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Davanti alle reti vuote non serve calcorare, ma aprire gli occhi

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don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 06/04/18

Dentro ogni fallimento Gesù ricomincia a parlarti, proprio partendo dalla debolezza e dalla fatica apparentemente inutile

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così:
si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli.
Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù.
Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No».
Allora disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci.
Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «E’ il Signore!». Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare.
Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane.
Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso or ora».
Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatrè grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò.
Gesù disse loro: «Venite a mangiare. E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», poiché sapevano bene che era il Signore.
Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce.
Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti. (Gv 21,1-14)

Che cosa sapevano certamente fare i discepoli? Pescare. Ed è quello che vanno a fare dopo i fatti della passione, morte e resurrezione di Cristo. La Pasqua è già accaduta, ma gli apostoli non riescono ancora a comprendere che centrano davvero loro con quell’evento. È ancora un evento esterno a loro. Ci dovrà pensare la Pentecoste ad aiutarli a interiorizzare ciò che è accaduto.

Ma nel frattempo tornano alla loro quotidianità. Delle volte la quotidianità che abitiamo è uno spazio esterno alla nostra fede. Ci teniamo occupati per non deprimerci. Facciamo per non pensare. Ci tuffiamo nei tanti impegni per non dover fare i conti con la dura realtà del senso vero delle cose. Vogliamo una normalità che ci difenda da certe domande. Ma proprio mentre nella vita dei discepoli sembra essere tornato tutto come prima accade qualcosa di diverso ma di già visto. Si trovano su una barca, e ancora una volta, così come lo fu all’inizio, non riescono a pescare nulla.

L’esperienza delle reti vuote è l’esperienza di chi non vede corrisposta la propria fatica. Gesù è sulla spiaggia, ma non lo riconoscono. Parla e dice: «’Figlioli, non avete nulla da mangiare?’. Gli risposero: ‘No’. Allora egli disse loro: ‘Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete’. La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: ‘È il Signore!’». Solo Giovanni, solo l’amore, riesce a vedere dentro le cose. Non serve calcolare, serve accorgersi. La vita spirituale non serve ad avere visioni, ma ad accorgerci di ciò che abbiamo davanti agli occhi. Il Signore è sempre lì.

Ogni volta che torni a deprimerti davanti alle tue reti vuote, Egli è di nuovo lì. Non importa se ormai sai tutto, se conosci la teologia, se hai visto i suoi miracoli, se lo hai toccato. Importa che nonostante tutte queste esperienze tu puoi di nuovo trovarti davanti al fallimento delle reti vuote, ed Egli torna a parlarti a partire proprio da quella debolezza. Pasqua è questa ostinazione di Cristo.

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