Roberto Bardella amava i viaggi in moto. A dicembre del 2016 si trovava a Rio de Janeiro: finito per errore nel territorio della favelas viene freddato, probabilmente perché scambiato per un poliziotto
L’omicidio di Roberto, l’8 dicembre del 2016
Era subito giunta notizia anche in Italia, del fatto di cronaca che ha visto coinvolti i due italiani (veneti, per la precisione) cugini e compagni di numerosi viaggi in moto: Roberto Bardella, cinquantadue anni, di Jesolo e Rino Polato, residente a Fossalta di Piave di sette anni più grande, avevano all’attivo già diverse traversate come quella del 2011 in Cile e Argentina.
In quella festa dell’Immacolata estiva, a cavallo delle due Honda enduro, i due avevano appena fatto sosta alla statua del Cristo Redentore e intendevano raggiungere la spiaggia. Per errore il satellitare li conduce a ridosso della zona presidiata dai narcotrafficanti, una favela. Un gruppo di circa dodici uomini tra i quali, si scoprirà, esserci anche un giovanissimo, esce armato e spara diversi colpi in direzione di Roberto: il look da centauro, il casco integrale corredato dalla telecamera del satellitare devono aver indotto i delinquenti a scambiarlo per un poliziotto.
Anche il cugino teme il peggio; resterà sequestrato per diverse ore, trasportato a forza su un’auto nel cui bagagliaio era stato gettato il cadavere del cugino. Sarà rilasciato illeso, ma sotto shock.
Il racconto di Rino
Ecco le parole del cugino miracolosamente sopravvissuto, riportate dul Corriere.it nella sezione Buone Notizie:
“Favela è sinonimo di pericolo. «Ci saremmo fermati per invertire la direzione – spiega Polato – ma non c’è stato il tempo». Un’auto si affianca alle moto e Bardella cade a terra: «Andava pianissimo, ho pensato a un incidente». Ma quando lo chiama, Roberto non risponde. È morto. Ucciso perché scambiato per un poliziotto, per via della goPro, la telecamerina sul casco. Erano dieci ragazzini. «Io urlavo, dicevo turisti, siamo turisti italiani – ricorda ancora Polato – e mi hanno circondato e caricato in macchina. A quel punto ho capito cosa mi aspettava: ero il testimone di un omicidio, dovevo sparire». Le ore successive, prima della liberazione, sono drammatiche, con la sentenza di morte sospesa nell’aria e il cadavere del cugino sul sedile posteriore.”
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La reazione sorprendente: non cancellare ma perdonare
Ma le parole che colpiscono davvero sono altre: sono parole esplosive, rivoluzionarie non solo per la carica indistruttibile di novità ma anche perché siamo meno abituati a sentirle, nei media soprattutto. Rino le usa subito, già di ritorno dal Brasile, si vede che l’attitudine al perdono si coltiva, cresce in una vita, matura come virtù se altri testimoni autorevoli ce l’hanno mostrata con la propria e se la grazia l’ha alimentata. Gli dicevano di rimuovere, di dimenticare, di fuggire il più lontano possibile da quella gente orribile, anche con il pensiero e la memoria. E lui:
«Gente cattiva? Io negli occhi di quei quindicenni non ho visto cattiveria, solo i segni di vite devastate dalla droga, senza speranza».
Già sull’aereo inizia a leggere i messaggi dei tanti brasiliani che gli chiedono scusa, che gli mostrano amore e solidarietà, che promettevano preghiere. Si è smesso abbastanza rapidamente di seguire la vicenda ma nel frattempo il bene ha camminato.
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La vedova di Roberto è della stessa idea: anziché dimenticarli, aiutiamoli
Claudia, vedova per mano di sconosciuti dei quali non ha ancora incrociato gli occhi, fa suo lo sguardo di Rino e parlando con la voce di una rabbia vinta, forse nemmeno fatta accendere dice: “l’odio non porta da nessuna parte”. Mentre invece aiutare i ragazzini che crescono in un ambiente violento, privati di un orizzonte di senso e facili prede dei potenti criminali della zona, porta speranza, costruisce il bene. E’ un muro, piccolo ma robusto, che si tira su per alzare l’argine contro il male.
E così mentre le indagini proseguono Rino e Claudia pensano che vogliono aiutare i bambini di quelle favelas.
“Anche solo una piccola cosa. Non c’è bisogno di pensare in grande, non abbiamo gli strumenti né le capacità. Una svolta si innesta anche da cambiamenti minimi». La ricerca di un programma da appoggiare non è stata facile. Solo dopo diversi mesi è spuntato il nome di Milli De Giacomi, che nella favela di Miguel Couto, territorio di narcotraffico, ha fondato Progredir Onlus per offrire un’alternativa alla droga.” (ibidem)
Ora quella biblioteca che era sull’orlo della chiusura è ripartita con eventi, iniziative, ospiti; e porta un nuovo nome “Il viaggio di Roberto“. Viene il sospetto che sia un viaggio non stroncato ma dirottato, inaspettatamente, alla sua destinazione finale che gli auguriamo già compiuta o che affretteremo anche con le nostre preghiere.
Che belle queste storie in un mondo che si ostina a voler diventare post-cristiano. Il perdono crea, il bene vince.