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Cosa accade dopo l’eroico blitz dei genitori di Alfie Evans in ospedale

Alfie e seu pai Tom Evans

Tom Evans / Kate James

Giovanni Marcotullio - Aleteia Italia - pubblicato il 13/04/18

Ieri sera s'è verificato ciò che pareva troppo bello anche solo da sognare: Thomas Evans e Kate James hanno impugnato il loro diritto parentale e hanno tentato di prelevare il piccolo Alfie alla vigilia dell'esecuzione della sentenza di morte del giudice Hayden. Li hanno ostacolati con l'intervento della forza pubblica. Ora si attende a breve il nuovo intervento del giudice.

Aggiornamento delle 13:05 – Fissata un’udienza in appello per lunedì.

Fonte: dichiarazione di ufficiali giudiziari presso la corte, le riporta il Mirror.


Aggiornamento delle 13:00 – È in corso il dibattimento tra gli avvocati delle parti e presieduto dal giudice Hayden sulla facoltà dei genitori di esigere la ri-assegnazione del personale curante e la dimissione di Alfie. L’eliambulanza polacca rimane in attesa del permesso per il trasferimento.


Aggiornamento delle 12:30 – COMUNICATO dell’ALDER HEY HOSPITAL, rilasciato stamane sul sito della struttura.

La scorsa notte l’ospedale ha subito notevoli disagi dovuti alla vasta protesta che riguarda uno dei nostri pazienti. Vogliamo rendere merito al nostro incredibile staff, che ha lavorato infaticabilmente in condizioni di estrema difficoltà nel gestire le conseguenze di tali disagi. Alder Hey è un luogo speciale con personale altamente qualificato, professionisti che dedicano la loro vita alla cura e all’accudimento di migliaia di bambini disabili e malati ogni anno. La nostra priorità sarà sempre la protezione e il mantenimento del benessere dei pazienti e dello staff, di continuare a provvedere con cure elevate ai pazienti e le famiglie, cosa sappiamo essere riconosciuta da colleghi di tutto il Sistema Sanitario Nazionale oltre che di un più largo pubblico.

Nonostante le dichiarazioni dell’Alder Hey, numerose testimonianze di famiglie e pazienti hanno denunciato negligenze da parte del personale nei reparti pediatrici, come riportato da Benedetta Frigerio su La Nuova Bussola Quotidiana. Denunce cui negli ultimi giorni si sono aggiunte anche quelle della famiglia Evans.


Questo venerdì doveva essere quello della passione di Alfie Evans. Così aveva deciso Sir Anthony Paul Hayden, Mr. Justice di Sua Maestà Britannica, ovvero

un giudice, un giudice

con la faccia da uomo,

come lo avrebbe chiamato Fabrizio De André parafrasando Edgar Lee Masters.

Così non è stato, perché ieri sera è accaduto qualcosa di talmente bello che pochi tra noi (e devo escludermi da quel novero) osavano sperare: quei due incredibili ventunenni che sono i genitori di Alfie Evans hanno tentato un blitz in ospedale.


Alfie Evans e o pai Thomas

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Benché giovani, non ci erano mai sembrati spauriti, ma qualcuno aveva tentato di farli passare per sprovveduti: l’alternativa che si pone tra il fare e il non fare pare perlopiù aperta a prospettive massimaliste – insomma, o rassegnarsi alle “crude stelle” o imbracciare un lanciafiamme e fare il Vietnam. E invece Thomas Evans era stato in uno studio legale a Londra, aveva chiesto se davvero le leggi del Regno gli impedissero di trasferire suo figlio, e la risposta (sorprendente, a questo punto) era stata che no, niente poteva impedirgli di portarlo via e di accompagnarlo in altro centro di cura, purché venissero rispettate le condizioni tecniche per il trasferimento di un bambino in situazione tale da necessitare un ausilio per la ventilazione.

Il giovane padre si è presentato con la dichiarazione dello studio legale e un team di medici polacchi, con un respiratore portatile e con un’ambulanza privata parcheggiata fuori dalla porta dello stabile: a Londra, frattanto, faceva tenere pronto al decollo un aereo privato fornito di tutta l’attrezzatura necessaria.

A quel punto i responsabili dell’ospedale hanno chiamato la polizia, prontamente accorsa, e hanno inscenato un surreale dialogo in cui accusavano il padre del bambino di voler nuocere al figlio. La risposta farebbe quasi sorridere se non fosse tragica: «Io voglio fargli del male? Voi volete ucciderlo domani, ma questo è mio figlio, è un innocente e io lo porto via!». Tom è stato diffidato dal toccare il figlio, pena l’arresto per “lesioni aggravate”. Il giovane padre ha allora prodotto un video col cellulare (quello riportato qui sopra), e dalla pagina Facebook dell’“esercito di Alfie” si è scatenato un tam tam da migliaia di contatti al minuto (ora il video ha più di settecentomila visualizzazioni): in men che non si dica, e come in un romanzo di Dumas, l’ospedale s’è ritrovato accerchiato dal festoso e grintoso “Alfie’s Army”. Clacson, palloncini, ban e canzoni hanno creato un clima di protesta simultaneamente dura, pacifica, chiassosa e composta. Una cosa a metà tra i moti attorno alla Nikolaikirche di Leipzig prima della caduta del Muro e una sfilata di carnevale.




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A quel punto si è profilata la situazione di uno “stallo alla messicana”: Tom e Kate avrebbero potuto facilmente scatenare un’insurrezione popolare, e di questo erano avvertiti tanto i dirigenti dell’ospedale quanto i poliziotti (che invece hanno pubblicamente ringraziato i giovani genitori per la sapiente gestione della situazione). A ciò si sono aggiunti i media, intervenuti a riprendere la manifestazione spontanea: davanti a loro Tom ha ringraziato tutti i sostenitori, invitandoli contestualmente a mantenere la calma e a restare fisicamente nei pressi dell’ospedale.

