Questo fine settimana appena lasciato alle nostre spalle sembra continuare a seguirci con la sua chiassosa banda di polemiche, discorsi, censure e reciproche accuse circa l’opportunità dei toni. Ci sarebbero molte premesse da fare e per ognuna occorrerebbe considerare i soggetti chiamati in causa tenendo conto, per ognuno, sensibilità e nervi esposti. Non conviene.
Il tema è quello dell’aborto e del manifesto che Provita aveva fatto affiggere e il Comune di Roma rimuovere. Doveva restare ben incollato al muro e visibile a tutti fino al 15 aprile; facevano parte di una campagna di sensibilizzazione in occasione dei quarant’anni dalla promulgazione della legge 194, avvenuta il 22 maggio del 1978 (avremo finito di girovagare per il deserto? Che si fa si torna indietro ad ingollare cipolle in Egitto o ci si butta in avanti, verso la terra promessa?). Prima del contenuto vogliamo ricordare una cosa che interessa indistintamente pro choice e pro life: la libertà di esprimerlo. E la corrosione sempre più aggressiva di questo diritto è una faccenda che si fa via via più seria e sta lasciando i suoi tratti comici a favore di quelli più duri e violenti.
Il contenuto è quello che forse avrete già visto sui social: su sfondo rosso placenta è rappresentato un feto di 11 settimane (non è offensivo parlare di feto: dice proprio la verità di un essere concepito dall’unione sessuata che sta crescendo nell’utero della femmina – la radice è la stessa di feto- e che ha caratteri distintivi della specie uguali a quelli dei suoi genitori). Detto questo, il problema principale di quel manifesto di sette metri per undici è che era senza dubbio eccessivamente, sproporzionatamente, senza ombra di dubbio troppo piccolo.
Dov’è la madre? Cosa ci fa un feto tutto solo? Cosa se ne fa un bambino dei propri organi ormai interi se non può usarli per rispondere alle cose che succedono a sua mamma? A quell’essere umano femmina che, pur provando magari temporanea repulsione per quella nuova vita così invadente, ne costituisce la relazione essenziale e vitale? Sono domande in parte retoriche: è evidente, hanno fatto una scelta, hanno deciso di mettere l’accento su un tema. Con eccellenti ragioni.
E lì vicino sarebbe dovuto essere rappresentato anche il padre o il semplice complice di un concepimento che è avvenuto, nessuno questo dovrebbe negarlo. E invece poiché la palla di cannone assestata al nascituro con la possibilità di abortirlo (che rimane percepita sempre anche da moltissimi benintenzionati abortisti non praticanti) deflagra le sue rovine sull’atto sessuale stesso. Sull’unione carnale di un uomo e di una donna che per sua natura è intima e travolgente. La separazione del figlio dall’atto e dalla sue conseguenze imperterrite (in caso di giorni fertili) a favore del desiderio di avere un bambino ha reso il bambino sempre più fragile e solo. Ha favorito la ulteriore frammentazione di ciò che è e resta una sequenza di unicum. Uomo-donna; madre-concepito; madre- figlio- padre, anche solo se resta eventualità schivata o agognata per tutta la stagione fertile.
Qualcuno ha fatto notare che la verità innegabile riportata nel manifesto è stata forse proposta in maniera respingente. Mentre il contenuto è realistico, chiaro e didascalico: titolo, frecce, indicazioni precise. Facilissimi, ormai, i riscontri scientifici. Il manifesto assolve inoltre il compito di mostrare in dimensioni ciclopiche il soggetto oscurato da una legge che ne rende legale da decenni la soppressione.
Può essere che “non funzioni” come messaggio? Va bene: ma perché la fascinazione, la seduzione comunicativa deve essere considerata sempre preferibile ad altre modalità? Opportune et importune rimane vero anche e soprattutto oggi che lo spazio dell’opportune è sempre più risicato. Certo, non si può negare che alle volte “il mondo cattolico” sembri meritarsi quegli aggettivi qualificativi che invece sono nella sostanza ingiustificati: integralisti, oltranzisti, etc. Ma anche risultare antipatici non è rischio da rifuggire sempre e comunque come fosse un peccato mortale.
Qualcuno ha ricordato e a ragione che Cristo stesso si è fabbricato su due piedi una frusta e scudisciando con quella su animali e mercanti, aiutandosi con le sue mani virili a rovesciare tavoli ha difeso con uno sdegno che ci fa da modello uno spazio sacro inviolabile.
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Quest’ultima osservazione è particolarmente pertinente perché Cristo, che non solo è verità ma vita e via, e ha detto che è proprio del Tempio, la casa del Padre Suo, che non vuole assolutamente si faccia mercato. Il riferimento risulta particolarmente azzeccato perché qualche libro più avanti, nelle sue Lettere l’Apostolo delle genti ci ammonisce che noi stessi, i nostri corpi, sono tempio di Dio e che lo spirito di Dio abita in noi (cfr 1 Cor, 6). Allora fare di questi templi una dogana di vite accettate o respinte di sicuro suscita anche ora l’ira del Signore.
Ai modi asciutti e duri di Cristo che si arrabbia o del manifesto che ricorda dai tetti o giù di lì che così siamo stati tutti qualcuno, dopo avere esposto la propria articolata e ragionevole posizione, oppone l’immagine di una bella ragazza sorridente che porta un cartello con la scritta “Il vero femminismo non uccide le donne non ancora nate”. Ma quella ragazza, da chi o cosa e come è stata convinta?