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Più scienza e filosofia per il dibattito sull’aborto

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Esteban Pittaro - Mariano Asla - pubblicato il 03/04/18

Il dibattito parlamentare sull’aborto in Argentina si svolge simultaneamente a un dibattito pubblico sul tema. Lo scenario di questa discussione, che si può replicare anche in famiglia e sul lavoro, include due grandi arene: i mezzi di comunicazione tradizionale e le reti sociali. Nella logica di entrambi si costruisce un dialogo che può far sì che anche chi non ha ancora assunto una posizione finisca per farlo.

L’algoritmo delle reti sociali si mobilita con standard del tutto endogamici: nelle reti vediamo le cose che ci fa comodo vedere, idee “amichevoli”, di persone che ci interessano e che probabilmente suscitano un “Mi piace”.




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Le reti cercano il comfort di chi le usa, non la pluralità di voci, mentre il giornalismo ha al cuore della sua routine la notizia. Il codice dell’algoritmo è l’intuizione del giornalista e degli editori, la loro abilità nell’identificare il “valore notizia”. Quando si trova qualcosa che si ritiene di valore lo si fa conoscere nel modo più attraente possibile, e la sopravvivenza della notizia dipenderà in grande misura dalla capacità e volontà di proporla, ma anche dalle altre notizie presenti in quel momento e soprattutto dall’interesse, misurabile, del pubblico.

Se una nota con un certo approccio non interessa scompare dallo schermo, sia esso del computer o televisivo. I mezzi di comunicazione funzionano cercando di catturare l’attenzione del pubblico per sostenere la propria esistenza, non solo garantendo la pluralità di voci.

Né nelle reti né nei prodotti giornalistici la verità è l’unica condizione di un’informazione per imporsi sulle altre. Non vuol dire che non abbia valore, ma non è l’unico elemento che prevale.

I media e le reti sociali hanno un altro punto in comune: la popolarità degli aggressivi. La temperanza, probabilmente poco attrattiva sia per l’algoritmo che per l’indice di ascolto, non sembra un’alternativa nella discussione. Chi non è disposto a discutere per non ricevere aggressioni tace, e sia le reti che i media per loro stessa natura lo rendono invisibile, perché si sentono più attraenti se ricorrono alla veemenza.




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La scienza e la filosofia possono apportare molto al dibattito sull’aborto – la prima per mostrare le cose come probabilmente sono, la seconda per discernere cosa significhi per la nostra specie che le cose siano come probabilmente sono. Entrambe, scienza e filosofia, non si sentono tuttavia a proprio agio con la veemenza mediatica. Hanno un altro metodo, che può essere virulento come confermano le grandi discussioni accademiche, ma non entrano nella logica dei media e delle reti.

La prudenza filosofica aiuterebbe ad affrontare le implicazioni del fatto che esista una vera discussione sull’inizio della vita. In base alla sua prospettiva, affrontiamo come un punto di vista logico che ci siano solo due possibilità: o l’embrione è vivo e l’aborto ne provoca la morte, o l’embrione non è vivo e l’aborto non implica un cambiamento di stato morale o legalmente rilevante.

La questione è quale di questi rischi sia più logico correre: è moralmente accettabile correre il rischio di uccidere un essere umano? È lecito che la legge avalli il 50% di possibilità di uccidere un essere umano?


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Anche se ci sono molte ottime ragioni per sostenere che l’embrione è un essere vivente della specie umana, dovrebbe raggiungere il beneficio del dubbio per scoraggiare l’aborto con tutti i mezzi leciti alla nostra portata.

È come quando un giornalista ha di fronte a sé due fonti affidabili che affermano esattamente il contrario su qualcuno. È logico correre il rischio di diffamare o calunniare? Probabilmente no. In un caso del genere, un giornalista ricorrerebbe all’uso dei verbi in modo potenziale (avrebbe fatto, avrebbe detto…), o probabilmente non pubblicherebbe neanche l’informazione.

Nel caso dell’aborto, il dubbio su quale fonte abbia ragione, se quella che ritiene che ci sia vita dal momento del concepimento o quella che non la pensa così, comporta un rischio troppo elevato, e il dubbio può decantare fino a impedire la nascita di una persona che probabilmente già esiste.

L’uso dei verbi al condizionale non è possibile: o quel feto segue il suo cammino fino alla nascita o smette di vivere in quel momento. Se per non diffamare una persona non corriamo il rischio e non informiamo, a quale decisione di prudenza dovrebbe condurci la possibilità di porre fine a una vita?

Il dubbio esorta alla prudenza. La prudenza non sembra attraente né per l’algoritmo sulle reti né per l’indice di ascolto in televisione, ma nel dibattito sull’aborto è necessaria. Chiediamo più filosofia e scienza, nel contenuto e nel metodo, nel dibattito pubblico sull’aborto.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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