Per riassumere le mie considerazioni, il piccolo Alfie – per quanto posso capire con tutte le mie conoscenze – soffre sfortunatamente di un disordine neurologico molto grave, probabilmente degenerativo che potrà portarlo in ultima istanza alla morte. Concordo con il suo staff medico nel dire che ho difficoltà a credere che ci sia una cura per questo bambino. Resta tuttavia indeterminabile quanto tempo egli sarà in grado di condividere coi suoi genitori. Si direbbe infatti che egli sia vissuto fino a questo momento più a lungo di quanto inizialmente si pensasse. La sospensione del suo trattamento lo porterebbe immediatamente alla morte, e certamente questo non può essere nel suo interesse. È chiaro che il suo miglior interesse sarebbe la possibilità, per Alfie, di vivere il verosimilmente breve resto della sua vita dignitosamente, insieme con la sua famiglia, a casa se così desiderano i suoi genitori – e questo io credo sarebbe la cosa migliore per lui: fuori dall’ospedale oppure in un hospice o in altra struttura di cure terminali. Un’istituzione dedicata alla riabilitazione neurologica potrebbe apportare ulteriore beneficio, perché potrebbero darsi altri trattamenti oppure stimolazioni terapiche di cui io non sono a conoscenza.
Dall’alto della sua lunga esperienza medica, il giudice ha rovesciato il prudente ed equilibrato giudizio del professor Haas, accusandolo neanche troppo velatamente di usare il caso come «vetrina per le sue credenze personali» (sic!). Quali credenze? Non è dato saperlo. Di certo Mr. Justice è rimasto molto seccato dal severo richiamo del medico:
A causa della nostra storia, in Germania, abbiamo imparato che ci sono alcune cose che semplicemente non si fanno, con i bambini gravemente handicappati. Una società dev’essere preparata a prendersi cura di questi bambini gravemente handicappati, non può decidere che il supporto vitale debba essere sottratto contro la volontà dei genitori, se c’è incertezza sulle sensazioni e sulla percezione del bambino, come qui è il caso.