L’attuale stato della questione è il seguente, come lo posso ricavare dalla sintesi di un amico che ha seguito appassionatamente e nel dettaglio la situazione:

Filippo Martini, vice-presidente dei Giuristi per la Vita, ha così commentato:

Il fatto stesso del ricorso urgente ai Servizi Sociali, implica che il delitto di (in Italia si chiamerebbe) “sequestro di persona” nel momento in cui i genitori richiedevano il rilascio del figlio invano, era già consumato. E si tentava in extremis di porre una toppa sul buco. L’accanimento sopra ogni regola verso Alfie può essere indice solamente di gravi, gravissime negligenze mediche che l’Alder Hey teme possano essere accertate in altra sede ospedaliera. Questo è il mio pensiero. Ma comunque dal post che leggo, Lei è più aggiornato di me in questo momento. I nostri colleghi a Liverpool stanno lavorando e non hanno tempo di mandarci informazioni. Io sono solo incaricato di allertare il direttore sanitario del B.G. se e non appena Alfie sarà in volo. E sempre che optino per quella destinazione con cui ho il contatto certo sin da settembre 2017. E che Dio lo voglia.

È atteso a breve un nuovo intervento di Mr. Justice (curioso che la contrazione di “Maestro di Giustizia”, in romanesco, suonasse “Mastrotitta”, e che tale fosse diventato l’eponimo del boia): facilmente i genitori di Alfie saranno accusati dal giudice di aver violato le sue disposizioni in merito alla segretezza dell’ora dell’esecuzione. Per ora si sa che all’ospedale di Liverpool è stato inviato un fax con la richiesta di alcuni esami. C’è il rischio concreto che l’eroico tentativo di ieri sera – maestoso nel suo ardimento – non procuri altro effetto concreto se non quello di procrastinare a domani l’esecuzione dell’innocente. Sempre De André cantava, per Geordie (che però fa rima sia con “Charlie” sia con “Alfie”):

Né il cuore degli inglesi

né lo scettro del Re

Geordie potran salvare:

anche se piangeranno con te

la legge non può cambiare.

Trovo molto emblematico che – malgrado il generale disinteresse dei media italiani – il nostro Paese si trovi ad essere la meta ideale di Alfie, come l’era stato per Charlie: certo nessuno è così sprovveduto da credere che gli italiani sappiano fare miracoli… Quello che istintivamente le persone cercano nel Belpaese sembra essere una vera cultura della cura, dell’accoglienza, della compassione. Tutte cose che sono state l’anima degli ospedali, fintanto che gli ospedali sono stati ciò che erano, ossia un frutto del cristianesimo medievale.

La cultura dello Stato e della forza del diritto è indicibilmente più dura, nel Regno Unito, di quanto noi italiani siamo portati a concepire: la grazia è stato da noi un reale istituto, puntellato da eventi sporadici ma documentabili; nelle brumose terre di Albione essa è poco più di un mito esotico.


CHARLIE GARD

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Per misurare la distanza tra la sapienza (anche dolorosamente maturata) del Continente e la delirante autarchia giuridico-amministrativa d’Oltremanica, basti riportare dagli atti della sentenza del 20 febbraio (grazie a Gabriele per l’opportuna segnalazione) il passaggio in cui il dottor Nikolaus Haas – Direttore medico del Dipartimento di Cardiologia pediatrica e cura intensiva dell’ospedale universitario della Ludwig-Maximilians Universität di Monaco – offriva in audizione il proprio parere medico:

Per riassumere le mie considerazioni, il piccolo Alfie – per quanto posso capire con tutte le mie conoscenze – soffre sfortunatamente di un disordine neurologico molto grave, probabilmente degenerativo che potrà portarlo in ultima istanza alla morte. Concordo con il suo staff medico nel dire che ho difficoltà a credere che ci sia una cura per questo bambino. Resta tuttavia indeterminabile quanto tempo egli sarà in grado di condividere coi suoi genitori. Si direbbe infatti che egli sia vissuto fino a questo momento più a lungo di quanto inizialmente si pensasse. La sospensione del suo trattamento lo porterebbe immediatamente alla morte, e certamente questo non può essere nel suo interesse. È chiaro che il suo miglior interesse sarebbe la possibilità, per Alfie, di vivere il verosimilmente breve resto della sua vita dignitosamente, insieme con la sua famiglia, a casa se così desiderano i suoi genitori – e questo io credo sarebbe la cosa migliore per lui: fuori dall’ospedale oppure in un hospice o in altra struttura di cure terminali. Un’istituzione dedicata alla riabilitazione neurologica potrebbe apportare ulteriore beneficio, perché potrebbero darsi altri trattamenti oppure stimolazioni terapiche di cui io non sono a conoscenza.

Dall’alto della sua lunga esperienza medica, il giudice ha rovesciato il prudente ed equilibrato giudizio del professor Haas, accusandolo neanche troppo velatamente di usare il caso come «vetrina per le sue credenze personali» (sic!). Quali credenze? Non è dato saperlo. Di certo Mr. Justice è rimasto molto seccato dal severo richiamo del medico:

A causa della nostra storia, in Germania, abbiamo imparato che ci sono alcune cose che semplicemente non si fanno, con i bambini gravemente handicappati. Una società dev’essere preparata a prendersi cura di questi bambini gravemente handicappati, non può decidere che il supporto vitale debba essere sottratto contro la volontà dei genitori, se c’è incertezza sulle sensazioni e sulla percezione del bambino, come qui è il caso.

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