Sara risponde a una telefonata e si sente dire con gentilezza affettata: “Ciao! Che piacere ascoltarti!” Poi, man mano che riceve un rapporto a lei sfavorevole sul suo recente incidente di traffico, sul suo volto si disegna un’espressione iraconda.
È allora che il suo stato d’animo esplode con un tono alterato seguito da epiteti offensivi nei confronti di chi la chiama, e poi chiude bruscamente la comunicazione.
In seguito, si trattiene a malapena quando mi parla: “Oggi mi è andato tutto male! Malissimo!”
È la stessa persona che ormai vari anni fa, durante una sua festa di compleanno, ha pianto, si è buttata a terra battendo i piedi e finalmente, quando sembrava disposta a soffiare sulle otto candeline, si è gettata sulla torta e l’ha distrutta. Il motivo: era frustrata perché sperava di ricevere un cucciolo come regalo ma non l’aveva ottenuto.
La sua storia personale è un chiaro esempio di come la frustrazione, quando è un sentimento assunto in modo negativo, si può tradurre in ira o delusione, destabilizzando la personalità di chi non è riuscito a ottenere ciò che voleva.
In quella festa infantile non solo non è stata punita, ma alla fine gli altri hanno assecondato il suo capriccio. Penso che sarebbe stata meglio una bella sculacciata.
Lo dico per esperienza professionale, visto che nel mio studio assisto a veri conflitti di personalità di chi fin dall’infanzia ha visto come risolvevano i suoi problemi. Queste persone sono state educate nella permissività del “lasciar fare” per evitare loro “traumi e frustrazione”.
Ed è stato proprio questo che si è coltivato.