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Cosa deve morire in te perché tu possa rinascere?

GRAVESTONE RIP

Alicia G. Monedero I Shutterstock

padre Carlos Padilla - pubblicato il 04/04/18

C’è qualcosa dentro di me che deve morire perché possa sbocciare una vita nuova, o per fare spazio alla vita che nasce da dentro.

O forse c’è qualcosa che è già morto dentro di me che deve risuscitare per darmi nuova vita. Non lo so. Faccio la lista delle cose morte che mi porto dentro, e delle catene che voglio che si spezzino per essere più libero.

So che la vita che mi promette Gesù mi piace molto di più della mia morte oscura. Mi piace di più la fiducia cieca in un Dio occulto delle mie paure malate che mi legano alla vita caduca. Mi piace molto di più la gioia di una promessa del boccone amaro della sconfitta.

Voglio la vita, non la morte. Ma so che è necessario morire per tornare a vivere. Morire alle mie paure, ai miei egoismi, alle mie idolatrie, per vivere in libertà, pieno d’amore. Morire a tante cose che in me sono solo catene pesanti.

Guardo la vita che sgorga dal costato aperto di Gesù. Mi ha amato fino all’estremo. Guardo la fonte della vita.

“La vita dell’uomo non si esaurisce su questa terra. E visto che l’anima dell’uomo è immortale, il fine ultimo dell’uomo trascende questa vita terrena e si dirige alla contemplazione di Dio” [1].

Guardo al cielo pieno di fiducia. Il finale è un “per sempre”. Ma tra la mia morte di oggi e la vita piena alla fine del mio cammino trascorre il mio oggi, che si apre a un futuro pieno di speranza.

Diceva Søren Kierkegaard: “La vita può essere compresa solo guardando indietro, ma dev’essere vissuta guardando avanti”.

A volte mi ritrovo a guardare indietro. Ancorato al passato. È vero che è necessario, ma solo per comprendere il passaggio di Dio nella mia vita. I suoi desideri nascosti nelle mie orme.

Non resto nel passato giustificando la mia pigrizia. Non voglio pensare che il mio momento sia passato e non mi resti nulla da fare. Non è vero.

Non importa quanti anni ho. Vivrò tutto quello che Dio vorrà. Ho tutta la vita davanti per cambiare il mondo.

Voglio vivere con la gioia pasquale guardando gli anni che mi restano. Sorridendo al futuro. Non voglio angosciarmi pensando alla morte. Non voglio vivere ancorato a quello che è stato e non è più, o che potrebbe essere stato, ricordando storie passate.

Vivo il presente aperto a un futuro migliore. La vita eterna è molto meglio della mia vita piena di morte.

Vivo il mio oggi con il cuore pieno di Pasqua, pieno di luce. Dispenso sorrisi e speranza. Parlo della vita, non della morte. Ho la gioia dipinta sulle labbra.

Cosa mi manca per essere felice? Ho tutto. Gesù mi dà tutto. E non invidio quello che non ho. Posso essere felice con molto poco. Quando smetto di concentrare il mio sguardo su un orizzonte che non esiste, o su cose che non mi danno la gioia piena.

Oggi arrivo al sepolcro vuoto, al mio cuore vuoto. Il corpo della morte non c’è più. Cos’è risuscitato in me?

Voglio lasciare lì le mie paure, i miei attaccamenti malati, la mia morte. Gesù è con me, nel mio cammino, nella mia vita. Egli vive. Non mi lascia solo perché vuole che viva una vita piena, con senso.

Voglio vivere così, risorto. Con la sua vita nel cuore. Con la sua resurrezione impossibile nella mia morte. Il regno inizia a sbocciare nella mia anima. Tra le mie mani, la sua vita.

[1] Jesús Sánchez Adalid, Y de repente, Teresa

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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