgiamo come a un muro, non abbiamo risposte. È anche possibile che la colpa sia mia, che cioè le risposte ci siano, ma io non riesco a comprenderle. Non smetto mai di ricercare.